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martedì 27 dicembre 2011

il fascino discreto del vuoto

«Al di là delle occasionali comparsate di un presunto essere supremo, quello di Dylan Dog è un universo senza Dio, senza un fondamento trascendente, in cui l'uomo è solo di fronte al Nulla, e in cui la Realtà non riguarda gli individui», conclude Roberto Manzocco nell'epilogo del suo saggio. Eppure, più che essere disperante, questa visione rende la realtà misteriosa e piena di sfide: questa condizione di essere costantemente minacciati e sotto tiro stimola l'emotività e l'orgoglio, il desiderio di riconoscimento, l'aspirazione a conseguire e ottenere, il bisogno di azione, la natura combattiva e competitiva, tutta una parte, insomma, dell'animo umano che il filosofo americano Harvey C. Mansfield ha chiamato in un suo testo manliness. Essa non è solo auto-affermazione in un mondo ostile, ma anche senso di giustizia e fastidio per l'ingiustizia, un sussulto che spinge a combattere sia quando tutto il resto è contro di noi, sia quando si sanno le proprie posizioni come coraggiose e giuste. «E forse è proprio questa» chiude l'autore – «la radice del fascino con cui questo fumetto originariamente così nichilista ci cattura. Ci induce un senso di accerchiamento, e con ciò istiga in noi una sorta di rabbia esistenziale, che ci spinge ad una rivolta simbolica contro la realtà. La serialità ci induce un senso di speranza e di familiare attesa, e ci fa confidare nella resilienza dell'Indagatore dell'Incubo. Riesce a stimolare in noi il desiderio di ribellione e di autoaffermazione esistenziale».

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