Pages

sabato 31 dicembre 2011

l'arte di chiudere il becco alle donne

Ma dove sono le donne? Dove sono le filosofe? Dove sono le donne, con le loro idee piene di fascino. Di filosofe proprio non se ne vedono. Vi sono donne alla guida di nazioni, imperi, partiti. Conosciamo poetesse, scrittrici... ma le filosofe? Ce ne sono tantissime, ma sono tutte dipinte! Basta alzare lo sguardo sui muri della Sorbona, si vedono ovunque pomposissime allegorie femminili nel grande anfiteatro firmato dal pittore neoclassico Puvis de Chavannes. Ma da dove arrivano quelle muse che dovrebbero ispirare studenti e professori? Soprattutto dai bordelli parigini. La Verità forse si chiamava Ninì e, sotto le spoglie della Prudenza, professori e studenti potevano riconoscere la Grande Fernanda. Misoginia? I filosofi si sono limitati a rispecchiare la misoginia della loro epoca, l'hanno elaborata e le hanno dato una forma. Sul tema monotono della debolezza della donna, hanno ricamato e costruito un concetto della "natura" femminile come incapace di concettualizzare. Certo, la filosofia non è l'unica attività non femminilizzata: poche sono le donne direttrici d'orchestra o fantine; e che io sappia non ci sono donne lottatrici di sumo. Una volta una donna tentò di occupare il seggio di san Pietro, nondimeno il magistero papale resta un'attività prettamente virile. È certo che non si tratta di una dimenticanza, né di un banale ritardo. Le donne sono espressamente pregate di non autoinvitarsi nella cerchia esclusiva dei pensatori. La filosofia è l'arte di chiudere il becco alle donne.
Eppure provate a parlare di debolezza delle donne a qualcuno che vive nel mondo di Medea, delle Baccanti, delle Menadi, delle Amazzoni, delle cacciatrici di Artemide! Donna è il nome di un'energia sovrumana che può far tremare di paura. Classi femminili, classi pericolose! Ammetterete che sarebbe il caso di riunirsi tra uomini per prendere dei provvedimenti, decretare l'eccellenza di una vita moderata e instaurare la filosofia come amore della saggezza, del pensiero ordinato e del linguaggio articolato. A proposito delle baccanti, per conoscerle, vi do un consiglio: fate caso ai capelli. La baccante ha i capelli sciolti. Una donna in ordine e curata ha sempre i capelli raccolti. Quando li scioglie significa che la Forza è in lei, la forza del desiderio amoroso – è nell'alcova, e solo per l'amante che le donne un tempo si scioglievano i capelli – oppure è la forza di un dio pericoloso che non rispetta niente, né le trecce né lo chignon, un dio che spettina.  
Dal mio punto di vista, non c'è alcuna incompatibilità tra la Donna e la Filosofia. Se le donne non hanno avuto voce in capitolo, potrebbe essere per un problema di organi, di corde vocali? Parlare in pubblico, equivale a mettersi a nudo. Per l'uomo non rappresenta sempre un inconveniente: l'arte oratoria è per lui un modo di competere in virilità. Gli uomini sono come i Tre Moschettieri, hanno bisogno che le armi tintinnino, e la filosofia è una forma prettamente maschile di rumoroso sfoggio delle armi. Tuttavia Aspasia e le geishe ateniesi hanno diffuso nel IV secolo prima di Cristo una forma raffinata di espressione, orale e scritta, arte del conversare e dello scrivere. Lei e le sue amiche hanno partecipato alla storia della filosofia ma non appaiono nella foto. È una questione d'inquadratura. Da Platone in poi la lezione è la seguente: le donne possono partecipare alla storia della filosofia ma devono restare fuori dall'inquadratura.
C'è in ogni caso una condizione per fare parte del club dei filosofi: va bene scrivere, ma bisogna pubblicare! Per lungo tempo la letteratura femminile si è limitata alla posta e ai diari, vale a dire a una scrittura personale a breve termine. Se ci fosse un principio di scrittura femminile si enuncerebbe così: si scrive sempre per qualcuno. Al contrario, nel cuore della filosofia agisce un principio maschile secondo cui si scrive per tutti, per il mondo intero, senza destinatario particolare. I filosofi si convincono che sono messaggeri dell'Universale. Nei salotti parigini del XVII e XVIII secolo, universo che Benedetta Craveri descrive ne La civiltà della conversazione, le donne danno origine ad uno stile capace di far brillare il vero e di dare fondamento al brillante, ad una alleanza tra la Verità e la Consolazione, la Scienza e il Piacere. È proprio tale alleanza a interessare Hume ed egli la traduce così: «unire le forze del sapere e il mondo della conversazione», vale a dire il mondo degli uomini e il mondo delle donne, i dotti e le dame. Egli pensa che accanto ai trattati, ai corsi e ai discorsi, bisogna sviluppare il genere meno pesante del saggio, opera breve scritta intorno ad un solo argomento senza tecnicismi. È un'alternativa al librone oscuro di filosofia e al romanzetto: il saggio è una conversazione da salotto, la felice unione dello scritto e dell'orale, salva la parola femminile dall'inferno delle chiacchiere, della parlantina, del cicaleccio, delle ciance, dei pettegolezzi. Ma con il Terrore rivoluzionario il mondo della conversazione, quel nuovo modo di pensare e di scrivere, cade nel cestino della crusca insieme alle teste di quelle sfrontate, e il salotto, l'arte di fare circolare il nulla con eleganza, l'arte di perdere mollemente tempo, non è cosa seria.
All'inizio del XIX secolo Hegel era l'organo centrale della Verità. Per interpretare tale formidabile ruolo, non bastava una voce da femminuccia: occorreva una voce sicura, magistrale, categorica, che dicesse "È così e basta", una voce virile che affermava con forza delle verità così come si batte un'incudine. Ma le cose non stavano così. Pare che Hegel fosse munito di un organo difettoso: si schiariva la voce e tossicchiava continuamente. Tra balbettii e farfugli, però, il filosofo produce cose serie: la serietà, la filosofia, il Concetto, il Sapere, se paragonati a questi, gli altri discorsi umani sono frivoli e caduchi. O è semplicemente ridicolo? In occasione di un passaggio a Berlino, un giovane filosofo, un certo Schopenhauer, non era riuscito a prendere sul serio il predecessore di Hegel e idolo delle folle studentesche, Fichte: «Durante questo corso, dice delle cose che mi fanno venir voglia di mettergli una pistola alla gola dicendogli: "Devi morire subito senza pietà; ma per amore della tua minuscola anima, dimmi se questo tuo linguaggio ostrogoto nascondeva un pensiero sensato o se ti sei solo preso gioco di noi?"».
Il Filosofo è una macchina pensante che ha una risposta a tutto, anche al dolore di una donna sconosciuta che è stata lasciata, perché il suo fine non è il bene ma il Vero e per lui la filosofia non è né un balsamo né una pozione. Per quanto riguarda Schopenhauer – un tipo violento, come abbiamo potuto constatare – la sua collera contro le preparatrici di decotti filosofici sembrava senza limiti. Ci aveva avvertiti: «La mia filosofia è sprovvista di comodità, e ciò in quanto dico la verità». Avvertimento per gli infermieri dell'anima! La versione virile della filosofia non lascerà loro nessuno spazio. I due campi si affrontano: da una parte gli uomini, che collocano la Verità al di sopra di tutto e iniziano ogni discorso dicendo: "Ho ragione e posso provarlo". E dall'altra le donne, fedeli alle loro nonne – di cui conservano, in un angolo della memoria e dell'armadio, la ricetta di un decotto per curare i colpi di sole, di un bouquet di piante per guarire le emicranie o un ciondolo porta fortuna –, che situano al di sopra di tutto la cura, l'attenzione a sé e che pensano sia giusto voler guarire. 
Un aneddoto racconta che alcuni visitatori arrivati sulla soglia della casa del grande Eraclito, non osano entrare perché il filosofo si scaldava vicino al fuoco. Il saggio di Efeso li incoraggia a farsi avanti dicendo loro: "Gli dei sono anche qui, nella cucina". La filosofia non è soltanto una questione di idee, di concetti o parole ma anche di cose che si colgono e si preparano. Ora, nel suo Simposio Platone non si abbassa mai a parlarci di cucina, partendo da un avvenimento ricco, equivoco, meticcio, Platone costruisce un testo purificato, univoco, maschile: prendete una decina di convitati, lasciate evaporare le contingenze materiali, nascondete fornelli e anfore, cancellate gli spuntini, conservate solo le parole e servite freddo. In realtà non c'è nessuna fine conversazione senza fine nutrimento! Per pensare una filosofia "paritaria" – se ci piace il termine – bisogna pensare una filosofia ben temperata, umida, rabelaisiana, tessile: la filosofia si tesse con molteplici fili e legami, non tagliandosi fuori dalle cose, non toglie la parola a nessuno, non è l'arte di interrompere, una pratica senza soluzione di continuità con la ghigliottina, o di far tintinnare le armi.

(da Frédeéric Pagès, La filosofia o l'arte di chiudere il becco alle donne)

venerdì 30 dicembre 2011

mosè

Savonarola può essere visto come esempio del confluire di due tradizioni che non rifuggono dall’ira: quella dell’aristotelismo tomistico spesso adottato dall’ordine domenicano e quello della tradizione dell’ira di Dio, che riferisce alla fabbricazione del vitello d’oro, allo scatto d’ira di Mosè che spezza le tavole della legge, all’uccisione delle tremila persone colpevoli di una regressione a divinità dagli uomini. Il modello di Mosè quale emancipatore del suo popolo sta alla base della nostra immagine di rivoluzione. Tutte le rivoluzioni moderne considerano le fasi di transizione, l’attraversamento del deserto, come il momento in cui occorre la durezza affinché non si perda la fede nella Terra Promessa e nella sua invisibile necessità, dettata dalla nuova divinità che è la Storia.
Anche per Machiavelli è necessario far uccidere coloro che sono impossibilitati a comprendere il nuovo. «Tutt’i profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorno. Moisè, Ciro, Teseo e Romulo non arebbero potuto fare osservare loro lungamente le loro costituzioni, se fussino stati disarmati». Diversamente da Savonarola, Papa Giulio II Della Rovere non era un profeta disarmato. Questo combattivo Papa «procedette in tutto il tempo del suo pontificato con impeto e con furia». Non per nulla, sulla sua tomba in San Pietro in Vincoli Michelangelo ha potentemente messo al centro il suo Mosè, nel momento in cui sta per cedere all’ira e spezzare le tavole della Legge.
Nel Mosè e Aronne di Schönberg si presenta la complementarietà antagonistica tra i due fratelli: da un lato vi è Mosè, il rappresentante della legge, della parola essenziale, del pensiero senza immagini, della trascendenza; dall’altro lato vi è Aronne, che dona al popolo immagini visibili, fatte dall’uomo, in grado di compiere miracoli, attorno alle quali sono lecite l’anarchia e le orge. Si tratta di una polarità ineliminabile.
Noto è l’episodio di un dibattito tra un rappresentante del Partito Comunista Tedesco e uno del Partito Nazional-Socialista Tedesco. Il comunista infarcì il suo discorso di cifre, di citazioni dal Capitale di Marx, discettò sulla caduta del saggio medio di profitto; il nazionalsocialista al contrario fece ricorso al mito, alle immagini, all’emotività, assimilò comunismo e capitalismo in quanto fattori di disumanizzazione e di prevalenza delle macchine, toccò le corde profonde dei presenti e alla fine uscì trionfalmente vincitore da questo duello oratorio convincendo delle sue idee anche chi era contrario.

(Remo Bodei, Il Mosè di Schönberg e quello di Machiavelli, in AA.VV., Figure del conflitto)

giovedì 29 dicembre 2011

figure del conflitto

Della raccolta di saggi Figure del conflitto si salvano ben pochi articoli e spunti. Ma qualcosa sì. Tipo queste citazioni.

Varcare la frontiera è stato spesso sinonimo di conquista e di dominio, ma si tratta di un rischio insito in tutte le relazioni umane, quando a guidarle sono i rapporti di forza. Al contrario, il rispetto delle frontiere costituisce già di per sé un segno di pace. In se stesso quindi il concetto di frontiera indica la distanza minima tra gli individui, affinché questi possano comunicare fra loro come desiderano. Imparare la lingua dell'altro e i suoi codici significa stabilire con lui una relazione simbolica basilare, rispettarlo ed entrare in comunicazione: superare la frontiera. Una frontiera è fatta dunque per essere oltrepassata: è una soglia che invita al passaggio, non un muro che lo impedisce. (Marc Augé, Frontiere e globalizzazione)

L'essere umano è immerso nel mondo invece che presupporsi al centro delle sue metamorfosi. Farsi piccoli per sentire la grandezza. Spiritualizzarsi nella materia. Uscire dalla propria corazza autoritativa, esclusiva e contemplativa. Cercare la propria internalità nell'esternalità. Immaginarci fuori di noi, diffusi e disciolti in infiniti campi di forza. Destreggiarsi in essi. L'idea che le tecnologie siano protesi dell'umano, che queste protesi, frutto di intelligenza e strumento di lavoro sociale, entrino per ciò stesso a far parte integrale della natura umana. Invasato, una eccitazione che la persona che non riesce più a contenere dentro la pelle, la divisa, il costume e le mode di un comportamento sociale normalizzato. (Alberto Abruzzese, Senza titolo)

Auschwitz non è sacrificio, perché le vittime per i carnefici non avevano alcun valore: scarafaggi, come la creatura annientata nella Metamorfosi di Kafka. 
Benjamin aveva già detto che bisogna spezzare la falsa e aberrante totalità del simbolo per arrivare al frammento: il torso. Questa azione di decomposizione del mondo in frammenti è il processo stesso della significazione, per cui il senso sembra potersi dare soltanto attraverso rovine.  
Il sistema hegeliano che risolve dialetticamente il negativo, lascia ai suoi margini una "negatività senza impiego"; e io sono, dice Bataille, «esattamente questa negatività senza impiego». E dunque «la mia vita, la ferita aperta che è la mia vita - da sola costituisce la confutazione del sistema chiuso hegeliano».  
(Franco Rella, La filosofia e i possibili)
 
Un nuovo soggetto si è costruito, sia attraverso nuovi saperi, sia attraverso una nuova attività produttiva, divenuta sempre più ampiamente intellettuale e cooperativa. Il nuovo soggetto produttivo è immerso in una nuova temporalità che non ha nulla a che fare coi tempi della giornata lavorativa classica. Esso ha anche a che fare, inoltre, con una nuova mobilità nello spazio. Volendo continuare nella caratterizzazione di questo nuovo soggetto possiamo aggiungere che, a partire da questa condizione, qui si determina un nuovo regime di desideri, quindi nuove potenzialità costituenti.
(Antonio Negri, Sul concetto di rivoluzione) 

martedì 27 dicembre 2011

il fascino discreto del vuoto

«Al di là delle occasionali comparsate di un presunto essere supremo, quello di Dylan Dog è un universo senza Dio, senza un fondamento trascendente, in cui l'uomo è solo di fronte al Nulla, e in cui la Realtà non riguarda gli individui», conclude Roberto Manzocco nell'epilogo del suo saggio. Eppure, più che essere disperante, questa visione rende la realtà misteriosa e piena di sfide: questa condizione di essere costantemente minacciati e sotto tiro stimola l'emotività e l'orgoglio, il desiderio di riconoscimento, l'aspirazione a conseguire e ottenere, il bisogno di azione, la natura combattiva e competitiva, tutta una parte, insomma, dell'animo umano che il filosofo americano Harvey C. Mansfield ha chiamato in un suo testo manliness. Essa non è solo auto-affermazione in un mondo ostile, ma anche senso di giustizia e fastidio per l'ingiustizia, un sussulto che spinge a combattere sia quando tutto il resto è contro di noi, sia quando si sanno le proprie posizioni come coraggiose e giuste. «E forse è proprio questa» chiude l'autore – «la radice del fascino con cui questo fumetto originariamente così nichilista ci cattura. Ci induce un senso di accerchiamento, e con ciò istiga in noi una sorta di rabbia esistenziale, che ci spinge ad una rivolta simbolica contro la realtà. La serialità ci induce un senso di speranza e di familiare attesa, e ci fa confidare nella resilienza dell'Indagatore dell'Incubo. Riesce a stimolare in noi il desiderio di ribellione e di autoaffermazione esistenziale».

lunedì 26 dicembre 2011

un uccello spirituale con un'animalità di seta e d'acciaio

More about Il vangelo di NietzscheInvogliato dal titolo e sotto convincenti sollecitazioni esterne ho acquistato in occasione dell'ultima edizione di Più libri più liberi, la fiera della piccola e media editoria che si tiene ogni anno a Roma ad inizio dicembre, Il Vangelo di Nietzsche, raccolta di interviste rilasciate tra il 2003 e il 2005 da Philippe Sollers.
Il romanziere e saggista francese sostiene che è in corso un «piano tirannico» per «impedire quanto è possibile all'umano di pensare, attaccando neurologicamente le sue capacità di lettura: riduzione del linguaggio, quindi riduzione della percezione, della sensazione, psicologizzazione a oltranza», per rendere l'uomo un «ruminante dominato, castrato dalla comunicazione e dallo sfruttamento economico globale». Per rendersi refrattari a questo attacco serve una strategia bellica, bisogna lottare, e l'arma, secondo Sollers, è la poesia, che però oggi è per lo più appiattita perché i poeti sono «infingardi», «mancano di ambizione», «si accontentano di poco» e si rendono schiavi volontari. Al linguaggio resta così la capacità comunicativa, ma si pensa sempre di meno, poco o niente.
Pensare del resto, afferma Sollers, «è pericoloso per il benessere fisiologico dell'essere umano. Ecco quello che afferma Nietzsche, che è pregevole (sappiamo che ha affrontato ogni rischio del pensare): "Un tale pensiero è vortice e vertigine per ossa umane e anche vomito di stomaco" [Così parlò Zarathustra]». Dall'appiattimento generale così prodotto «qualcosa è stato occultato, bloccato, chiuso, escluso», cioè «l'accesso alla comprensione orfica della natura... L'orfismo, è chiaro, è solo e semplicemente Orfeo, le rocce che si muovono al suono della musica»; nell'uomo d'oggi «il desiderio è diventato ignorante o non è abbastanza sapiente», così che resta lontano l'ideale di Rimbaud per cui "le nostre ossa sono rivestite di un nuovo corpo innamorato" (Illuminazioni), in lui, appesantito e divenuto estremamente lento, manca ogni traccia di velocità interiore: «ai nostri giorni la velocità è onnipresente, tranne che negli spiriti... L'umanoide contemporaneo è un assemblaggio elettronico con la testa molle. L'apice del XVIII secolo, invece, è un uccello spirituale con un'animalità di seta e d'acciaio».

sabato 24 dicembre 2011

merry x-mas

della morte dell'amore

Relativamente al tema dell'amore in Dylan Dog, due sono fondamentalmente i richiami filosofici a cui Roberto Manzocco si rifà nel suo saggio sulla serie a fumetti della Bonelli. Il primo è Schopenhauer, che ne Il mondo come volontà e rappresentazione tratteggia una metafisica dell'amore sessuale secondo cui «ogni innamoramento, per quanto etereo possa apparire, è radicato nell'istinto sessuale. L'estasi incantevole, che coglie l'uomo alla vista di una donna di bellezza a lui conveniente e che gli fa immaginare l'unione con lei come il sommo bene, è proprio il senso della specie, che, riconoscendo chiaramente impresso in essa il suo stampo, vorrebbe con essa perpetuarlo. L'uomo è dunque in ciò guidato realmente da un istinto, che tende al miglioramento della specie anche se si illude di cercare soltanto l'accrescimento del proprio godimento. Conformemente all'esposto carattere della cosa, ogni innamoramento, dopo il godimento finalmente raggiunto, prova una strana delusione e si meraviglia, che ciò che ha così ardentemente desiderato non dia nulla di più di ogni altro appagamento sessuale. L'appagamento avviene propriamente solo per il bene della specie e non cade perciò nella coscienza dell'individuo, il quale, animato dalla volontà della specie, serviva con ogni sacrificio ad un fine, che non era il suo proprio». L'amore, quindi, come illusione della natura, strumento con cui la specie tratta l'individuo come un burattino, muovendolo per fini altri e lasciandolo, poi, deluso: omne animal post coitum triste est.
Il secondo riferimento filosofico è all'analisi condotta da Sartre ne L'essere e il nulla sull'amore come paradossale forma di possesso, che pretende di esercitarsi senza trasformare l'altro in schiavo ma che, invece, «vuole possedere una libertà come libertà. Chi si accontenterebbe di un amore che si desse come pura fedeltà all'impegno preso? Chi accetterebbe di sentirsi dire: "Ti amo, perché mi sono liberamente impegnata ad amarti e perché non voglio contraddirmi: ti amo per fedeltà a me stessa"? Così l'amante chiede il giuramento e si irrita del giuramento. Vuole essere amato da una libertà e pretende che questa libertà come libertà non sia più libera. Vuole insieme che la libertà dell'altro si determini da sé a essere amore – e questo, non solo all'inizio dell'avventura, ma ad ogni istante – e, insieme, che questa libertà si imprigioni da sé, che ritorni su se stessa, come nella follia, come nel sogno, per volere la sua prigionia». 
Ma acconto a quello dell'amore altro tema assai ricorrente è quello della morte, in un'oscillante presentazione «tra una sconsolante visione materialista ed esistenzialista e una serie di suggestioni oniriche di indubbio fascino». In uno dei primi albi, Attraverso lo specchio, Tiziano Sclavi compone una bellissima ballata in stile danza macabra medievale – «Chi è colui così gagliardo e forte che possa vivere senza poi morire? E da colei ch’è tutto, Madonna Morte, l’anima sua possa far fuggire? Verrà la Morte e i tuoi occhi avrà e la bellezza tua, vanità di vanità. Verrà la Morte e porterà con sé tutto il tuo impero, tutto, insieme a te. Verrà la Morte e taglierà il legame così sottile e forte, così bello e infame» – che non lascia dubbi sul fatto che la morte sia il tema centrale della serie dylaniata. L'autore richiama la strana duplicità di questo istante supremo, di grande vicinanza e di estrema lontananza insieme, con le parole del filosofo francese Vladimir Jankélévitch: «È un oltre-mondo che è un altro mondo, assolutamente altro e assolutamente altrove, e tuttavia presente ovunque; che è dunque onnipresente e onniassente; che è tutto insieme trascendente e immanente – infatti basta un niente perché "laggiù" sia immediatamente "qui". La morte è alla porta, invisibile e tuttavia così prossima! La morte sarebbe un incunearsi dell'aldilà nell'al di qua?» (La morte). 
La morte come fuori categoria, come completamente altro, come quasi niente. Heidegger ritiene la morte «la possibilità più propria dell'uomo, che egli anticipa e tramite la quale dà coerenza, ordine e direzione alla propria vita». Mentre Sartre, ancora una volta, ne fa l'inumano per eccellenza, descrivendo l'istante della morte come un salto ontologico che ci trasforma nella nostra essenza e solidifica in modo permanente la nostra identità: «Al limite, all'istante infinitesimale della mia morte, non sarò più che il mio passato. Esso solo mi definirà. È ciò che Sofocle intende esprimere quando nelle Trachinie fa dire a Deianira: "È una massima riconosciuta da lungo tempo fra gli uomini, che non ci si può pronunciare sulla vita dei mortali e dire se essa è stata felice o infelice, prima della loro morte". Questo è anche il senso della frase di Malraux: "La morte cambia la vita in destino". Al momento della morte noi siamo, cioè siamo senza difesa di fronte al giudizio altrui. Con la morte il per-sé si cambia per sempre in in-sé nella esatta misura in cui è scivolato tutto intero nel passato» (L'essere e il nulla). Per il filosofo francese – secondo Manzocco – «l'uomo è come un condannato a morte che si prepara per il giorno dell'esecuzione, fa le prove per non sfigurare, per mostrarsi coraggioso sul patibolo, ma, prima che la sentenza venga eseguita, l'influenza spagnola se lo porta via. Non si può aspettare la morte, è un fatto bruto, che piomba sulla vita "dall'esterno"». E «se è così» – scrive Sartre – «non possiamo nemmeno dire che la morte conferisce un senso alla vita dal di fuori: un senso può venire solo dalla soggettività stessa. Poiché la morte non appare sul fondamento della nostra libertà, non può che togliere alla vita ogni significato».

venerdì 23 dicembre 2011

drago di nuvola, tigre di vento

Quello è il luogo in cui il nostro signore commise seppuku*, e voi eseguiste il suo kaishaku**.
Il nostro duello ebbe luogo più o meno laggiù. 

Il fiume scorre, e l'acqua non è mai identica a se stessa. Anche le nuvole sono in continuo movimento; e il sole e la luna sono eterni viaggiatori.
Il samurai non volge mai lo sguardo al passato. La vita nella morte: è tutto ciò che abbiamo. 

Ciò che dite è vero: non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume.
Il dovere del bushi*** è quello di vivere con la morte costantemente nel cuore, giorno e notte.

(Lone Wolf & Cub, 36 (VII), Drago di nuvola, tigre di vento).


*seppuku: il diritto che ogni samurai aveva di uccidersi con onore; armati di coltello, dovevano squarciarsi l'addome con un taglio orizzontale, quindi dovevano girare la lama senza estrarla e praticare un taglio verticale che serviva a far fuoriuscire l'intestino; in alcuni casi la cerimonia era completata da un kaishakunin, che poneva fine alle sofferenze del samurai tagliandogli la testa.
**kaishaku: durante il rito del seppuku, a un samurai era concesso di morire con onore squarciandosi l'addome; eseguita l'incisione, un "padrino" (kaishakunin) compiva il kaishaku, tagliandogli di netto la testa per accelerarne la morte.
***bushi: samurai, membro della classe dei guerrieri.

C'è davvero bisogna di far notare come in questo manga sia citata esplicitamente la filosofia di Eraclito contenuta nei famosi frammenti sulle acque del fiume, sulla natura fluttuante di una realtà in eterno divenire? 

[fr.B12] Acque sempre diverse scorrono per coloro che s’immergono negli stessi fiumi.
[fr.B49a] Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo.
[fr.B91] Nello stesso fiume non è possibile scendere due volte.


mercoledì 21 dicembre 2011

un povero puzzoncello a cui non credere mai

Che odore scadente aveva questo Dio! Com'era ridicolmente malcombinato il profumo che questo Dio emanava da sé. Non era nemmeno vero profumo d'incenso, quello che esalava dai turiboli. Era un cattivo surrogato, adulterato con legno di tiglio e polvere di cannella e salnitro. Dio puzzava. Dio era un povero puzzoncello.

(Patrick Süskind, Il profumo)


e al dio degli inglesi non credere mai...
e al loro dio perdente non credere mai ...
e al loro dio goloso non credere mai...
e al dio della scala non credere mai...
e a un dio a lieto fine non credere mai. ..
e a un dio fatti il culo non credere mai...
e a un dio senza fiato non credere mai. ..

(Fabrizio De Andrè, Coda di lupo)

martedì 20 dicembre 2011

tutti quanti vogliono essere un gatto



lunedì 19 dicembre 2011

la gru gelata

Nel cuore dell'inverno, la gru ripiega una zampa e nasconde la testa sotto un'ala, restando completamente immobile.
Ecco cosa significa sopravvivere unicamente grazie al proprio coraggio!
Itezuru, la gru gelata! La sua bellezza consiste appunto in questa sua lotta disperata.
Lei non oppone resistenza e non si lamenta. Ma anzi fa affidamento solo su se stessa, sfruttando la propria forza fino all'ultimo barlume di energia.
Non è forse questa la via di tutti coloro che seguono il proprio cuore?

(Lone Wolf & cub, 40 (VIII), La gru gelata)

sabato 17 dicembre 2011

il piacere di avere paura

Ampliando l'idea di Bruno Bettelheim secondo cui le fiabe per bambini rappresenterebbero un rito di passaggio adolescenziale «Una particolare storia può rendere ansiosi certi bambini, ma una volta che essi hanno ottenuto una maggiore dimestichezza con le fiabe gli aspetti paurosi sembrano scomparire, mentre gli elementi rassicuranti diventano ancora più dominanti. Lo scontento originario dell'ansia si trasforma allora nel grande piacere dell'ansia dominata e affrontata con successo. I genitori che vogliono negare che il loro figlioletto ha desideri omicidi e vuole fare a pezzi cose e addirittura persone credono che al loro bambino debba essere impedito di covare pensieri del genere (come se fosse possibile)» (Le fiabe e le paure dei bambini, in Il piacere di avere paura – e adattandola ai racconti dell'orrore della serie a fumetti Dylan Dog, Roberto Manzocco sostiene nel suo saggio che il loro fascino «potrebbe ruotare attorno ad una forma di rito di passaggio post-moderno: in sostanza i mostri e lo splatter ci fanno sentire vulnerabili, ci tolgono il terreno da sotto i piedi, portano l'orrore fin dentro di noi, in modo da farcelo assaporare e casomai vincere – senza alcun pericolo. Le storie di paura e di orrore sono quindi esperimenti mentali che ci consentono di rafforzare le nostre difese psicologiche e dunque di crescere».
Oltre che a questa ipotesi, l'autore si richiama anche ad altri studi e analisi, filosofici e psicologici, sui temi dell'orrore, della violenza e della crudeltà. La psicologa inglese Kathleen Taylor autrice di Cruelty. Human evil and the human brain sottolinea come il piacere e la soddisfazione procurati dal sadismo vicario della crudeltà fruita e mediata derivino dal potere emotivo e dal senso di vertigine che essa induce, similmente a ciò che succede sulle montagne russe o sulle giostre; mentre lo psicologo americano David Buss sostiene in The murderer next door. Why the mind is designed to kill – che a livello inconscio è presente dentro di noi un'aggressività smisurata che riceve una soddisfazione di tipo vicario da certi generi di rappresentazione. Secondo il filosofo americano Noël Carroll autore di The Philosophy of Horror, saggio in cui presenta il "mostro" come quell'essere interstiziale e contaminato, inclassificabile e indefinibile una volta per tutte perché capace di infrangere le categorie con cui normalmente separiamo, ad esempio, l'interno e l'esterno, l'io e il tu, il vivo e il morto –, invece, «non il sangue e la violenza in sé, ma la propria capacità di assorbire l'orrore e dominare l'ansia e il disgusto» è ciò che si trova di piacevole nel genere horror.
Un altro elemento che Manzocco presenta nella sua analisi è il rapporto tra horror ed erotismo, l'erotizzazione dello splatter. E il filosofo di riferimento è, in questo caso, Georges Bataille, che ne L'erotismo scrive: «Se la bellezza, il cui compimento rifiuta l'animalità, è appassionatamente desiderata, ciò accade perché il possesso introduce in essa l'impurità animale. La si desidera per poterla corrompere. Non in sé e per sé, bensì per la gioia gustata nella certezza di profanarla. Nel sacrificio, la vittima veniva scelta in modo che la sua perfezione rendesse sensibile la brutalità della morte. La bellezza umana, nell'unione dei corpi, introduce la contrapposizione tra l'umanità più pura e l'animalità vergognosa degli organi. Del paradosso del laido che si contrappone nell'erotismo alla bellezza, i Quaderni di Leonardo da Vinci forniscono questa incisiva espressione: "L'atto dell'accoppiamento e le membra di cui esso si serve sono d'una tale laidezza che se non vi fosse la bellezza dei volti, gli ornamenti dei partecipanti e lo slancio sfrenato, la natura perderebbe la specie umana". Leonardo non s'avvede che le attrattive di un bel viso o di un bell'abito giocano nella misura in cui questo bel viso preannuncia ciò che l'abito dissimula. L'importante è di profanare quel volto, la sua bellezza. Di profanarlo in primo luogo mettendo a nudo le parti segrete di una donna, poi introducendovi l'organo virile. Esattamente come la morte nel sacrificio, la laidezza dell'accoppiamento comunica angoscia. Ma maggiore è l'angoscia e più forte è la coscienza di superare i limiti, che dà origine a un trasporto gioioso. Il fatto che le situazioni mutino a seconda dei gusti e delle abitudini, non può evitare che generalmente la bellezza (l'umanità) di una donna concorra a rendere sensibile l'animalità dell'atto sessuale. Nulla di più deprimente, per un uomo, della bruttezza di una donna, sulla quale la laidezza degli organi o dell'atto non risalti. La bellezza ha soprattutto valore perché la bruttezza non può essere profanata, laddove l'essenza dell'erotismo risiede appunto nella profanazione. L'umanità, significativa del divieto, è trasgredita nell'erotismo: è trasgredita, profanata, guastata. Maggiore è la bellezza, più profonda è la profanazione». L'idea del filosofo francese – espressa anche nella raccolta di saggi Il labirinto è che nell'uomo esista un eccesso irresistibile alla distruzione che opera in perfetto accordo e sincronia con l'incessante e inevitabile rovina e dissoluzione del divenire della realtà universale: «è il desiderio in noi di consumare, di rovinare, di dare alle fiamme tutte le nostre risorse; è la felicità che ci procurano la consumazione, il falò, la rovina che ci appaiono divini, sacri e che soli decidono in noi atteggiamenti sovrani, vale a dire gratuiti, superflui, non servendo che a se stessi, non essendo mai subordinati a risultati ulteriori». Bataille spiega dunque la fascinazione dell'orrore in termini di potenza e accordo gioioso con l'inarrestabile divenire.
In continuità con la gratuità e la sovranità di cui parla Bataille quali elementi di piacere presenti nell'orrore, l'autore richiama, in seguito, l'analisi che Roger Caillois presenta ne I giochi e gli uomini delle quattro categorie da lui riconosciute di giochi: agon (competizione), alea (casualità), mimicry (immedesimazione), ilinx (gorgo). Questi ultimi sono quelli che consistono in una sorta di smarrimento, di spasmo che annulla la realtà circostante, «distrugg[e] per un attimo la stabilità della percezione e f[a] subire alla coscienza, lucida, una sorta di voluttuoso panico». È il caso di certe attrazioni da luna park, che – nonostante provochino spavento, nausea, urla di terrore, fiato mozzato, sensazione di torsione degli organi interni – sono anche fonte di una paradossale forma di godimento. A guidare questo piacere prodotto da una situazione brutta o, meglio, inquietante è lo stesso «principio che governa ogni vicenda di fantasmi e di altri eventi soprannaturali, in cui ci spaventa o ci fa orrore qualcosa che non va per il suo verso giusto» (Umberto Eco, Storia della bruttezza). È il perturbante – analizzato da Freud sulla base, tra l'altro, di Schelling –, l'incerto, l'inconsueto, a indurre una leggera e piacevole forma di gorgo, vertigine.

 

venerdì 16 dicembre 2011

correre su ruote quadrate


Due incoerenze la cui unione, contro ogni attesa, genera armonia.

Per un approfondimento scientifico, qui.

 

giovedì 15 dicembre 2011

male radicale

Forse per diagnosticare la vera natura di un male serve che questo peggiori.
Bisogna che il male si radicalizzi per poterlo curare.

Dr. House docet.

mercoledì 14 dicembre 2011

labirinti e doppelgänger

A ribadire insieme l'assurdità dell'esistenza umana e il carattere onirico della realtà, che sono a fondamento della filosofia del fumetto Dylan Dog, e ad aggiungere ulteriori livelli di lettura e interpretazione, è la metafora dell'uomo come labirinto, che viene espressa nel settimo speciale della serie, Sogni, in cui la figura onirica del Matto afferma: «Guardate! Ecco il destino dell'umanità dolente, fantasmi nella luce accecante del niente! Il niente che vi aspetta nel labirinto senza uscita di sogni e di dolore che chiamate vita! Ma il sogno è solo uno, senza senso, sibillino, e lo sogno io, il Matto, vostro unico destino». E ancora, in seguito, si parla de «la vita, il sogno, il labirinto di cui tutti noi cerchiamo il centro».
Nel suo saggio Roberto Manzocco riconosce i riferimenti filosofici di questa idea dell'uomo – come «strana cosa che, pur vivendo e pensando ogni giorno, non ha idea di che cosa sia, di come si origini e da dove venga quel flusso di pensieri tramite i quali essa si rapporta al mondo e a se stessa» – in Nietzsche, il quale scrive ad esempio, ne La gaia scienza, che «chi guarda in se stesso come in un immenso universo e porta in sé le sue vie lattee, sa anche quanto irregolari siano tutte le vie lattee; esse conducono fino al caos e nel labirinto dell'esistenza», ed Eraclito, il quale in uno dei suoi frammenti scrive che «i confini dell'anima non li potrai mai raggiungere, per quanto tu proceda fino in fondo nel percorrere le sue strade: così profonda è la sua ragione».
Altro simbolo della fluidità e instabilità della natura umana è quello del doppio che cammina al nostro fianco, nostro compagno di strada, del doppelgänger termine coniato nel 1796 dallo scrittore e pedagogista tedesco Jean-Paul Richter in aperta ispirazione alla filosofia idealistica e romantica di Fichte, che prevedeva una sorta di raddoppiamento dell'io tra uno assoluto, originario e quello empirico. La duplicità impersonata dal classico romanzo di Robert Louis Stevenson Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde è esplicitamente interpretata in un albo della serie dylaniata – Jekill! – secondo l'idea che «il filtro malefico è solo un artificio letterario. Lo sdoppiamento, la trasformazione in Hyde è possibile per tutti». Un altro albo – L'uomo che visse due volte – rende omaggio ad altri due classici del genere: il film di David Lynch Strade perdute e il romanzo Il fu Mattia Pascal di Pirandello (un personaggio dell'episodio si chiama, infatti, Matthew Pascal).

sabato 10 dicembre 2011

dalle stelle...


... alle stalle

venerdì 9 dicembre 2011

un mestiere stretto

Sul tema del rapporto un po' ambiguo tra giustizia e vendetta ho già scritto qualcosa qui. Ora, in due dei libri che sto leggendo in questo periodo, mi capita di imbattermi in passaggi che sembrano avere tra loro una certa analogia, una certa atmosfera familiare, proprio riguardo a questo tema.

More about L'archivio di DalkeyIl primo è tratto da L'archivio di Dalkey di Flann O'Brien, autore del magnifico Una pinta d'inchiostro irlandese. In questo romanzo, tra una chiacchiera e una bevuta nei pub irlandesi, Mick, un giovane impiegato statale, venuto casualmente a conoscenza del piano del dottor De Selby, fisico e teologo disprezzatore di Cartesio –, di annientare l'umanità tutta, cerca alleati nel suo tentativo di fermare le macchinazioni del folle (?) scienziato e pensa al sergente Fottrell, riconoscendolo dotato di un particolare senso della giustizia che va al di là del suo ruolo di uomo delle forze dell'ordine, di uomo di legge, al di là del semplice diritto positivo. Egli, infatti, si dimostra pronto anche a commettere atti non propriamente leciti, pur di garantire il benessere degli uomini che è chiamato a servire e proteggere: convinto della "teoria mollicolare" secondo cui andando per troppo tempo in bicicletta, soprattutto lungo strade dissestate, gli uomini finiscono per trasformarsi in biciclette e le biciclette in uomini per un reciproco scambio di particelle con esiti, eventualmente, anche mortali –, il sergente va in giro a forare le ruote o sottrarre le bici dei suoi concittadini, per il loro bene.

«Lei, sergente, è un uomo a cui il suo mestiere va stretto, o non ruberebbe biciclette per ridurre il letale uso di quel veicolo da parte di quei disgraziati, né bucherebbe deliberatamente il mezzo di locomozione dell'agente Pluck».
Questo discorso, come era nelle intenzioni di Mick, fece palesemente piacere al sergente.
«Ci sono occasioni» egli disse «in cui devo considerare mio ufficiale superiore Colui Che Sta Lassù. È mio preciso dovere proteggere i membri della razza umana, a volte anche da se stessi. A pochi è dato comprendere i mica perscrutabili perigli dell'intricato mondo».

More about 1Q84Il secondo passaggio, invece, è tratto dal libro primo della trilogia di Murakami Haruki 1Q84, che, come altri, sto piuttosto lentamente leggendo in attesa della pubblicazione in Italia del capitolo conclusivo. Qui la giovane Aomame acconsente ad uccidere, con la sua tecnica particolare, uomini che si sono macchiati della colpa di provocare sofferenze fisiche e psichiche a donne, vittime di una violenza potenzialmente fatale anche per altre. Ma la vecchia signora che trova alla ragazza questi incarichi, le ricorda di non scambiare i suoi atti di giustizia per vendetta personale, che il suo è un lavoro, un dovere pesante, che lei è solo una umana esecutrice e non una vendicatrice angelica o un divino giudice, che non deve provare né piacere né tormentosi rimorsi, per questo è giusto che venga pagata e che non agisca per puro disinteresse, correndo altrimenti il rischio di eccedere oltre l'umanamente consentito. 

Lei non è un angelo, e non è nemmeno Dio. Capisco benissimo che lei agisca spinta da un sentimento puro. Quindi capisco pure che non desideri ricevere in cambio del denaro. Eppure quest'istinto, proprio perché così puro e disinteressato, può essere pericoloso. Per un normale essere umano, vivere con un sentimento del genere non è un'impresa facile. Perciò è necessario che lei questo sentimento lo tenga saldamente legato a terra, come se mettesse un'ancora a un pallone aerostatico. Il denaro serve a questo. Anche se l'azione è giusta, e l'impeto che l'alimenta è puro, non è libera di fare qualsiasi cosa. Mi capisce?

giovedì 8 dicembre 2011

fumetti klimtiani

Mi è ricapitato tra le mani un vecchio numero di Thor & i Nuovi Vendicatori, il 102, testata all'epoca da me mai comprata e serie da me mai seguita. Perché allora la presi? Per le magnifiche tavole, segnalatemi da Shelidon, alla Klimt realizzate da Alex Maleev nella prima storia dell'albo. Davvero uno spettacolo.



da san nicola a babbo natale

San Nicola, vescovo di Mira,traslato poi a Bari, vissuto secondo la tradizione nel IV secolo, fu ritenuto il santo protettore dei bambini, che beneficiò in varie circostanze (resuscitò tre fanciulli che un oste malvagio aveva addirittura messo in salamoia, impedì che tre fanciulle fossero avviate alla prostituzione, etc...).
Nel Medioevo nelle Fiandre, in Lorena e nei Paesi Bassi, il 6 dicembre - festa di san Nicola - un bambino travestito da vescovo e con barba bianca girava portando doni ai bambini buoni, mentre "papà Frustino" con delle verghe in mano era pronto a punire i disobbedienti. Il nome olandese del santo, Sinter [Ni]Klass, venne importato in America dagli immigrati, divenendo Santa Claus.
Babbo Natale è quel che resta di san Nicola, o meglio restava, prima dell'ultima trasformazione operata dalla pubblicità della Coca-Cola, che lo volle con casacca e pantaloni rossi (non più con l'abito lungo, da vescovo), grasso e ridanciano, come possono essere gli americani.
(da Chiara Frugoni, Medioevo sul naso)
 

mercoledì 7 dicembre 2011

per un attimo, la verità

Ne Il Signore del Silenzio, albo 39 della serie Dylan Dog, compare il libro della Verità di Uskebasi, il più grande filosofo dei tempi di Salomone, cui il Re d'Israele aveva dato il compito di scoprire il senso della vita. Dopo trentanni di riflessione, il filosofo aveva prodotto un poderoso tomo ma il Re, venuto a conoscenza della verità in esso contenuta, la ritenne talmente atroce che pensò se ne potesse benissimo fare a meno. Così, si legge nella serie a fumetti, «ancora una volta, come fece Salomone, scacciamo Uskebasi con la sua tremenda risposta! E che la morale sia non chiedersi mai qual è il senso della vita». Commenta Roberto Manzocco, autore del saggio sulla filosofia dylaniata, «la vita non ha alcun senso, cioè è assurda; una volta portata fino alle sue estreme conseguenze, la riflessione sullo scopo dell'esistenza non può che avere un unico, terribile sbocco: il suicidio». Esplicitamente nell'albo 23 della serie dell'Indagatore dell'Incubo viene affermato che «la consapevolezza di vivere e pensare è atroce, se ti assale all'improvviso» e, infatti, il dramma esistenziale di Lancaster, personaggio dell'episodio, è che «lui sa cos'è la vita, e per questo vuole morire» (L'isola misteriosa).
I riferimenti letterari riportati dall'autore a pseudobiblia che, come quello di Uskebasi, inducono al suicidio chi entra in contatto con il loro contenuto orrorifico, vanno dal racconto Il riparatore di reputazioni di Robert William Chambers, a quello di Ambrose Bierce An Inhabitant of Carcosa, dal romanzo dello scrittore praghese Leo Perutz Il maestro del giudizio universale, a Howard Phillips Lovecraft che nell'incipit de Il richiamo di Cthulhu scrive: «Penso che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della mente umana di mettere in relazione i suoi molti contenuti. Viviamo su una placida isola d'ignoranza in mezzo a neri mari d'infinito e non era previsto che ce ne spingessimo troppo lontano. Le scienze, che fi­nora hanno proseguito ognuna per la sua strada, non ci hanno arreca­to troppo danno: ma la ricomposizione del quadro d'insieme ci aprirà, un giorno, visioni così terrificanti della realtà e del posto che noi occu­piamo in essa, che o impazziremo per la rivelazione o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di una nuova età oscura». La vita sarebbe assurda, un atroce scherzo senza uno scopo.
Il riferimento filosofico più evidente è, invece, quello alla saggezza silenica – che l'autore richiama solo molto più in là nel volume, in un altro contesto – ricordata da Nietzsche ne La nascita della tragedia: «Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto».
Altro riferimento filosofico, ricordato da Manzocco e riconosciuto all'interno della stessa serie, è quello ad Albert Camus e al suo Il Mito di Sisifo, che così inizia: «Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto viene dopo». Se si accetta, con Camus, che, nonostante tutto, Sisifo è felice, ecco un'altra strategia esistenziale proposta da Dylan Dog, oltre al richiamo al sogno e alla fantasia, per affrontare la realtà.
Infine, Manzocco chiama in causa Jean-Paul Sartre, secondo cui, afferma l'autore, «l'essenza dell'uomo consiste nell'impulso o nella brama di superare la contingenza, e di rendere se stesso un ente necessario». Ma tale sforzo non può che essere assurdo: «Tutte le attività umane sono equivalenti – perché tendono a sacrificare l'uomo per far nascere la causa di sé – e tutte sono votate per principio alla sconfitta. Così è la stessa cosa ubriacarsi in solitudine o guidare popoli» (L'Essere e il Nulla). L'esistenza umana è fondamentalmente gratuita, contingente, di troppo, non si è necessari e non si costituisce «una parte inemendabile dell'arredamento ontologico del mondo».
Il libro di Uskebasi deve contenere una concezione analoga a quelle fin qui illustrate.

martedì 6 dicembre 2011

esercizi di stile fumettosi

Sulla scia degli Esercizi di stile letterari di Queneau, il fumettista Matt Madden parte, in Esercizi di stile. 99 modi di raccontare una storia, da una semplicissima e banale storia e poi la rinarra ancora e ancora e ancora, ogni volta con uno stile fumettistico diverso, cambiando il numero di vignette, il punto di vista delle tavole, lo stile del tratto o del colore, il genere, decontestualizzando i personaggi, cambiandoli, etc...


lunedì 5 dicembre 2011

universi paralleli, sogni, fantasie surrealiste

In seguito alla rivoluzione della meccanica quantistica, alla teoria per cui a livello sub-atomico la realtà non è solida e fissa, ma ha una struttura di tipo probabilistica, così che ogni volta che una determinata particella si trova a dover "prendere una decisione" l'universo intero finisce per ramificarsi in più linee spazio-temporali distinte, la letteratura fantascientifica ha finito per produrre e sviluppare il concetto di universo parallelo. 
Così – ci ricorda Roberto Manzocco nel suo saggio – ne La svastica sul sole di Philip K. Dick abbiamo un mondo in cui il Terzo Reich nazista ha vinto la guerra, ne I mondi dell'Impero di Keith Laumer un mondo in cui i neanderthaliani hanno sterminato l'homo sapiens, nel Ciclo degli Ylanè di Harry Harrison una Terra in cui i dinosauri hanno sviluppato l'intelligenza e sono la specie dominante. Anche il mondo dei comics – aggiungo io – non è rimasto insensibile al fascino degli universi paralleli e alternativi: ne sono esempi il crossover Marvel L'Era di Apocalisse, in cui si narra ciò che sarebbe successo se il prof. Xavier fosse morto prima di creare gli X-Men – sostituendo la linea temporale di Terra 616 con quella alternativa di Terra 295, di recente ripresa dalla serie Uncanny X-Force – e la serie Exiles, in cui supereroi Marvel di varie dimensioni – tra cui, per un certo periodo, anche Psylocke –  vigilano sui rapporti tra linee spazio-temporali parallele – un po' come in Lord Kalvan d'Altroquando di H. Beam Piper, ricordato da Manzocco.
Anche nella serie di Dylan Dog non mancano gli albi in cui sono presentate realtà di questo tipo: in Storia di Nessuno e Gente che scompare entrano in azione delle versioni alternative dell'Indagatore dell'Incubo, in L'ultimo uomo sulla Terra e I killer venuti dal buio compare, invece, un Dylan Dog del futuro, o di un possibile futuro.
Oltre alla presenza di universi paralleli, a rendere meno solida la realtà dell'universo dylaniato è l'idea, messa in pratica nella serie a fumetti, che il sogno non costituisca un fenomeno esclusivamente interiore, ma sia alla radice stessa della realtà. Dylan Dog presenta una visione onirica dell'essere che Manzocco accosta a quella del drammaturgo spagnolo Pedro Calderòn de la Barca, autore di La vita è sogno, di Jorge Luis Borges, di Macedonio Fernàndez, autore di No toda es vigilia la de los ojos abiertos, dello psicanalista Ignacio Matte Blanco, che ne L'inconscio come insiemi infiniti distingue tra la logica asimmetrica e aristotelica della coscienza e quella simmetrica peculiare dell'inconscio e dei sogni. Si può continuare l'elenco, ad esempio, ricordando l'idea del filosofo tedesco Schopenhauer, che argomenta «non è forse tutta la vita un sogno? – o piú precisamente: esiste un criterio sicuro per distinguere sogno e realtà, fantasmi ed oggetti reali? L’unico criterio sicuro per distinguere il sogno dalla realtà è in effetti quello affatto empirico del risveglio, col quale in verità il nesso causale fra le circostanze sognate e quelle della vita cosciente viene espressamente e sensibilmente rotto», e poeticamente esprime la similitudine secondo cui «la vita e il sogno sono le pagine di uno stesso libro. La lettura continuata si chiama la vita reale. Ma quando l’ora abituale della lettura (il giorno) è terminata e giunge il tempo del riposo, allora noi spesso seguitiamo ancora pigramente, senza ordine e connessione, a sfogliare ora qua ora là una pagina: ora è una pagina già letta, ora una ancora sconosciuta, ma sempre dello stesso libro. Una pagina letta cosí isolatamente è invero senza connessione con la lettura ordinata: tuttavia non rimane molto indietro a questa, se si pensa che anche il complesso della lettura ordinata comincia e finisce parimenti all’improvviso, e si deve quindi considerare solo come un’unica pagina più lunga. Siamo cosí costretti a concedere ai poeti che la vita è un lungo sogno» (Il mondo come volontà e rappresentazione).
Nella serie a fumetti si realizza, secondo l'autore, una «sovrapposizione tra concezione dei sogni e teoria degli universi paralleli» e la produzione di un infinito novero di mondi possibili, il cui scopo viene riconosciuto nella rappresentazione della fantasia come strategia esistenziale per sfuggire agli orrori della vita reale: «Ho bisogno di un mistero!» – sostiene Dylan Dog ne La bellezza del demonio – «Che cos'è la vita, la mia vita, senza la speranza che un incubo diventi realtà?». La fantasia è la sensibilità superiore e aliena – attrattiva e repulsiva insieme – tipicamente infantile, un pensare il mondo in termini di categorie essenzialmente diverse da quelle adulte che rappresenta uno status gnoseologica privilegiato, un «momento di unità stuporosa più profonda con il reale» perché – secondo le parole di Elémire Zolla – «è nell'esperienza dell'infanzia che nasce la conoscenza senza dualità, la filosofia spinta al di là delle parole» (Lo stupore infantile). Il riferimento più diretto presente in Dylan Dog ad un metodo d'indagine alternativo a quello razionale e ad una apertura verso il mondo onirico e fantastico è probabilmente quello al movimento artistico del surrealismo, citato in più di un'occasione in tavole e copertine della serie, come quella dell'albo Golconda!, in cui il rimando piuttosto esplicito è a Magritte, o come nelle tavole de La clessidra di pietra in cui un personaggio entra nel quadro di Dalì La persistenza della memoria.

ShareThis