Pages

lunedì 18 luglio 2011

il labirinto e l'obelisco

Nel testo Il Labirinto (1935-36) il filosofo George Bataille riconosce il principio di insufficienza che caratterizza tutti gli esseri: «La sufficienza di ciascun essere è contestata senza posa da ciascun altro. Perfino lo sguardo che esprime l'amore e l'ammirazione si attacca a me come un dubbio che sfiora la mia realtà. Uno scoppio di risa o l'espressione della ripugnanza accolgono ogni gesto, ogni frase o ogni mancamento per cui si tradisce la mia profonda insufficienza – così come dei singhiozzi risponderebbero alla mia morte improvvisa, a un mancamento totale e irrimediabile». 
Questa inquietudine genera nausea e fa sì che gli uomini agiscano per essere: «Ciò non deve essere compreso nel senso negativo della conservazione (per non essere rigettati fuori dell'esistenza dalla morte) ma nel senso positivo di una lotta tragica e incessante per una soddisfazione quasi irraggiungibile. Nel primo movimento» – con esplicito riferimento a Hegel – «la forza della quale dispone il padrone mette lo schiavo alla sua mercé, il padrone priva lo schiavo di una parte del suo essere. Molto più tardi, in compenso, l'esistenza del padrone si impoverisce nella misura in cui si allontana dagli elementi materiali della vita. Lo schiavo arricchisce il suo essere via via che sottomette questi elementi per mezzo del lavoro al quale la sua impotenza lo condanna».
La figura del padrone può essere accostata a quella dell'obelisco, che «è senza dubbio l'immagine più pura del capo e del cielo», l'«immagine egiziana dell'imperituro», un «raggio di sole pietrificato» (L'obelisco, 1938). Ma, secondo Bataille, «è stato sempre lecito preferire alla tranquillità il combattimento, alla stabilità la perdita che precipita. È così che la Grecia dei primi tempi ha già rivelato la possibilità di accordo dell'uomo con la violenza. Sembra infatti che la Grecia antica sia stata generata dalla ferita e dal crimine, come la potenza di Crono era generata dalla sanguinosa mutilazione di Urano, suo padre, di Urano, cioè esattamente della sovranità divina del cielo». Così il padrone/obelisco «non ha più base né testa», similmente a quanto avviene nel dipinto di René Magritte L'au-delà (1938).
Alla illusoria tranquillità e stabilità d'essere che pietrifica il padrone come un obelisco, bisogna preferire La pratica della gioia davanti alla morte (1939) e sostenere il proverbio, posto in esergo da Bataille, «Aspro e mite, rozzo e sottile, familiare e stravagante, laido e puro, di folli e saggi un convegno: tutto questo son io e voglio essere, colomba a un tempo e serpente e maiale!» (Friedrich Nietzsche, preludio in rime tedesche a La Gaia scienza).
«Felice solamente colui che avendo provato la vertigine fino a tremare in tutte le sue ossa e a non misurare più la sua caduta ritrova d'improvviso la potenza insperata di fare della sua agonia una gioia capace di gelare e di trasfigurare quelli che la incontrano. Questa sorta di decisione violenta che lo getta fuori del riposo può divenire in lui atto e potenza per i quali egli si consacra al rigore di un movimento che si richiude senza posa come il becco tagliente dell'uccello da preda». Per questi «non c'è al di là» ed egli, con disprezzo felice, «danza con il tempo che l'uccide», non avendo «paura delle ragazze nude e del whisky»; gode di una «santità svergognata, impudica», che magnifica la vita «dalla radice fino alla cima» e «priva di senso tutto ciò che è al di là», realizzando «un'apoteosi di ciò che è perituro, della carne e dell'alcool» e rinnovando «quella specie di esultanza tragica che l'uomo è appena cessa di comportarsi da infermo, di lasciarsi evirare dal timore del domani».
La natura è «come un gioco di forze che si esprime in una agonia moltiplicata e incessante» e perciò io stesso devo distruggermi e consumarmi «senza posa in me stesso in una grande festa di sangue». «Io sono io stesso la guerra» e il mio movimento e la mia eccitazione «non possono essere calmati che dalla guerra».
«Davanti al mondo terrestre in cui l'estate e l'inverno governano l'agonia di tutto ciò che è vivente, davanti all'universo composto di stelle innumerevoli che girano, si perdono e si consumano senza misura, io non scorgo che una successione di splendori crudeli il cui movimento stesso esige che io muoia; questa morte non è che consumazione sfavillante di tutto ciò che era, gioia di esistere di tutto ciò che viene al mondo, perfino la mia propria vita esige che tutto ciò che è, in ogni luogo, si dia e si annienti senza posa. Mi raffiguro coperto di sangue, spezzato ma trasfigurato e d'accordo con il mondo, nello stesso tempo come una preda e come una mascella del tempo che uccide senza posa ed è senza posa uccisa».

0 interventi:

ShareThis