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lunedì 21 marzo 2011

humpty dumpty, maestro di logica

I Sofisti dell’antica Grecia hanno molto in comune con molte delle loquaci creature che Alice incontra nelle sue avventure. Ma Alice stessa emerge come una sorta di eroina socratica nella sua insistenza nell’usare la ragione per scoprire la verità piuttosto che sfruttare le risorse di una logica puramente formale per ridurre il mondo a un volontario non-senso, per giustificare conclusioni totalmente arbitrarie. Il motivo eristico del dimostrarsi migliore del proprio avversario nell’argomentazione è più evidente che mai nell’incontro di Alice con Humpty Dumpty: “Perché te ne stai seduto lì tutto solo?”, chiede Alice. “Perché non c’è nessuno con me”, grida Humpty Dumpty, “Pensavi che non conoscesi la risposta a questo?”. La risposta è perfettamente logica ma in nessun modo informativa. L’attenzione non è posta sul significato della domanda, ma solo sulla forma in cui è posta. 
C’è una distinzione tra significato e forma di nuovo nel seguente dialogo: “Ecco una domanda per te”, annuncia Humpty Dumpty, “Quanti anni hai detto che hai?”. Alice fa un rapido calcolo e risponde “Sette anni e sei mesi”. “Sbagliato!”, esclama trionfante Humpty Dumpty, “Non hai mai detto una parola a riguardo!”. “Pensavo che intendessi quanti anni hai”, spiega Alice. “Se avessi inteso ciò, lo avrei detto”. 
La connotazione, il significato di una parola nell’effettivo parlato, è spesso differente dalla denotazione, la definizione letterale da dizionario. Allo stesso modo ragionano altri abitanti del Paese delle Meraviglie. “Cosa vuoi comprare?”, dice la Pecora alzando lo sguardo dal suo lavoro a maglia. “Ancora non lo so”, risponde Alice gentilmente, “Vorrei prima guardarmi tutto intorno, se posso”. “Puoi guardare davanti a te, e da entrambi i lati, se vuoi”, dice la Pecora, “ma non puoi guardarti tutto intorno – a meno che tu non abbia occhi dietro la tua testa”. Alla replica di Alice all’offerta di “più the” della Lepre Marzolina –  “Non ne ho avuto per niente”, replica Alice in tono offeso, “non posso prenderne di più” – questa risponde: “Intendi che non puoi prenderne meno”, dice la Lepre Marzolina, “è molto facile prenderne più di niente”.
Ma il trionfo e non la verità è l’obiettivo di Humpty Dumpty. Egli vince i due scambi precedenti restringendo il significato delle parole e delle frasi a livello letterale o denotativo, ma poi le svincola da ogni significato fissato: “Quando uso una parola”, dice Humpty Dumpty in tono di disprezzo, “essa significa solo ciò che ho scelto significhi – né più né meno. La questione è chi deve essere il padrone – questo è tutto”. L’intenzione di Humpty Dumpty non è mai stata quella di scoprire il vero significato di ciò che viene detto, ma solo quella di esercitare una sorta di falsa padronanza.
Questo trattamento delle parole come oggetti di dominio piuttosto che strumenti di scoperta governa molto di ciò che avviene nel Paese delle Meraviglie, come il processo nel quale la Regina di Cuori domanda “La sentenza prima, il verdetto poi”. Le argomentazioni sono dettate da un verdetto predeterminato. Vengono sempre prima le conclusioni, le prove e gli argomenti dopo, all’opposto che in un vero dialogo.

(da George A. Dunn, Brian McDonald, Six impossible things before breakfast, e Daniel Whiting, Is there such a thing as a language?, in Alice in Wonderland and Philosophy)

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