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martedì 11 ottobre 2011

lo specchio

Quando ho visto Lo specchio, di Andrej Tarkovskij, ammetto di essere rimasto affascinato dall'estetica di questo film assolutamente non narrativo e costituito, invece, da un illogico fluire atemporale di memorie, ricordi, fatti attuali, spunti onirici, ricostruzioni storico-documentaristiche. Tutto davvero molto poetico. E molto belle anche le poesie che il regista inserisce nella pellicola, come quella, composta dal padre, che si può sentire verso la fine.

 
L'uomo ha un corpo solo,
solo come la solitudine.
L'anima è stanca
di questo involucro senza connessure,
fatto d'orecchie e d'occhi,
quattro soldi di grandezza,
e di pelle - cicatrice su cicatrice,
tirata sulle ossa.
Dalla cornea vola dunque via.
Nel pozzo spalancato del cielo,
sulla ruota di ghiaccio,
sulle ali di un uccello,
e sente dalle inferriate
della sua vivente prigione
il sussurrare dei boschi e dei campi,
il rombo dei sette mari.
Senza corpo l'anima si vergogna,
come un corpo svestito,
né pensiero, né azione,
né progetti, né scritti.
Un enigma senza soluzione:
chi ritorna sui suoi passi
dopo aver ballato sul palco
dove nessuno balla?
E sogno io un'anima
diversa, in una nuova veste:
che arde, passando
dal timore alla speranza.
Come fiamma che si alimenta nell'alcool,
priva d'ombra, che vaghi per la terra
lasciando a suo ricordo sul tavolo
un tralcio di lillà.
Corri, bambino, non piangere
sulla misera Euridice,
e con la tua piccola asta per le vie del mondo
sospingi ancora il tuo cerchio di rame;
anche se udibile solo per un piccolo quarto,
in risposta ad ogni tuo passo,
allegra ed asciutta,
la terra ti mormora negli orecchi.

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