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domenica 30 ottobre 2011

i marroni anni '70

Anni di terrorismo e nazionalismo, rivolte sociali e lotte di classe, pinte di birra su sottobicchieri verdi e capelloni, staffe di Gandalf e fauci del destino, incertezze e speranze, musica progressive sinfonica e romantica e dura e arrabbiata musica punk, amori e amicizie, scuola e fabbrica, banche e pub, raccontati da Jonathan Coe ne La banda dei brocchi.

E c'è addirittura un lieto fine.
A parte il fatto che non mi sembra la fine.
Ma le storie non finiscono mai davvero, no? Non si può fare altro che scegliere un momento in cui farle finire. Uno fra tanti. E che bel momento hai trovato.


venerdì 28 ottobre 2011

i miei capelli

I miei capelli non mi vogliono più bene. Uno alla volta si buttano dal cornicione del settimo piano; si schiantano a terra spaventando i passanti. Travolgono capannelli di acari dermatofagi, fanno strage di batteri pavimentopodi. Capelli, perché mi abbandonate? Che cosa vi ho fatto di male? Non vi ho trattati secondo i vostri desideri? Non vi ho dato amore a sufficienza?
La mia barba sono i miei capelli a testa in giù: l'arco del ponte che incorniciava la fronte ha proiettato sull'acqua un riflesso capovolto, immerso nel mento, sotto la linea di galleggiamento delle labbra. Ai miei capelli deve essere successo come a Narciso: si sono innamorati del loro riflesso e si sono gettati tutti insieme nello stagno.

(Tiziano Scarpa, Corpo)

giovedì 27 ottobre 2011

la voce stessa della giovinezza

More about JezabelDavvero bello e tremendo il romanzo Jezabel di Irène Némirovsky, impossibile non identificarsi nella protagonista, con la quale si arriva a scoprire che alla fine, tutte le passioni sono tragiche, tutti i desideri maledetti, perché si ottiene sempre meno di quel che si è sognato.
Lei, la mano ancora infantile, magra e senza anelli, il braccio snello su cui vi erano lividi e graffi perché, in certi momenti, si comportava come un maschiaccio, era brutale e amava i cavalli focosi, gli ostacoli, i pericoli. La sua è davvero la voce della giovinezza che chiede di essere eterna, che il piacere del ballo non finisca mai.

«Ho avuto anch'io diciott'anni, Gladys,» disse «e neanche tanto tempo fa... Capisco che il ballo vi appassioni, ma occorre saper abbandonare il piacere prima che sia lui ad abbandonarci... È tardi. Non vi siete divertita abbastanza?...»
«Sì, ma questo è già il passato» mormorò Gladys suo malgrado.
«Per non aver voluto rientrare all'ora giusta, domani sarete pallida e stanca... Questo ballo non è l'ultimo, la stagione non è ancora finita...»
«Ma presto lo sarà» disse Gladys e i suoi grandi occhi neri brillarono di desiderio e di disperazione. Gladys chinò il capo, ma non ascoltava; nel suo cuore si levava una voce interiore, ardente e selvaggia, che copriva tutte quelle vane parole, una voce forte e crudele che gridava: «Lasciami stare!... Lasciami al mio piacere!». Non sentiva nient'altro che quella fanfara inebriante, la voce stessa della sua giovinezza.

mercoledì 26 ottobre 2011

guarire l'america picchiando la gente

In Nextwave il britannico Warren Ellis crea un nuovo supergruppo il cui motto è un po' healing America by beating people up, perché è quel che vuole il pubblico.
Diventati supereroi per la maschera
cioè per poter picchiare gli avversari e svignarsela senza che nessuno sappia chi è stato , fuggiti dall'H.A.T.E. (Highest Anti-Terrorism Effort) e dalla folle guida del suo direttore  che fa uso delle droghe migliori che allungano la vita e che ogni giorno fuma duecento sigarette e cento sigari, beve una bottiglia di whisky e tre di vino bianco (a cena), mangia carne cruda (un animale intero da combattere, prima, a mani nude) , i nostri nuovi eroi cacciano e combattono mostri come un gigantesco rettile, parto dell'accoppiamento tra una lucertola e ammassi di scorie nucleari, che da oltre cinquant'anni brucia dal desiderio di accoppiarsi ma, non avendo nessun apparato genitale, è incavolato non è possibile immaginare quanto, e quindi fa uno spuntino di qualità con i dissetanti [per la maggior parte sono composti di acqua], saporiti [hanno tessuti e fluidi che trattengono aromi e altri residui di cibo], croccanti [hanno ossa friabili] eppure morbidi [hanno pelle calda e flessibile] esseri umani; inoltre affrontano robot vegetali creati con alghe geneticamente modificate e cresciuti in piantagioni come broccoli , koala mortali, agenti in tute da pterodattilo da combattimento, etc...
Divertente, citazionista, grottesco, geniale: è come Shakespeare ma con più scene di botte.


 

martedì 25 ottobre 2011

la lunga strada della vendetta

More about La lunga strada della vendettaVista la passione per Batman, visto che dopo Mucho Mojo volevo leggere qualcos'altro di Joe R. Lansdale, non ho potuto non intrattenermi con La lunga strada della vendetta. Una lettura leggera e piacevole, in cui emerge la figura del Cavaliere Oscuro così come piace a me, come una grande ombra piena di angoli acuti e nervature che emerge fulminea dall'oscurità del vicolo, come una chiazza di notte, un demone oscuro con le orecchie appuntite.


Le ombre si ammassavano ai suoi piedi e attorno al suo viso come un sudario. Il suo mantello volteggiava nella brezza come un brandello vivente di tenebra. Stava sorridendo. Sembrava folle. Scivolò verso l'uomo con un movimento così fluido che fu come vedere uno spettro sorvolare la terra. Come un rettile intento ad attaccare.

lunedì 24 ottobre 2011

nel paese dei fiori di ciliegio

Su consiglio di Dreca ieri sera ho letto il manga di Fumiyo Kono Hiroshima. Nel paese dei fiori di ciliegio. Una delicata, dolce, toccante storia ambientata nella cittadina nipponica prima e dopo la tragedia dell'esplosione di Little Boy, la bomba sganciata la mattina del 6 agosto 1945 dall'aereo statunitense Enola Gay. Un racconto che, nelle intenzioni dell'autrice, serve in qualche modo a far crescere chi lo legge "forte e gentile come un ciliegio".

Dopo l'acquazzone di ieri sera, qui è tutto luccicante. C'è stata una bella invasione di lumache.

mucho mojo

More about Mucho MojoSu consiglio di Ga(briele) di aNobii ho letto Mucho Mojo di Joe R. Lansdale.
Una lettura molto piacevole, coinvolgente, ironica, divertente, a tratti molto magica.
Credo che ne proverò un altro di questo autore.

Restammo a mangiarci una scatola di M&M's che Leonard aveva nello scomparto del cruscotto. Le pasticche al cioccolato si erano fuse in una massa multicolore, ma le mangiammo lo stesso.
- Gli M&M's verdi non dovrebbero avere brutti effetti? - chiese Leonard. - Ti ho sempre sentito dire che a quelli verdi bisogna stare attenti.
- Ho sentito dire che in ditta c'è un tizio che si fa le seghe nel ripieno degli M&M's verdi.
- No, - disse Leonard. - Quella è la maionese di McDonald's, o del Burger King, o di uno di quei posti lì. E il colpevole dovrebbe essere un nero. È  una roba tipo cospirazione. I neri, mica la pigliano la maionese. I musi bianchi, invece, non sono informati tutti quanti, e così qualcuno se la mangia. Ah, e quel nero ha l'Aids.
- Non mi racconti stronzate?
- Niente stronzate. Non è mostruoso? Un negro con l'Aids che sborra nella maionese dei poveri bianchi?
- Un negro frocio, ovviamente?
- E come no. Ed è pure brutto.

domenica 23 ottobre 2011

filosofo o supereroe?

«È da folli pensare a troppe cose in successione o a una cosa in modo troppo esclusivo», diceva Voltaire, ma forse il filosofo francese non ha mai avuto un incarico tanto gravoso come quello di Fantomex, uno degli eroi che, insieme a Wolverine e Psylocke, tenta di salvare il mondo nella serie a fumetti Uncanny X-Force.


La citazione è tratta dalla prima parte della saga Deathlok Nation (Uncanny X-Force 5 dell'aprile 2011, in Italia in X-Men Deluxe 199 dell'ottobre 2011).


l'arte di strisciare

More about Saggio sull'arte di strisciareI filosofi, che spesso sono di cattivo umore, considerano in verità il mestiere del cortigiano come vile, infame, pari a quello di un avvelenatore. I popoli ingrati non percepiscono la reale portata degli obblighi propri di questi uomini generosi che, pur di garantire il buon umore del Sovrano, si votano alla noia, si sacrificano per i suoi capricci, immolano in suo nome onore, onestà, amor proprio, pudore e rimorsi; ma come fanno quegli ottusi a non rendersi conto del costo di tanti sacrifici? Non pensano al prezzo da pagare per essere un buon cortigiano? Per gli uomini ordinari resta penoso soffocare nel cuore il grido della ragione. Soltanto il cortigiano riesce a tacitare questa voce inopportuna; lui solo è capace di così nobile sforzo.
Osservando i fatti da questa prospettiva, appare chiaro che l'arte di strisciare è senz'altro la più difficile da praticare. Tale sublime disciplina è forse la più grande conquista fatta dallo spirito umano. Solo al cortigiano è dato di trionfare su se stesso e di riportare una vittoria assoluta sugli impulsi del cuore. Guardate come si umilia, si riduce a un niente; attende di ricevere dal proprio padrone la propria essenza, cerca di individuare nei suoi tratti caratteri che lui stesso deve assumere; è come una cera malleabile pronta a ricevere qualsiasi calco le si voglia imprimere. Certi mortali sono affetti da una rigidità di spirito, un difetto di elasticità nei lombi, una mancanza di flessibilità nella cervicale; quest'infelice funzionamento impedisce loro di perfezionarsi nell'arte di strisciare e li rende incapaci di carriera a Corte. Serpenti e rettili guadagnano cime e rocce su cui neanche il cavallo più impetuoso riesce ad issarsi. La Corte non è per niente adatta a quei personaggi alteri, tutti d'un pezzo, incapaci di cedere a capricci, di assecondare fantasmi e nemmeno, se necessario, approvare o favorire crimini che il potere giudica necessari al benessere dello Stato.
Un buon cortigiano non deve mai avere un'opinione personale ma solamente quella del padrone. Un buon cortigiano non deve mai avere ragione, non è in nessun caso autorizzato ad essere più brillante del suo padrone. Il cortigiano ben educato deve avere uno stomaco tanto forte da digerire tutti gli affronti che il suo padrone vorrà infliggergli.
Su questa base si può ben giudicare se la vita del perfetto cortigiano non è da considerarsi un'infinita serie di penosi impegni. Tutti i tesori del popolo bastano a malapena per remunerare questi eroi, martiri volontari all'interesse collettivo. Quanto rispetto, quale venerazione siamo tenuti a dimostrare verso tali esseri, vedendo con quale generosità sacrificano costantemente fierezza, nobiltà e amor proprio!


un weekend postmoderno (3)

patti smith, horses
La terza tappa di lettura del testo di Tondelli comprende le pagine più narrative di Un weekend postmoderno, in perfetto stile tondelliano, e gli Affari militari, che mi hanno fatto una certa impressione per come siano quasi riusciti a farmi rimpiangere di non aver vissuto certe esperienze.
Ma è la sessione sulla Fauna d'arte che si sta d
imostrando, per quanto mi riguarda, la più interessante: una perfetta descrizione e narrazione della postmodernità, una perfetta riflessione storica e filosofica su questo periodo, portata avanti attraverso il racconto del costume (anche nel senso di abbigliamento) e della cultura popolare.
Così ritroviamo insieme la cravatta indossata da Patti Smith nella foro per la copertina dell'album Horses, la nascita di una musica da guardare e toccare e vestire oltre che da ascoltare, il nuovo fumetto italiano
di Andrea Pazienza il James Joyce del fumetto che raccoglie sulle sue tavole «narcisismo e autobiografia, giochi di parole e slang giovanile, tecnica rivoluzionaria nel disegno e nella composizione della tavola, talento inverosimile nella coniugazione di stili opposti, ma sempre riconducibili a un tratto personalissimo, politica e Movimento, droga e sballi, donne e amici e branchi e gruppuscoli, deliri e paranoie» e del selvaggio RanXerox  «l'automa e macchina compiuterizzata, in grado di trasferirsi, senza brusche rotture, nei travestimenti dell'uomo primitivo o di quello spaziale e galattico».
Quello che viene narrato è un nuovo ellenismo in cui tutto è mischiato, confuso, fluttuante, stratificato, sovrapposto, coesistente, simultaneo, centrifugato, contaminato; che dà il senso
«di trovarsi nei chip di memoria di un computer di fronte all'avventura umana ricapitolata in vista della fine del millennio»; in cui la ricetta appare la seguente: «mischiare & citare & confondere»; la cui protagonista è «una generazione che, nell'impossibilità di offrire a se stessa una ben precisa identità culturale, ha preferito non darsene alcuna, o meglio, mischiare i generi, le fonti culturali, i padri putativi, fino ad arrivare alla compresenza degli opposti. Una generazione in cui i linguaggi si confondono e si sovrappongono, le citazioni si sprecano, gli atteggiamenti e le mode si miscelano in un cocktail gradevole e levigato che forse è il succo di questa tanto chiacchierata postmodernità».
Chi ha mai spiegato meglio la condizione postmoderna e i piaceri dell'era elettronica?




sabato 22 ottobre 2011

sognando la vendetta

«Poiché la vita è quel che è, sogniamo la vendetta». Con questa citazione dell'artista Paul Gauguin inizia la storia di Uncanny X-Force numero 5.1 (numero speciale pensato per presentare il fumetto anche a chi non ne ha mai sentito parlare). E quello della vendetta è probabilmente uno dei temi di fondo più caratteristici di questa testata della Marvel.
Uccidere i Reavers cyborg che in passato si sono, come forse nessun altro mai, avvicinati allo sterminio degli X-Men, tra l'altro crocifiggendo Wolverine e spingendo Psylocke ad attraversare quel Seggio Periglioso, di ispirazione arturiana, oltre il quale è stata trasformata in una ninja killer, con tanto di cambiamento di corpo e riprogrammazione mentale, arrivando quindi a perdere quasi tutto ciò che era, e che ora stanno progettando un attentato all'isola-Stato mutante di Utopia – è la missione del gruppo in questa occasione. È lecito, per uno degli eroi, dei "buoni", provare gioia per l'opportunità di farla pagare a quei demoni, o è giusto essere spaventati di se stessi se all'idea di uccidere si inizia a provare piacere?
È la questione morale che incarna qui Psylocke  il punto filosofico di questo numero, e uno dei punti di forza di questa serie.

san sebastiano

Era una riproduzione del San Sebastiano di Guido Reni, che figura nella raccolta di Palazzo Rosso a Genova.
Il tronco dell'albero del supplizio, nero e leggermente obliquo, campeggiava sullo sfondo tizianesco d'una tenebrosa foresta e d'un cielo serotino, fosco e distante. Un giovane di singolare avvenenza stava legato nudo al tronco dell'albero, con le braccia tirate in alto, e le cinghie che gli stringevano i polsi incrociati erano fermate all'albero stesso. Non si scorgevano legami d'altra sorta, e l'unico rivestimento della nudità del giovane consisteva in un ruvido panno bianco che gli fasciava mollemente i lombi.
Immaginai che fosse la descrizione di un martirio cristiano. Ma siccome era dovuta a un pittore della scuola eclettica derivata dal Rinascimento, anche da questo dipinto che raffigurava la morte di un santo cristiano emanava un forte aroma di paganesimo. Il corpo del giovane - lo si potrebbe perfino paragonare a quello di Antinoo, il favorito di Adriano, la cui bellezza fu così spesso immortalata nella scultura - non reca alcuna traccia degli stenti o dello sfinimento derivati dalla vita missionaria, che improntano l'effige di altri santi: questo palesa invece unicamente la primavera della gioventù, unicamente luce e piacere e leggiadria.
Quella sua bianca e incomparabile nudità scintilla contro uno sfondo di crepuscolo. Le braccia nerborute, braccia d'un pretoriano solito a flettere l'arco e a brandire la spada, sono levate in una curva armoniosa, e i polsi si incrociavano immediatamente al di sopra del capo. Il viso è rivolto leggermente in alto e gli occhi sono spalancati, a contemplare la gloria del paradiso con profonda tranquillità. Non è la sofferenza che aleggia sul petto dilatato, sull'addome teso, sulle labbra appena contorte, ma un tremolio di piacere malinconico come una musica. Non fosse per le frecce con le punte confitte nell'ascella sinistra e nel fianco destro, egli sembrerebbe piuttosto un atleta romano che allevia la stanchezza in un giardino, appoggiato contro un albero scuro.
Le frecce si sono addentrate nel vivo della giovane carne polposa e fragrante, e stanno per consumare il corpo dall'interno con fiamme di strazio e d'estasi suprema. Ma il sangue non sgorga, non ha ancora infuriato il nugolo di frecce che si vedono in altri dipinti del martirio di San Sebastiano. Qui invece, due frecce solitarie mandano le loro ombre quiete e delicate sopra la levigatezza della pelle, simili alle ombre d'un ramo che cadono su una scala di marmo.

venerdì 21 ottobre 2011

i film però...

Se i primi due romanzi di Bret Easton Ellis mi sono piaciuti, purtroppo non posso dire lo stesso per i film da essi tratti. Sia Al di là di tutti i limiti sia Le regole dell'attrazione sono film che parlano di sentimenti e che sembra vogliano trasmettere un messaggio, quasi una morale, cose che nella splendida superficialità della scrittura di Ellis non mi sembra di aver mai esplicitamente trovato. Ma pur mancando di questa piacevole e liscia superficialità, non sono certo film piacevolmente profondi: quindi, due pellicole piuttosto mediocri.

giovedì 20 ottobre 2011

breat easton ellis

More about Le regole dell'attrazioneDopo essere rimasto affascinato da Lunar Park, mi sono dato alla lettura di altre produzioni di Bret Easton Ellis, così ho letto Meno di zero e Le regole dell'attrazione.
«I fatti, anche quando erano strettamente legati gli uni agli altri non avevano un vero ordine. Gli eventi non scorrevano. I fatti erano separati e casuali anche mentre accadevano, episodici, spezzati, senza passaggi scorrevoli, senza il senso di avvenimenti che nascessero da avvenimenti precedenti».
Questo l'esergo, tratto da Tim O' Brien, che Ellis pone al suo Le regole dell'attrazione, e a me sembra assolutamente perfetto per illustrar
e lo stile di scrittura dei due romanzi che ho appena letto: uno stile che è stato giustamente definito televisimo, da MTV, una scrittura elettrica, fredda, a frammento (più che a mosaico, visto che la figura d'insieme non viene a formarsi dall'incastro delle tessere), che simula lo zapping televisivo, tipica di una generazione caratterizzata da un enorme divario tecnologico con le precedenti.
Insomma, soprattutto il secondo mi è piaciuto molto.

mercoledì 19 ottobre 2011

un [cattivo] ragazzo

Bad Boy di Frank Miller è una potente satira politica e un'avventura di fantascienza arricchita dalle bellissime illustrazioni di Simon Bisley. Seguendo il solco già tracciato in lavori come la saga di Martha Washington (Give Me Liberty) racconto iconoclasta che vede gli Stati Uniti dilaniati da manipolazioni genetiche e da un governo militarista e quella della decadente società di Hard Boiled, Bad Boy è una meditazione ironica sulla politica moderna e sul vero significato della libertà. Ed è anche dannatamente divertente da leggere.
(da Marco Ricompensa, Un [cattivo] ragazzo, introduzione a Frank Miller, Simon Bisley, Bad Boy).

Querce Sacre. Un ecosistema in perfetto equilibrio. Prototipo di un nuovo mondo. Un mondo libero. Libero dall'odio. Libero dalla violenza. Libero dalle tossine. Libero dalla droga. Libero dalla carne. Libero dal fumo...
Querce Sacre. Il sogno di un mondo migliore, non contaminato dalle nostre nature spaventose, egoiste e carnivore. Non insudiciato dalla sprezzante volontà umana. Un mondo perfetto, pulito, armonico, libero da pensieri e parole aspre, da hamburger, birra e sigarette... da guerra e crimine e letteratura violenta e opinioni divergenti.
Strano come la parola "libero" significhi sempre qualcosa che non puoi fare.
Mi danno da mangiare una sbobba fatta di riso integrale e brodo, ma io vorrei un hamburger con patatine. Mi portano nella mia stanza. Loro dicono che questa è la mia stanza. Ma non ci sono pistole giocattolo né modellini di carri armati né mostri fighissimi. Tutti i miei giocattoli di Spawn sono spariti.


martedì 18 ottobre 2011

l'educazione sentimentale di oscar wao

Con La breve favolosa vita di Oscar Wao Junot Diaz ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa nel 2008. E al di là dell'ufficiale riconoscimento, il romanzo è davvero straordinario, fortunatamente non breve e davvero favoloso per la sua capacità di narrare una storia di crescita, di formazione, di educazione sentimentale, tessendo il tutto con riferimenti e citazioni alla cultura popolare in cui i protagonisti - e i lettori - sono immersi in questo processo di formazione della propria vita, e con un linguaggio intenso ed espressivo.
Te ne offro un breve assaggio:

"Cercai di aiutarlo con le ragazze? Condivisi con lui i miei trucchetti da scopatore? 
Certo che sì. Il problema era che, quando si trattava di mujeres, il mio compagno di stanza era unico al mondo. Soffriva del peggior caso di aficasia che avessi mai visto. L'unica persona che poteva reggere il confronto con lui era un mio compagno delle superiori, un povero salvadoregno con la faccia completamente ustionata, che non avrebbe mai trovato una ragazza perché sembrava il Fantasma dell'Opera. Ebbene: Oscar era addirittura peggio. Almeno Jeffrey poteva dare la colpa a un'effettiva menomazione fisica. A cosa poteva darla Oscar? A Sauron? L'amico pesava 140 chili, porca puttana! Parlava come un computer di Star Trek! Ma la vera tragedia era che non avevo mai conosciuto nessuno che sbavasse tanto dietro alle ragazze. Cioè, cazzo, credevo che a me piacessero le femmine, ma a nessuno, e intendo dire a nessuno, piacevano quanto a Oscar. Per lui erano l'inizio e la fine, l'Alfa e l'Omega, DC e Marvel. Era ridotto così male che appena vedeva una tipa carina gli veniva la tremarella. Si prendeva una cotta dopo l'altra: se ne prese almeno due dozzine, e belle toste, solo in quel primo semestre. Ma finiva sempre col beccarsi una botta nei denti. E vi stupite? Per lui, stare con una ragazza voleva dire parlare di giochi di ruolo! Che razza di stronzata! (Non dimenticherò mai il giorno in cui, sull'autobus E, lo sentii dire a una bella morena: Se fossi nel mio gioco, ti assegnerei diciotto punti carisma!).
Provai a dargli qualche consiglio, davvero. Niente di troppo complicato. Tipo: Smettila di chiamare le sconosciute per strada, e non nominare Beyonder più del necessario. Mi ascoltò? No, ovviamente! Cercare di farlo ragionare sulle ragazze era come prendere a sassate Unus l'Intoccabile. L'amico era impenetrabile. Mi ascoltava e poi scrollava le spalle. Se nient'altro ha efficacia, tanto vale essere me stesso. 
Ma il tuo te stesso fa schifo! 
È tutto quello che ho, disgraziatamente. 
Ma il nostro dialogo migliore è questo: 
Yunior? 
Cosa c'è? 
Sei sveglio? 
Se riguarda Star Trek... 
Non riguarda Star Trek. Tossì. Ho saputo da fonte certa che nessun maschio dominicano è mai morto vergine. Tu che hai esperienza in queste cose... pensi che sia vero? 
Mi drizzai a sedere. L'amico mi scrutava nel buio, serissimo. 
Oscar, è contro le leggi di natura che un dominicano muoia senza aver scopato almeno una volta. 
È questo che mi preoccupa, sospirò".

E ancora:

"E nel caso crediate che la sua vita non potesse diventare peggio di così: un giorno entrò alla Game Room e scoprì con stupore che la nuova generazione di nerd aveva smesso da un giorno all'altro di comprare giochi di ruolo. La nuova ossessione erano le carte Magic! Nessuno l'aveva previsto. Niente più personaggi o campagne, solo battaglie infinite tra mazzi di carte. Il gioco era stato spogliato di ogni elemento narrativo, di ogni spazio per la bravura individuale, e ridotto a pura, disadorna meccanica. Quegli stronzi di ragazzini andavano matti per quella roba! Oscar cercò di dargli una possibilità, cercò di mettere insieme un mazzo decente, ma Magic non faceva per lui. Perse tutte le carte con un teppistello undicenne, e scoprì che non gli importava. Il primo segno che la sua Epoca volgeva al termine. Ben presto avrebbe smesso di considerare irresistibile l'ultima trovata nerd, e avrebbe cominciato a preferire il Vecchio al Nuovo".

Un po' come la nonna de Le notti bianche di Dostoevskij, che "avrebbe voluto che tutto fosse come ai suoi tempi! Ai suoi tempi lei era più giovane, ai suoi tempi il sole era più caldo e persino la panna, ai suoi tempi, non diventava acida così presto!". C’è sempre qualcuno pronto a criticare, contestare e magari contrastare la personalissima traiettoria di crescita e formazione di qualcun altro, perché le cose devono rimanere come erano, come sono sempre(?) state.

lunedì 17 ottobre 2011

prof. logan

questa cosiddetta malattia mentale

klimt ritratto di Margaret Stonborough-Wittgenstein
Su suggerimento di Dreca, ho letto il romanzo in cui Thomas Bernhard ci racconta, come in un lungo elogio funebre, la sua amicizia con Paul, Il nipote di Wittgenstein (celebre filosofo del Novecento). Il loro rapporto amicale si fonda su certe affinità elettive, su certi comuni stati mentali che gli sprovveduti medici, con la loro cialtronesca scienza, definiscono patologici, malati, folli: «un amico vero che comprendeva le più folli acrobazie della mia mente davvero assai complicata e dunque niente affatto semplice, un amico che non aveva alcun timore di seguire passo passo le acrobazie più folli della mia mente, ciò che nessun'altra persona del mio ambiente è mai riuscita a fare perché a tutte queste persone è sempre mancata la voglia di farlo».  
Entrambi hanno la malattia del contare (porte e finestre dei palazzi che vedono mentre viaggiano in tram), entrambi non camminano a casaccio sulle strade lastricate (ma, ad esempio, saltando due pietre su tre o toccandone sempre il bordo), entrambi sono a loro agio solo nei viaggi e negli spostamenti (non sopportano di rimanere in un posto troppo a lungo). Per quanto Paul getti dalla finestra (della sua mente) le ricchezze spirituali che possiede, queste ricrescono sempre più, incessantemente, fino quasi a farlo esplodere, e di questo la società ha paura. Ma se c'è una differenza tra nipote (folle) e zio (filosofo), questa sta solo nel fatto che Ludwig Wittgenstein ha reso pubbliche (pubblicandole come trattati) le proprie ricchezze spirituali e la società le ha chiamate filosofia, mentre Paul è etichettato, a causa del suo comportamento pratico, come affetto da una «cosiddetta malattia mentale, che non è mai stata classificata con esattezza»: «Ludwig e Paul, il celebre, epocale filosofo e il pazzo, quel pazzo di Paul che era filosofico tanto quanto suo zio Ludwig, come viceversa il filosofo Ludwig era pazzo esattamente come Paul. Uno, Ludwig, era forse più filosofico, l'altro, Paul, era forse più pazzo, ma oserei dire che del più filosofico dei Wittgenstein noi pensiamo che sia stato filosofo perché ha messo nero su bianco la sua filosofia e non la sua pazzia, e dell'altro, di Paul, che sia pazzo perché ha represso la sua filosofia e non l'ha resa pubblica per mettere in mostra soltanto la sua pazzia. Erano entrambi persone assolutamente straordinarie, nonché cervelli assolutamente straordinari, solo che uno ha messo in pubblico il suo cervello, l'altro lo ha messo in pratica».

domenica 16 ottobre 2011

i giochi che bisogna possedere

More about Giochi da pavimento«La casa senza pavimento sul quale si possa giocare», scrive H.G. Wells in Giochi da pavimento, «piomba spesso nella tristezza». Serve un pavimento, cui occasionalmente si può concedere di dare una pulita, su cui i ragazzi ricevano «i germi di grandi e preziose idee per quando saranno adulti. Gli uomini di domani trarranno nuove energie dal pavimento della loro stanza dei giochi». Pavimento, tavole, mattoncini, soldatini, sistema ferroviario – e altri giocattoli che «risultano utilizzabili solo dopo essere stati fracassati» –, costituiscono un ottimo «pentagramma che esorcizza le vite di ragazzi e ragazze contro lo spirito malvagio dell'ottusità».
Nel fornire ai ragazzi questi giochi, però, bisogna stare attenti: «niente è indicativo della scadente qualità dei genitori e di tutto un giro di zii ebeti e incapaci come un mucchio di pezzi di trenini in scale differenti in una stanza dei giochi».

 

un weekend postmoderno (2)

More about Un weekend postmodernoContinuando la lettura delle cronache di Tondelli confermo la piacevolezza dell'immersione in atmosfere tipicamente tondelliane e il gusto per questa forma ibrida di saggistica/narrativa.
Mi è piaciuto molto il pezzo sui videogiochi (Phoenix). Continuano anche a piacermi il paragone tra una certa vita di provincia, giovanile e vacanziera e il carnevale alla Rabelais; la narrazione dell'immaginario collettivo; la capacità di intrecciare i fili della cultura "alta" e "bassa" (come in Fuori stagione, nel cui finale si passa dai film di Fellini ai videoclip di Loredana Bertè).
E, infine, mi sono goduto in pieno l'immersione nel clima scolastico e universitario, che praticamente io non ho mai abbandonato.


sabato 15 ottobre 2011

tutte le arti sulla punta delle dita

L'artista e scrittore inglese William Morris, pur confessando di non comprendere completamente le dottrine economiche di Marx ma di essere comunque affascinato dalle sue analisi storiche, confessa di essere divenuto socialista per l'odio provato nei confronti di una civilizzazione che «ha ridotto il lavoratore ad una forma di esistenza così scarna e pietosa che egli a mala pena è in grado di dar forma al desiderio per un tipo di vita migliore rispetto a quella che è ora costretto a condurre». Si fa dunque necessario «comporre davanti a lui il vero ideale di una vita piena e ragionevole, una vita in cui la percezione e la creazione della bellezza, godimento del vero piacere, siano sentiti come tanto necessari all'uomo quanto il suo pane quotidiano, e in cui nessun uomo o gruppo di uomini possano esserne privati».
La società del futuro ipotizzata da Morris prevede migliori condizioni materiali di vita e la liberazione dalla fatica del lavoro, trasformato nel libero e piacevole esercizio delle proprie energie, cui fa seguito il godimento del necessario riposo. Affinché ciò sia possibile «quelli che possono e sanno usare i mezzi di produzione della ricchezza dovrebbero avere tutta l'opportunità di farlo, senza essere costretti a cedere la gran parte della ricchezza che hanno creato ad un irresponsabile proprietario dei mezzi di produzione». 
L'invito che Morris rivolge all'uomo è: «scopri cosa tu stesso trovi piacevole e fallo, svilupperai una vita socievole nello sviluppare le tue speciali tendenze». «Ognuno dovrebbe avere sulla punta delle proprie dita tutte le forme elementari di arti» cosicché, armato con queste, «qualsiasi percorso egli possa voler intraprendere per l'esercizio delle proprie energie, troverebbe la comunità pronta ad aiutarlo con insegnamenti, opportunità e materiali». Il piacere dello sviluppo intellettuale, di una vita sensuale e della creazione della bellezza, sarebbe il tratto di questa società socialista.


 

venerdì 14 ottobre 2011

fumetti e cartoni

Due brevi saggi pubblicati dalla Tunué, casa editrice specializzata in fumetti e "cose" del genere.
sergio algozzino tutt'a un trattoIl primo è stato Tutt'a un tratto, una storia della linea nel fumetto presentata da Sergio Algozzino: si parte dalle origini di fine XIX secolo negli Stati Uniti e si passa per l'Italia del Corriere dei Piccoli, per il fumetto europeo (franco-belga) e di cultura ispanica (Spagna e Argentina), per i comics supereroistici a stelle e strisce seguendo tutte le loro età fino alle innovazioni di Frank Miller e Todd McFarlane, per i rivoluzionari manga da Osamu Tezuka a Go Nagai e Rumiko Takahashi, per il fumetto italiano d'autore (da Jacovitti ad Andrea Pazienza).
davide g.g. caci i simpson, i griffin & co.Poi è seguita la storia delle sit-com animate - dalla preistoria dei Flintstones ai giorni nostri - raccontata da Davide G.G. Caci in I Simpson, I Griffin & Co. Anche in questo caso si parte dalle origini del fenomeno, con i prodotti a basso costo perfettamente adatti al medium televisivo di Hanna e Barbera, e si arriva alla rivoluzione dei primi anni Novanta, iniziata dai gialli e cattivi Simpson e portata avanti, tra gli altri, dalle famiglie Hill (King of the Hill), Griffin, Smith (American Dad!), Boondocks, e dai protagonisti di Daria e South Park, tutte serie che manifestano in pieno le potenzialità di un linguaggio capace di parlare anche al pubblico adulto.
I due volumi soffrono un po' dello stesso difetto: sono troppo aneddotici, funzionano da elenco e promemoria da consultare, ma restano decisamente superficiali, non adatti a fungere da strumenti di analisi e per questo, per me, alla fine poco interessanti. Peccato.

giovedì 13 ottobre 2011

superwoobinda

La scrittura di Aldo Nove in Superwoobinda è decisamente elettrica, fluida, frammentaria, orale. Il modo migliore per rendere l'idea, forse, è quello di produrre un testo che funzioni, visto che è ciò cui questo stile assomiglia di più, come uno zapping continuo nelll'eterogeneo flusso televisivo, mettendo insieme brani di questa raccolta casuali e incompleti, come fossero, appunto, il risultato di un incessante e caotico cambiare canale.

Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure & Vegetal. Mi fa ridere, che nelle pubblicità rovescino sugli assorbenti e sui pannolini liquidi sempre blu! Io, da bambino credevo di pisciare molto sbagliato, perché pisciavo giallo. Mi chiamo Rosalba, ho ventisette anni e sono un attimino bella. Ciò dipende dal fatto che sono Bilancia ascendente Bilancia, cioè curo molto l'estetica. Ho letto la pubblicità di un mago che è esorcista si occupa di questi casi siamo andati da lui ha voluto subito 250 000 lire perché non era un mago qualunque ma un esorcista con la pubblicità sul giornale la fotografia davanti alla sfera di cristallo. È bello comperare dei libri. Una casa senza libri è molto triste. Io ne ho 75. Tutte enciclopedie, perché gli altri fanno disordine. L'edicolante mi tiene i fascicoli delle enciclopedie dei colori che gli dico. Il mestiere che io faccio è il sosia di quell'uomo che si vede tutto ricoperto di gomma nel film di un regista che si chiama Tarantino intitolato Pulp Fiction. È un personaggio facile da imitare in quanto non dice nulla, dura pochi secondi e non parla proprio per niente, tranne un grido soffocato quando il pugile gli dà un calcio alla fine. Tutti i telegiornali dicono che adesso c'è la guerra. Ho caricato mia moglie sull'automobile, i miei figli, il cane e siamo andati all'Esselunga. Papà, hanno detto a Canale 5 che forse vincono i comunisti, e il signor Ghebelino del terzo piano dice che allora comandano i negri che ci sono fuori dal metrò, e forse anche i parrucchieri culi. Poi Emilio Fede ha detto a un programma che devi controllare se è arrivata la scheda elettorale. Avevo paura! Anch'io avevo sentito al TG4 che forse vinceva i comunisti, tornava in giro la Gestapo dappertutto e robe del genere. Io lo so, cos'è il comunismo. Ho fatto l'enciclopedia in video cassette. Prima cosa, essi cancellano le televisioni, fanno solo i film sulla Russia, e tutti diventano uguali, vestiti alla cazzo. Un mondo bello come le Spice che ballano.

mercoledì 12 ottobre 2011

snikt!

Due graphic novel che vedono Wolverine, il mutante dagli artigli di adamantio e dall'incredibile fattore rigenerante, come protagonista.
Una di queste è Wolverine Snikt!,  realizzata dal mangaka Tsutomu Nihei – autore del fantascientifico Blame! –, in cui Logan è trasportato in un futuro da incubo dove dovrà affrontare terribili cyborg-zombi. Ecco qualche splendida tavola.


L'altra è
Wolverine Netsuke. Il netsuke è una forma di scultura in miniatura che si è sviluppata in Giappone per oltre tre secoli. All'interno di questi artefatti le donne mettevano dei piccoli oggetti personali, mentre gli uomini li usavano per assicurare le corde di seta dei loro obi che reggevano borsellini contenenti soldi o tabacco. I netsuke, di solito fatti di legno o avorio, venivano decorati e scolpiti a mano, diventando così dei preziosi oggetti d'arte. Un avventura giapponese di Wolverine scritta e dipinta da George Pratt.

martedì 11 ottobre 2011

lo specchio

Quando ho visto Lo specchio, di Andrej Tarkovskij, ammetto di essere rimasto affascinato dall'estetica di questo film assolutamente non narrativo e costituito, invece, da un illogico fluire atemporale di memorie, ricordi, fatti attuali, spunti onirici, ricostruzioni storico-documentaristiche. Tutto davvero molto poetico. E molto belle anche le poesie che il regista inserisce nella pellicola, come quella, composta dal padre, che si può sentire verso la fine.

 
L'uomo ha un corpo solo,
solo come la solitudine.
L'anima è stanca
di questo involucro senza connessure,
fatto d'orecchie e d'occhi,
quattro soldi di grandezza,
e di pelle - cicatrice su cicatrice,
tirata sulle ossa.
Dalla cornea vola dunque via.
Nel pozzo spalancato del cielo,
sulla ruota di ghiaccio,
sulle ali di un uccello,
e sente dalle inferriate
della sua vivente prigione
il sussurrare dei boschi e dei campi,
il rombo dei sette mari.
Senza corpo l'anima si vergogna,
come un corpo svestito,
né pensiero, né azione,
né progetti, né scritti.
Un enigma senza soluzione:
chi ritorna sui suoi passi
dopo aver ballato sul palco
dove nessuno balla?
E sogno io un'anima
diversa, in una nuova veste:
che arde, passando
dal timore alla speranza.
Come fiamma che si alimenta nell'alcool,
priva d'ombra, che vaghi per la terra
lasciando a suo ricordo sul tavolo
un tralcio di lillà.
Corri, bambino, non piangere
sulla misera Euridice,
e con la tua piccola asta per le vie del mondo
sospingi ancora il tuo cerchio di rame;
anche se udibile solo per un piccolo quarto,
in risposta ad ogni tuo passo,
allegra ed asciutta,
la terra ti mormora negli orecchi.

lunedì 10 ottobre 2011

il quarto stato

In tutta la sua produzione artistica il pittore Giuseppe Pellizza da Volpedo sembra presentare un concetto pessimistico della vita. Nella sua opera rari sono i momenti gioiosi, se anche in quello che dovrebbe essere un Idillio primaverile (1896-1901) echeggiano i passi sottolineati dall'autore nel romanzo dell'epoca Nell'ignoto (1896): «l'anima del sensibile adolescente schiudesi di repente all'amore e tra i due cugini, quasi inconsciamente incomincia l'eterno idillio». Il presentimento d'una futura e ineludibile sofferenza si proietta sulla scena d'un amore nascente e vagamente incestuoso. Presentimento di sofferenza che si concreta, invece, in Il morticino o Fiore reciso (1895-1906).
Il pittore si concentra con ostinazione sulla rappresentazione di sé e della sua famiglia, come dimostrano i numerosi autoritratti e ritratti svelando una certa ossessione del nido, dell'idea che non c'è "io" senza famiglia , l'irruzione della moglie Teresa e la rapida intensificazione del tema della donna col bambino, come in Donna seduta con bambino (1888), Pensieri o Teresa (1891), Mammine e Sacra famiglia (1892). In questo si mostra un processo di idealizzazione della figura femminile ma anche l'introduzione di innovazioni iconografiche: nella Sacra famiglia la figura della Madonna arriva in primo piano con un gesto che è, innanzi tutto, il rifiuto di conservare un ruolo passivo e gregario; la Madonna è giovane e protagonista, laddove san Giuseppe, confinato sullo sfondo, è vecchio e stanco, in una posizione assolutamente subordinata, e tutto questo quando la dimensione di quotidianità è ancor più accentuata dal fatto che le figure sono prive di aureola. il movimento di quella Madonna col bimbo in braccio anticipa quello della donna in primo piano del Il Quarto Stato (1901).
Oltrepassando decisamente la rigidità allegorica che la rappresentazione del femminile aveva conosciuto nella Francia rivoluzionaria giacobina nei quadri di Jean-Baptiste Regnault (La libertà o la morte, 1795) e Antoine-Jean Gros –, Teresa che nel Quarto Stato simbolicamente avanza verso il futuro rappresenta la realizzazione finalmente concreta, plausibile, popolare di quei valori di libertà, uguaglianza e fraternità di cui le tele francesi sono state il memorabile ma astratto paradigma. La contraddizione tra le simbologie culturali di una ben codificata tradizione relativa alla rappresentazione della donna e le opzioni politiche recepite dalla cultura del tempo, è sintetizzata da Pellizza nell'ambivalenza simbolica d'un femminile sospeso tra tradizione ed emancipazione, famiglia e partecipazione alla scena pubblica, forza e indipendenza, maternità e individualità, dimostrando una tenace volontà d'aggiornamento da parte del pittore sulla questione femminile.
Posizione socialista, anche se il socialismo di Pellizza è umanitario e pacifico come quello del Giovanni Pascoli che scrive «io mi sento socialista, ma socialista dell'umanità, non d'una classe» (1899), e che compone i versi della poesia La voce dei poveri (1902): «Non dateci ilo pane, ma i pani, sì d'oggi, e sì pur di domani, di sempre, o pie genti! Non dateci il vostro buon cuore cambiandolo in nostro rossore; voi uno, noi venti. Non pane soltanto ch'è nulla, ma vesti e la casa e la culla: non rame, ma oro: non ciò che a più chiedere invita, ma tutto: non vitto, ma vita: lavoro! lavoro!». Il socialismo di Pellizza si realizza in una decennale e costante rielaborazione tematica che va da Ambasciatori della fame (1892) ad, appunto, Il Quarto Stato.  
Se in una nota di diario del 1891 Pellizza segna «Scioperi – anche le donne possono prendervi parte – una donna nel quadro può venire in prima linea con essi», ecco che in Fiumana (1895-98) il garzoncello in primo piano di Ambasciatori della fame viene sostituito dalla donna col bimbo in braccio, la quale conquista la scena e la parola. In un'altra nota, del 1896, l'autore scrive: «passa la fiumana dell'umanità, genti correte ad ingrossarla. Il restarsi è delitto, filosofo, lascia i libri tuoi corri a metterti alla sua testa. Artista, con essa ti reca ad alleviarle i dolori colla bellezza che saprai presentarle. Operaio, lascia la bottega in cui per lungo lavoro ti consumi. La moglie e il pargoletto teco conduci ad ingrossare la fiumana dell'Umanità assetata di giustizia».
Anche Giovanni Verga ne I Malavoglia (1881) presenta il nesso tra fiumana e progresso, parlando del «movente dell'attività umana che produce la fiumana del progresso», ma sostenendo che «il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l'umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell'insieme, da lontano», perché a questo progresso generale della specie si contrappone la rovina del singolo individuo. Nella novella rusticana Libertà (1883), sui fatti sanguinosi di Bronte dell'agosto 1860, la metafora fluviale serve infatti a Verga per condannare implicitamente l'immaturità politica e la violenza gratuita, modello replicato da De Roberto ne I Viceré (1894) e da Pirandello ne I vecchi e i giovani (1913).
Da Fiumana a Il Quarto Stato c'è il passaggio da una massa che s'ingrossa come un fiume in piena a una schiera contenuta nel numero e compattamente solidale, con tensioni smorzate, sublimate, compresse, latenti.
Nell'incedere dei lavoratori di Pellizza, come nei poveri di Pascoli che chiedono in coro, si può ravvisare  determinazione, consapevolezza della propria forza, ma la figura a grandezza naturale di una massa di contadini è insieme imponente e composta, è distribuita per file ordinate e avanza con dignità verso il futuro, in una forma di protesta silenziosa, cosciente di sé e delle proprie ragioni. L'ardore e la fede nell'avvenire e la coscienza di classe – le stesse del Metello (1955) di Vasco Pratolini, romanzo la cui vicenda abbraccia un arco cronologico che va dal 1873 al 1902 e coincide quindi quasi esattamente con la non lunga vita di Pellizza – sono mostrate con un carattere solenne ed emblematico, e la statuarietà di tutta la grande famiglia dei figli del lavoro è l'icona di un'umanità in cammino verso un destino ineluttabile di libertà, giustizia ed eguaglianza.
In una nota del 1892 su Ambasciatori della fame Pellizza scrive di voler raffigurare «la massa del popolo senza schiamazzi tranne laggiù in fondo dietro a tutti un pugno alzato, solo un pugno, che è come un avvisamento qualora il caso fosse disperato e la fame pervenisse all'insopportabilità». E ancora, in una nota del 1895, scrive: «vengono a reclamare ciò che di diritto – sereni e calmi, del resto, come chi sa di domandare né più né meno di quel che gli spetta –, è l'ora del riscatto, così pensano e non vogliono ottenere colla forza, ma colla ragione». L'intento del pittore è dunque quello della nobilitazione, dell'elevazione morale, della sublimazione, quello di mostrare i lavoratori come dovrebbero essere.
Ma anche nel dipinto Il Quarto Stato, culmine di questa sublimazione, traspare tutta la difficoltà di conciliare un socialismo gradualista e antirivoluzionario alla Turati con l'immagine maestosa e terribile della folla. Tutti i dubbi sul titolo definitivo da attribuire all'opera –  da Ventre vuoto, Budella vacue, Marcia dei Titani, Fiumana famelica a Fratelli-Prossimo, Marcia del Trionfo, Alla conquista dell'ideale, Redenzione emergono nel senso di terribile incombenza, di ansiosa e paradossale calma che precede il precipitare di una situazione, di intenzione congelata ma non meno minacciosa, di aggressività appena dissimulata, che trapela dall'indignazione dei lavoratori.
Questo forse spiega anche perché, nel 1992, Gianfranco Manfredi nel romanzo Magia rossa trasformi i personaggi del quadro di Pellizza in zombi, e, nel 1993, Tiziano Sclavi faccia marciare il suo eroe Dylan Dog alla testa d'un corteo di orride creature, esemplato sul modello del dipinto di Pellizza, così da confessare il versante notturno e rimosso della massa, per nulla redento dagli esibiti valori di civiltà e progresso attraverso cui il pittore aveva tentato di sublimarla.
Resta la relazione tra gli intenti di glorificazione che il quadro pretende d'avere e gli impliciti presagi che continua a proiettare, tra ciò che il quadro vuole essere e quello che rimuove sotto la sua coscienza ideologica ma che preme nella materialità del segno
Del resto, le pecore e i greggi lavorati da Pellizza in contemporanea all'impresa che l'avrebbe condotto a Il Quarto Stato, molto ci possono dire della massa di lavoratori che vi si celebra. Volendo attribuire alla transumanza di pecore de Lo specchio della vita (1895-98) il titolo simbolico di Verso la luce, la stessa luce del radioso avvenire verso cui i lavoratori sono incamminati, Pellizza fa sì che ai lavoratori venga associato lo stesso crudele destino che tutti i greggi si portano dietro «i cavalli son fatti per esser venduti; come gli agnelli nascono per andare al macello» (Verga, Jeli il pastore).



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