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mercoledì 6 luglio 2011

nutrirsi di gide

Il viaggio d'Urien di André Gide è un itinerario per evadere dalle noie dello studio e risvegliare l'anima alla gioia nel sentire la resistenza della realtà esterna e nel tentare di raggiungere una meta che costantemente arretra e si nasconde, un romanzo fatto di allitterazioni e frasi incoerenti, l'unica lingua che ci vuole di fronte alle cose disordinate del mondo. Ma ancor più bello è il romanzo I nutrimenti terrestri. Sia l'inizio sia la conclusione (e tutto il libro, del resto) sono molto educativi, o, anzi, dis-educativi: sembra di leggere il Nietzsche della critica ai maestri, o uno dei passi di Hermann Hesse tipo questo: «Questo è il motivo per cui continuo la mia peregrinazione: non per cercare un'altra e migliore dottrina, poiché lo so, che non ve n'è alcuna, ma per abbandonare tutte le dottrine e tutti i maestri» (Siddharta). Ecco perché ha fatto tanto bene alla mia formazione.

«Natanaele, adesso, getta il mio libro. Liberatene. Lasciami. Lasciami; ormai mi sei di peso; tu mi trattieni; l'amore che certo ho esagerato verso di te m'occupa troppo. Sono stanco di fingere d'educare qualcuno. Quando ho detto che ti volevo simile a me? - È per il fatto che tu sei diverso da me che ti amo; io non amo in te che quanto che ti differenzia da me. - Educare! Chi dunque educherò, se non me stesso? Natanaele, devo dirtelo? Io mi sono senza posa e da sempre educato. Lo continuo a fare. E non mi reputo mai se non per ciò che potrei fare.
Natanaele, getta il mio libro; non te lo far bastare. Non credere che la tua verità possa essere trovata da qualcun altro; più che d'ogni altra cosa, abbi vergogna di questo. Se fossi io a cercare il tuo cibo, tu non avresti fame per mangiarlo; se ti preparassi il tuo letto, non avresti sonno per dormirci.
Getta il mio libro; di' bene a te stesso che qui non c'è contenuto che uno dei mille possibili modi d'essere di fronte alla vita. Cerca il tuo. Ciò che un altro avrebbe fatto bene quanto te, non lo fare. Ciò che un altro avrebbe detto bene come te, non lo dire, scritto bene come te, non lo scrivere. - Non attaccarti ad altro se non a ciò che senti essere presente in te e in nessun altro luogo che in te stesso, e fai di te, con impazienza oppure con pazienza, il più irrinunciabile degli esseri
».

Gide insegna il fervore, «non la saggezza, ma l'amore» - «insegna a non amare più soltanto la famiglia, e pian piano a lasciarla; rende il cuore malato d'un desiderio d'aspri frutti selvatici e ansioso di strano amore» -, insegna che non basta leggere che la sabbia delle spiagge sia dolce ma che bisogna che i piedi nudi golosi la sentano, che si ha diritto su ogni oggetto dei propri desideri, che ogni fonte rivela una sete, che bisogna fare della propria anima «l'ostello sempre aperto al crocevia», sapersi commuovere per delle susine, voler provare tutte le forme della vita. E, dopo tutto questo, pretende anche di insegnare a lasciarlo. Come scrive Gianni D'Elia nella sua postfazione, quello di Gide è un'apologia del nomadismo vitale e geografico, della libertà affannata e celibe alla ricerca di un'eretica e fluida autoeducazione; una strenua difesa dell'esperienza singolare, del desiderio di godere e nulla possedere, del rifiuto di essere come gli adulti, come i grandi e i disprezzati seduti; un richiamo al presente, al sentire, all'agire, alla gioia di imparare, all'amare le creature e le cose nel rispetto della loro pluralità, al riscoprire la varietà dei doni della vita e della terra.

«Certo, tutto ciò che ho incontrato col sorriso sulle labbra, ho voluto baciarlo; e il rosso sulle guance, le lacrime negli occhi, ho voluto berli; mordere nella polpa di tutti i frutti che verso di me pendevano dai rami. Ad ogni locanda mi salutava una fame; davanti ad ogni fonte mi attendeva una sete - una sete, davanti a ciascuna, particolare -; e avrei voluto altre parole per segnare le mie voglie di andare, dove si apriva una strada; di sostare, dove l'ombra invitava; di nuotare, in riva ad acque profonde; di amore o di sonno sulla sponda d'ogni letto. Ho posato arditamente la mia mano su ogni cosa e ho preteso d'aver diritti su ogni oggetto dei miei desideri».

Leggete questo libro, poi gettatelo ed uscite, perché ve ne avrà dato il desiderio.

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