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domenica 28 aprile 2013

la società dei rifiuti

Nel suo saggio Gioco d'azzardo, Gianluca Cuozzo per illustrare la società dello spreco e i suoi miti - come recita il sottotitolo del volume - (ri)pesca immagini dell'inizio della modernità, come i dipinti fiamminghi di Bruegel e Bosch: "le zampette che trascinano l'uomo à la coque, con un coltello in esso già conficcato, verso il chierico mollemente disteso sotto l'albero della Cuccagna - come si può vedere nel dipinto di Pieter Bruegel Luilekkerland (1567) -, sono le stesse che, dopo il momentaneo appagamento, mettono il desiderio nella condizione di una rincorsa senza fine verso ciò che manca e che non può non alimentare la nostra brama di possesso"; mentre le oniriche "creature grottesche consistenti di sola testa e di sole fauci" che popolano l'impressionante Giudizio universale di Vienna (1482-1504) di Hieronymus Bosch rappresentano come tali desiderio e brama possano proseguire "finché non rimanga più nulla da ingurgitare che non sia la nostra stessa bocca da sfamare".

A rendere possibile e garantire tale "rincorsa senza fine" è la moda, che Günther Anders definisce come "il provvedimento di cui si serve l'industria per rendere i suoi prodotti bisognosi di essere sostituiti", sicché "ogni pubblicità è un appello alla distruzione" (L'uomo è antiquato II). Moda di cui Walter Benjamin riconosce il legame con la morte, il suo essere "nient'altro che la parodia del cadavere screziato, la provocazione della morte attraverso la donna e un amaro dialogo sottovoce con la putrefazione", ed è per questo, infatti, che "cambia così in fretta; solletica la morte e, quando questa si guarda attorno per sconfiggerla, essa è già diventata un'altra, nuova" (Parigi capitale del XIX secolo). Benjamin, del resto, al cui angelo della storia Cuozzo affianca, quale versione postmoderna e tecnologica, Wall-E, il robottino della Pixar che accumula rifiuti su rifiuti in un mondo devastato, e che ricordava e intimava come occorra "bonificare i terreni su cui finora è cresciuta solo la follia. Penetrarvi con l'ascia affilata della ragione. Ogni terreno ha dovuto una volta esser dissodato dalla ragione".

giovedì 25 aprile 2013

resistenza

«Sì [la decostruzione è la resistenza] significa non cedere al potere occupante, a qualunque egemonia. Ho sempre sognato la resistenza, voglio dire la Resistenza francese. Fin da quando ero bambino, troppo giovane per farla, ho sognato la Resistenza, mi identificavo con gli eroi di tutti i film di resistenza: clandestinità, bombe sulle rotaie, cattura di ufficiali tedeschi».
(Jacques Derrida, Papier Machine

«Naturalmente i miei fantasmi eroici vanno spesso – credo che valga per molti francesi della mia generazione – verso il periodo della Resistenza, che non ho conosciuto: allora non ero né abbastanza vecchio, né in Francia. Giovanissimo, e sino a un periodo piuttosto recente, mi facevo scorrere nella immaginazione il film di uno che, la notte, piazza delle bombe sulla ferrovia: far saltare la struttura del nemico, installare un ordigno a scoppio ritardato, e poi assistere all’esplosione o almeno sentirla da lontano. Vedo benissimo che si potrebbe illustrare questa fantasmatica compulsiva con delle operazioni decostruttive che consistano nell’installare discretamente, con un meccanismo a scoppio ritardato, degli ordigni che di colpo rendano inutilizzabile una via di transito, dove il nemico, ormai, non potrà più passare tranquillamente, senza badarci. Anche l’amico, del resto, dovrà vivere e pensare altrimenti, sapere dove si avanza, con più vigilanza».
(Jacques Derrida, «Il gusto del segreto»)

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