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giovedì 30 giugno 2011

corso di filosofia in sei ore e un quarto (1di2)

«Non si tratta di chiedersi se bisogna o non bisogna fare della filosofia. Facciamo della filosofia, perché non è possibile sottrarsi. È fatale. La nostra coscienza si pone dei problemi. Bisogna tentare di risolverli. Alla filosofia non è possibile sottrarsi».
Così afferma Witold Gombrowicz alla fine della prima lezione del suo Corso di filosofia in sei ore e un quarto.
 

Uno dei filosofi trattati dall'autore polacco è Schopenhauer, di cui si apprezza la teoria sull'arte: «L'arte, secondo Schopenhauer, ci mostra il gioco della natura e delle forze, ossia la volontà di vivere. Egli si chiede perché la facciata di una cattedrale ci incanta mentre un semplice muro non suscita in noi interesse alcuno. È perché la volontà di vivere della materia, risponde, si esprime nella pesantezza e nella resistenza. Un muro non mette in evidenza il gioco di queste forze, perché ogni sua particella resiste e pesa al tempo stesso, mentre la facciata della cattedrale mostra le forze in azione, in quanto le colonne resistono al peso dei capitelli. È qui chiara la lotta tra la pesantezza e la resistenza della materia».


Gombrowicz si sente molto vicino al filosofo tedesco: afferma che per lui è un mistero che libri interessanti come quelli di Schopenhauer e i suoi non trovino lettori; ma anche che un genio non può aver successo, perché anticipa i tempi, ed è dunque incomprensibile e non serve a nessuno, e così Schopenhauer e lui si consolano.

mercoledì 29 giugno 2011

deviseificazione

«E adesso forza, facce, fatevi avanti! No, non vi dico addio, estranee sconosciute facciate dei tizi estranei e sconosciuti che mi leggeranno, anzi, vi do il benvenuto. Salve graziose ghirlande di parti del corpo, tutto comincia adesso: fatevi avanti, venite a me, rimpastatemi pure, fabbricatemi una faccia nuova, perché debba di nuovo fuggirvi e rifugiarmi in altre persone e correre correre correre attraverso tutta l'umanità».
(Witold Gombrowicz, Ferdydurke)

Il protagonista del romanzo di Gombrowicz accetta il tentativo di sfuggire al viso, sembrando in ciò seguire il suggerimento filosofico di Deleuze e Guattari sulla "deviseificazione": «essa libera per così dire teste cercanti che disfano gli strati al loro passaggio, forano i muri di significanza e balzano fuori dai buchi di soggettività, abbattono gli alberi per fare posto a veri e propri rizomi, e guidano i flussi verso linee di deterritorializzazione positiva o di fuga creatrice» (Gilles Deleuze, Félix Guattari, Millepiani).

witkiewiczE Stanislaw Ignacy Witkiewicz (aka Witkacy) - pittore, commediografo, filosofo, critico letterario, romanziere e amico di Gombrowicz - sembra mettere in pratica, con La Ditta dei ritratti,  proprio l'idea che
la personalità sia al limite afferrabile solo in molteplici sequenze, in molti ruoli-maschere, eseguendo infatti una serie di ritratti di uno stesso soggetto e in una varietà di stili - da quelli più “rileccati”, vicini al kitsch, fino a un groviglio di linee quasi astratto, e alcuni realizzati con l’ausilio di narcotici di qualità superiore (alcol, cocaina, caffeina, etere, tè, mescalina) e dal prezzo inestimabile.
Così, nell’anarchia totale di un disegno ribelle che, pur senza rifiutare il ritratto, gli dimostra ostentatamente la sua disistima, nel moltiplicarsi all’infinito della forma che confonde l’immagine e fa aumentare la tensione, il disegno raggiunge il limite oltre cui appare il “mistero”.


martedì 28 giugno 2011

philosopher's drinking song

There's nothing Nietzsche
couldn't teach ya
'bout the raising of the wrist

lunedì 27 giugno 2011

il pianeta dove scomparivano le cose

Molti anni fa, su un pianeta molto distante dal nostro, accadde una cosa veramente strana. All’inizio era tutto normale. Gli abitanti di quel pianeta erano molto affaccendati e ogni cosa funzionava a dovere. Sennonché un giorno…
La signora Bum doveva partire per un viaggio d’affari, ma non riusciva a trovare il suo borsellino. Il signor Bam voleva fare le pulizie ma non riusciva a trovare la scopa. Nel giro di poche ore si scoprì che su quel pianeta tutti avevano perso qualcosa.
Il signor Bam propose una spiegazione: «Forse stiamo cercando nei posti sbagliati», disse. Tutti si misero a cercare meglio, ma le cose scomparse non saltarono fuori. E quel che è peggio, nel frattempo ne erano scomparse molte altre.
Il signor Bam propose un’altra spiegazione. «Forse le cose scompaiono quando smettiamo di guardarle. Tenete d’occhio le vostre cose se non volete che scompaiano!»
Per fortuna, un bel giorno sul pianeta tornò improvvisamente la normalità. Le cose smisero di scomparire.
Soltanto, il signor Bam continuava a proporre le sue teorie. «Chissà, forse le nostre cose scompaiono ancora quando non le guardiamo ma ricompaiono quando le guardiamo di nuovo». Così ogni tanto si girava di scatto per cercare di cogliere le cose di sorpresa e vedere se erano ancora lì dove le aveva lasciate…
E se fosse davvero così? come facciamo ad essere sicuri che le cose non scompaiono quando non le guardiamo? Se l’unico modo che abbiamo di saperlo è di guardare, siamo proprio in un bel pasticcio! Per fortuna l’importante è che le cose siano lì quando le guardiamo.

(da Roberto Casati, Achille Varzi, Il pianeta dove scomparivano le cose)

domenica 26 giugno 2011

il cavaliere contro la libertà di stampa

IL SIGNORE MAGRO - Che cosa pensa de L'ultimo giorno di un condannato?
ERGASTO - In fede mia, signore, non l'ho letto e non lo leggerò. Sembra che ci sia un capitolo contro la religione e un capitolo contro la monarchia. Se fossi procuratore del re...
IL CAVALIERE - Già, procuratore del re; e la Carta [costituzionale elargita da Luigi Filippo ai francesi all'atto di salire al trono nel 1830], e la libertà di stampa? Nondimeno, un poeta che vuol sopprimere la pena di morte è odioso. Ah, ah, sotto l'antico regime se qualcuno si fosse permesso di pubblicare un romanzo contro la tortura... Ma, dopo la presa della Bastiglia, si può scrivere tutto; e i libri fanno un male terribile.
IL SIGNORE GRASSO - Terribile! Si stava tranquilli, non si pensava a niente, di tanto in tanto, in Francia, si tagliava una testa qua e là, al massimo un paio alla settimana, e tutto senza rumore, senza scandalo. Non se ne diceva niente, nessuno ci pensava; ed ecco qui un libro... un libro che fa venire un terribile mal di testa.
ERGASTO - Ciò turba le coscienze. Ah, che libro abominevole!
IL CAVALIERE - Ah, i nostri tempi! Come si è depravato tutto dopo d'allora, il gusto e i costumi.
IL FILOSOFO - Ma, non si pranza in questa casa?

(Victor Hugo, Una commedia a proposito di una tragedia, prefazione in forma di dialogo inserita nella quarta edizione de L'ultimo giorno di un condannato)

sabato 25 giugno 2011

serpeverde o grifondoro?

È come Harry Potter: il cappello parlante ha rivelato la sua natura da serpeverde, ma lui si è fatto il proprio destino scegliendo di andare nel grifondoro.
Queste, anche se non letterali, le parole che uno dei personaggi di Dr. House - serie di per sé profondamente filosofica - ha pronunciato in un episodio del telefilm. Io, a questo punto, ci aggiungo Sartre e il suo concetto di circuito dell'ipseità, per cui non è tanto importante cosa gli altri hanno fatto di noi, ma cosa noi facciamo di ciò che gli altri hanno fatto di noi.
Per Sartre è la malafede l'atteggiamento in base al quale ci si nasconde dietro i determinismi, si sostiene di non decidere, di essere trasportati dal proprio passato o dal destino, più che agire si vuole credere di essere agiti. Questa presunta passività, questo “volo a vela”, questa “costituzione passiva”, è semplice auto-inganno: in realtà è necessario che la coscienza dia esistenza alla propria costituzione, che la attualizzi. I soggetti non sono mai oggetti del proprio destino, è necessario che il destino venga attuato.
Per Sartre la passività viene interiorizzata e poi riesteriorizzata in un processo dialettico continuo, i condizionamenti vengono assunti (affermati o negati) e superati in una proposta successiva. Si tratta di due fasi di uno stesso movimento assolutamente libero (l’uomo è condannato alla libertà): il primo è il processo di interiorizzazione dell’esterno, il secondo è l’esteriorizzazione dell’interno. Questo piccolo movimento fa di un essere condizionato un uomo.
È necessario che questo circuito dell’ipseità sia un’azione autentica, un’accettazione della propria libertà, e non la scelta in malafede di non superare la fatticità e bloccare il proprio essere in una recita.

venerdì 24 giugno 2011

l'anima brucia più di quanto illumini

Io, immagine di Dio! Io che mi credevo vicinissimo allo specchio dell'eterna verità, io, superiore a un cherubino, io che osai godere, pieno di presentimenti, una vita divina. Io, che il tuono di una parola mi ha cacciato.
Ho studiato, a fondo e con ardente zelo, filosofia e medicina, e purtroppo, anche teologia. Eccomi qua, povero pazzo, e ne so quanto prima.
Vengo chiamato Maestro, anzi dottore e già da anni meno per il naso, in su e in giù, i miei scolari. E scopro che non possiamo sapere nulla.
cena de le ceneri bruno latellaCiò mi brucia quasi il cuore. Ne so, è vero, un po' più di tutti quegli sciocchi, dottori, maestri, scribi e preti; non mi tormentano né scrupoli né dubbi, né ho paura del diavolo o dell'inferno. Però mi è stata tolta in cambio di ciò ogni gioia; non mi metto in capo di sapere qualcosa di buono, non mi illudo di poter insegnare qualcosa, di saper rendere migliori o convertire gli uomini. Mi sono dato pertanto alla magia naturale, se mai il potere o la parola dello Spirito mi rivelassero qualche segreto. Per non dover dire, dopo così amare, sudate fatiche, quello che non so, per poter scoprire ciò che, nel profondo, tiene insieme l'universo e contemplare ogni attiva energia ed ogni primitiva sostanza e smetterla di rovistare tra le parole.
Ma no... non mi è lecito osare di rassomigliare a te. Ho avuto la forza di attirarti, ed in quel momento beato mi sentii così piccolo e così grande. Ma tu mi ricacciasti crudelmente dentro l'incerto destino degli uomini. Ed ecco, ora mi si dissecca il corpo e mi s'umetta il cervello; mi nascono i tofi e mi cascano gli denti, mi s'inora la carne e mi s'inargenta il crine; mi si distendono le palpebre e mi si contrae la vista, mi s'indebolisce il fiato e mi si rinforza la tosse; mi si fa fermo il sedere e trepido il camminare, mi trema il polso e mi si saldano le coste; mi si assottigliano gli articoli e mi s'ingrossano le giunture, mi s'indurano gli talloni e mi s'ammolla il contrappeso; l'orticello della cornamusa mi s'allunga, et il bordon s'accorta.

(dal libretto teatrale de La cena de le ceneri di Bruno, adattamento di Federico Bellini e regia di Antonio Latella)


Il testo di questo libretto di Antonio Latella sull'opera teatrale di Bruno ricalca un po' e in parte il travestimento che Edoardo Sanguineti fa del Faust di Goethe:

Ahimè, ahimè! ho studiato la psicologia dell'età evolutiva,
la sociologia delle comunicazioni di massa,
la bibliografia e la biblioteconomia,
la semiotica, la semantica,
la cibernetica, la prossemica,
l'informatica, la telematica,
la biologia - e, accidenti, l'ecologia - e poi
la micro e la macrofisica, la meta e la patafisica,
da cima a fondo, con tanto zelo!
E adesso, eccomi qui, povero idiota,
e furbo come prima.
Mi chiamano l'egregio, l'illustre, il chiarissimo,
e il prof, e il dott,
e il maestro, magari, madonna!
E sarà dal '77 - ma che dico io mai? - sarà dal '68, ecco,
che me lo meno, con i miei studenti.
Questa è una cosa che mi strazia il cuore.
E va be', sarò più erudito dei miei colleghi,
ordinari, straordinari, associati, aggregati, incaricati,
lettori, ricercatori, dottori di ricerca, assistenti, precari,
e tutto il personale non docente.
Né scrupolo né dubbio mi tormenta,
né diavolo né inferno mi spaventa.
Ma non ci ho niente la felicità:
niente di vero penso di sapere,
niente di niente riesco più a insegnare,
né gli uomini io mi spero migliorare,
né di riuscirci, il mondo, a trasformare:
e non ho beni, mobili né immobili,
né uno straccio di Nobel, né il Potere:
manco un cane può viversi così.
Dunque, mi son dato alla magia:
voglio vedere un po', se me lo scopro,
il segreto dell'essere dell'esserci,
il mistero dell'esserci dell'essere.
E così non va a finire
che ci sudo sempre a dire
tutte cose che non so.
Cerco invano di trovare
che cos'è che può legare,
strutturato, il mondo qui.
E dominerò, un giorno, le radici ultimissime
dell'energia e della materia,
e tutti quanti i quanta:
e non starò più a riciclarmi, almeno,
questa eterna immondizia di parole!

Afterhours, Dentro Marilyn
... l'anima brucia più di quanto illumini...

martedì 21 giugno 2011

occhi di gatto

«Agli occhi del gatto tutto è del gatto» è un proverbio inglese che mi ha inconsapevolmente citato una studentessa l'anno scorso mentre la interrogavo sull'immagine dell'uomo nel periodo umanistico/rinascimentale. 
Discutendo della critica mossa da Montaigne nei suoi Saggi alla visione presuntuosa e arrogante di un uomo che è «la piú disgraziata e la piú fragile di tutte le creature e tuttavia la piú orgogliosa», che «s'immagina di porsi al di sopra della sfera lunare e di poter mettere il cielo sotto i suoi piedi»  e che «per la vanità di questa stessa immaginazione  si eguaglia a Dio, si attribuisce le possibilità divine, attribuisce a se stesso ogni privilegio e si separa dalla massa delle creature», ricordavo di come il filosofo francese avesse fatto proprio l'esempio della sua gatta per spiegare tutto ciò: «quando gioco con la mia gatta chissà se essa mi prende come suo passatempo cosí come faccio io per essa?».
 

Leggendo Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, mi imbatto in un «gatto dell'isola di Man, fermo al centro del prato come se anche lui interrogasse l'universo».
 

Solo piccole risonanze.

lunedì 20 giugno 2011

thomas mann e la filosofia moderna

Doppiamente interessante la raccolta di brevi Saggi di Thomas Mann su Schopenhauer, Nietzsche e Freud.
Dal punto di vista filosofico gli scritti dell'autore tedesco sono puntuali, precisi e fondati, oltre che interessanti - soprattutto quello su Schopenhauer.
Dal punto di vista letterario, invece, è interessante leggere come Mann riconosca e sveli quale influenza ha avuto sulla sua opera narrativa quella filosofia "irrazionalistica" che si oppone ad ogni abuso razionalistico, idealistico, ad un sereno e superficiale illuminismo, senza cadere in un oscurantismo reazionario, ma valorizzando gli aspetti più profondi (volontà, istinto, inconscio) dell'essere umano.

«"Chi si interessa della vita" ho scritto nella Montagna incantata "si interessa necessariamente anche della morte". In queste parole è ben visibile l'orma di Schopenhauer, profondamente impressa e persistente in tutta la mia vita. Schopenhaueriane sarebbero state anche le seguenti parole se avessi aggiunto: "Chi si interessa della morte, cerca in essa la vita". Ma questo pensiero io l'avevo già espresso, anche se in maniera meno epigrammatica, giovanissimo ancora, nel mio romanzo giovanile [I Buddenbrook], quando, dovendo far morire il protagonista, gli concessi di leggere quel grandioso capitolo sulla morte [de Il Mondo come volontà e rappresentazione], sotto la cui fresca impressione mi trovavo allora io stesso»

domenica 19 giugno 2011

icone rinascimentali

Che cos'è, esattamente, un emblema? La definizione che si legge sui dizionari pare largamente insufficiente: un'immagine enigmatica o simbolica, accompagnata da un motto che aiuta a decifrarne il significato, a sua volta chiarito più in basso da un breve testo, in versi o in prosa. Per fortuna viene in soccorso la pubblicità. Avete presenti le scarpe Nike? Nike in greco vuol dire vittoria; il logo stilizzato allude appunto alle ali di una Vittoria alata (come la statua del Louvre); e il motto "Just do it!" occupa lo spazio che spettava alla riflessione sentenziosa.
Potere dell'immagine, concisione, memorabilità: un emblema e un brand di successo hanno parecchie cose in comune.
Ci si può immergere in questo mondo di simboli e cifre grazie all'edizione del capostipite di questo fortunato genere letterario: Il libro degli emblemi di Andrea Alciato, la cui prima edizione apparve in Germania nel 1531 (una seconda edizione fu approntata nel 1534 e in successive ristampe, fino al 1621, il numero degli emblemi lievita da 113 a 212, corpus che lunga tutta la sua vita Alciato non aveva mai smesso di incrementare e correggere, riorganizzando testi e immagini).
Pervasa da una crescente curiosità per i geroglifici, che erano ritenuti celare il sapere originario dell'Egitto, la cultura rinascimentale era ormai pronta a entusiasmarsi per un'opera del genere. Proprio questo legame degli emblemi con gli interessi "ermetici" degli umanisti è importante: oltre alla memorabilità del nesso parola/immagine, con le sue evidenti implicazioni pedagogiche, la forma dell'emblema implica infatti anche una comunicazione cifrata, per iniziati, capaci di decifrare i significati reconditi racchiusi in una figura mitologica o in un simbolo. Di lì a pochi anni, la secolare passione delle aristocrazie europee per i motti figurati che ogni gentiluomo era tenuto a scegliere come autodescrizione del proprio carattere e delle proprie aspirazioni, sarebbe nata anche su queste basi e avrebbe trasformato la cultura dell'emblema in un raffinato gioco di società.
Oltre la vicenda delle interpretazioni ermetiche di questi emblemi e le loro influenze sulla storia dell'arte, c'è un altro filone di indagine che non può essere trascurato. In quanto massimo giurista del Cinquecento, Alciato è stato percepito dai suoi contemporanei come un pensatore politico e appunto di riflessioni sulla vita associata degli uomini sono pieni gli Emblemata, che nelle ristampe degli anni Quaranta giungono ad accogliere più di uno spunto dalle opere di Machiavelli, a cominciare dalla figura, ambigua, del centauro come incarnazione del perfetto politico, che dovrà, alla bisogna, recuperare la propria metà ferina per prevalere nella contesa. Esattamente come per le numerose reinterpretazioni alchemiche, in questa chiave nei decenni successivi non mancarono riscritture e chiose del libretto di Alciato ripensato come "manuale di prudenza" per i sovrani.

(da Gabriele Pedullà, L'apparenza non inganna, in Il Sole 24 Ore - Domenica, 6 dicembre 2009)

venerdì 17 giugno 2011

l'atto di relazionarsi

- Cavolo, non ho mai provato una sensazione così incredibile, - disse Hoshino, immergendosi lentamente nell'acqua della vasca.
- Questo è solo l'inizio, - disse la ragazza. - Quello che verrà tra poco sarà molto più incredibile.
- Ma per me anche questo è stato bellissimo.
- Quanto?
- Tanto che il passato e il futuro non contano più nulla.
- «Il puro presente è il processo impercettibile in cui il passato avanza divorando il futuro. A dire il vero, ogni percezione è già ricordo».
Hoshino sollevò il viso e guardò la ragazza a bocca aperta.
- Che cosa?
- È di Henri Bergson, - rispose la ragazza, mentre portava le labbra al suo glande per leccare lo sperma residuo. - Materia e memoria. Non l'ha letto?
- No, non mi pare, - disse Hoshino, dopo aver riflettuto un momento. Tu invece l'hai letto?
La ragazza annuì.
- Ho dovuto leggerlo. All'università studio filosofia, e man
ca poco all'esame.
- Ho capito, - fece Hoshino ammirato. - Questo è solo un lavoro per far su un po' di soldi.
- Certo. Sa, ci sono le tasse universitarie da pagare.
Poi la ragazza spinse Hoshino sul letto, e con la punta delle dita e la lingua percorse dolcemente il suo corpo, provocandogli subito una nuova erezione. Era un'erezione imponente.
- Ehi, signor Hoshino, è di nuovo in forma! - disse lei. Passò quindi con calma alla successiva serie di movimenti. - Ha qualche richiesta in particolare? Cose che le piacerebbe farsi fare...
- In realtà non mi viene in mente nessuna richiesta da fare, ma magari potresti dirmi un'altra di quelle frasi filosofiche. Non so, ma mi dà l'idea che mi rallentino un po'. Se no, continuando così, tra un secondo verrò di nuovo.
- Allora, è un po' vecchio, ma potrebbe andare bene Hegel?
- Per me va bene tutto, scegli tu.
- Raccomando Hegel. Certo, è un po' antiquato ma, come si dice, Oldies but Goodies!
- Bene, bene.
- «L'io, oltre a essere il contenuto di una relazione, è anche l'atto di relazionarsi in sé».
- Hmm.
- Hegel ha definito la coscienza del sé, affermando che l'uomo non solo conosce separatamente il sé e l'oggetto ma, proiettando il sé sull'oggetto come mediazione, riesce a comprendere più profondamente e in modo più attivo il proprio io. Questa è la coscienza di sé.
- Non ci ho capito niente.
- Prendiamo l'esempio di quello che sto facendo a lei, signor Hoshino. Per me, io sono il sé e lei è l'oggetto. Naturalmente per lei, signor Hoshino, è esattamente l'opposto. Lei è il sé e io l'oggetto. Con quello che facciamo ci scambiamo reciprocamente sé e coscienza, ci proiettiamo l'uno sull'altra a vicenda, e grazie a questo realizziamo l'autocoscienza. Attivamente. Certo ho semplificato un po'.
- Non ci ho capito niente lo stesso, ma mi ha fatto bene.
- Ecco, il punto è questo, - disse la ragazza.

(da Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia


Immagini tratte da Chobits, manga delle CLAMP.

giovedì 2 giugno 2011

l'ubuismo del potere

Cosa voleva dire Badiou quando disse che uno dei nostri problemi oggi è che c’è troppa libertà? Forse un esempio estremo di quello a cui voleva arrivare lo possiamo vedere nella vacuità morale ritratta nel documentario Freemen: When Killers Make Movies, girato in Indonesia nel 2007. il film racconta di un caso di oscenità che raggiunge proporzioni estreme: un film, girato da Anwar Congo e i suoi amici, che sono oggi uomini politici rispettati, ma che erano un tempo gangster e leader di squadroni della morte che giocarono un ruolo chiave nell’uccisione nel 1966 di circa 2,5 milioni di presunti simpatizzanti comunisti. Freemen tratta di «assassini che hanno vinto, e del tipo di società che hanno costruito». Dopo la loro vittoria, i loro crimini non vennero relegati allo status di «sporchi segreti», il crimine fondatore le cui tracce devono essere cancellate; al contrario, gli assassini millantano apertamente i dettagli dei loro massacri. Nell’ottobre del 2007, la televisione statale indonesiana produsse un talk show che esaltava Anwar e i suoi amici; nel mezzo dello show, dopo che Anwar dice che i loro omicidi erano ispirati da film di gangster, la raggiante presentatrice si volta verso la telecamera e dice: «Stupefacente! Un grande applauso per Anwar Congo!». Quando chiede a Anwar se teme la vendetta dei parenti delle vittime, lui risponde: «Non possono. Appena alzano la testa li annientiamo!». Il pubblico in studio esplode in applausi esuberanti.
Il punto sono gli effetti dissestanti della globalizzazione capitalistica che, minando l’«efficacia simbolica» delle strutture etiche tradizionali, crea un tale vuoto morale. Qui uno sguardo all’Italia di Berlusconi può essere istruttivo. Siamo certamente ben distanti dai freemen dell’Indonesia, ma i primi passi in questa direzione sono stati compiuti: l’ostentazione pubblica di oscenità private, le confessioni indecenti in show televisivi, il miscuglio senza vergogna di politica e interessi affaristici privati, tutto questo crea poco a poco un pericoloso vuoto morale. Il 4 settembre 2009 Niccolò Ghedini, l’avvocato di Berlusconi, disse che Berlusconi «è pronto ad andare in tribunale a spiegare che non solo non è un gran porco, ma non è nemmeno impotente». Dà i brividi immaginare come esattamente Berlusconi potrebbe «spiegare» la sua potenza sessuale.
L’attuale «ubuismo» del potere – il termine fu coniato da Foucault, che si riferiva a Ubu roi di Alfred Jarry, per caratterizzare la sovranità oscena/stravagante di un potere decadente – sta in forte contrasto con i «totalitarismi» del ventesimo secolo, che insistevano sull’intoccabile dignità di coloro che stavano al vertice del potere. Nell’odierna politica «ubuizzata» l’impossibile diventa possibile, e questo tipo di autoderisione avviene sempre, mentre il potere continua a funzionare senza intoppi. Il compito è di ripristinare la cortesia: la cortesia supplisce alla mancanza o al collasso della sostanza dei costumi, la cortesia sta per la consuetudine dopo la caduta del grande Altro, assume il ruolo principale quando i soggetti incontrano una mancanza di etica sostanziale. Quanto più manca il «profondo» contesto etico sostanziale, tanto più abbiamo bisogno di una cortesia «superficiale».

Nell’Italia di Berlusconi, dove un autoproclamato clown gode di popolarità, alcune forme di violenza dovranno chiaramente essere riabilitate.

(da Slavoj Žižek, Vivere alla fine dei tempi)


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