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giovedì 30 maggio 2013

il nuovo realismo è un populismo

Uno spettro si aggira per l'Italia. Che cos'è il Nuovo Realismo? No, non il fenomeno culturale e cine-letterario dell'Italia degli anni Quaranta e Cinquanta, quello era il Neorealismo. Il Nuovo Realismo - o, meglio, New Realism, che fa più fico - è il risultato delle "fantasticherie di un pensatore reazionario" (Donatella Di Cesare) e fondamentalista quale Maurizio Ferraris, la fiction e invenzione pseudo-filosofica e di consumo, sotto un'etichetta e un brand ammiccanti e commerciali, di chi si auto-proclama "paladino dei fatti, degli oggetti, del mondo, della realtà", di una assoluta verità oggettivamente vera. Mischiando buon senso e risentimento anti-filosofico, il New Realism inviterebbe "a disfarsi di secoli di riflessioni, a buttar via libri e saggi, che prenderebbero tempo ed energie, insomma a semplificarsi l'esistenza", promettendo e proponendo in cambio poche pagine e pochi pensieri rassicuranti, non disorientanti, che non spingeranno il lettore a pensare.
"Bentornata ingenuità!" (Fabio Milazzo) più che realtà, sarebbe il caso di dire, vista l'idea proposta da Ferraris, la cui grande novità non sarebbe altro che la vecchia, pre-moderna, medievale, tomistica concezione della verità come corrispondenza, come adeguamento dell'intelletto alle cose, per cui le teorie sarebbero vere se rispecchiano una realtà e una natura che esiste indipendentemente dal soggetto che la osserva e ne fa esperienza. Negando ogni idea complessa di realtà, questo "ingenuo antropomorfismo" fa sì che "il pensiero risulti assolutamente inutile, privo di valore", ed esige in qualche modo il sacrificio dell'intelletto. 
Il "ritornare ad una forma di filosofia che non ha più corso da almeno tre secoli a questa parte" (Corrado Ocone) mostra un Ferraris interessato "più che alla 'verità', all'affermazione". La conferma su "chi è il nuovo realista" (Laura Cervellione) ce la dà il suo antidemocratico atteggiamento di sentirsi benedetto e di "mostrarsi come la Ragione" - fatto "certamente più facile di dimostrare di avere ragione" -, la sua fallace e illogica "strategia argomentativa che mira a squalificare" (Lorenzo Magnani) chi non sottoscrive la posizione del realismo ingenuo, riducendolo a un Hitler, affermando che così "allora vinceranno sempre i Berlusconi, i Bush e magari pure i negazionisti avranno sempre ragione".
Decostruendo questo New Realism, esso appare più che altro e nient'altro che "un fenomeno filosofico-mediatico sapientemente incorniciato in una potente narrazione editoriale tutta italiana alla disperata ricerca di visibilità" (Simone Regazzoni), pubblicizzato in maniera virale per vendere una merce che, oltre la confezione, non ha nulla di meglio da dire se non "il fuoco brucia, il sole acceca, l'acqua bagna, addirittura i muri oppongono resistenza se tenti di passarci attraverso".
Il nuovo realismo è un populismo secondo i sopracitati autori dell'omonimo saggio, dunque, perché non è altro che una banalizzazione e volgarizzazione del pensiero filosofico il cui obiettivo è riscuotere successo e consenso tra il pubblico. Non si tratta affatto di una non condannabile - anzi! - popolarizzazione della filosofia, di una resa democratica del diritto alla filosofia, ma di una riduzione e degradazione del pensiero al mercato, al conservatorismo, al mite buon senso ingenuo e comune, rinunciando a "creare concetti che siano aeroliti piuttosto che merci" (Gilles Deleuze, Felix Guattari, Che cos'è la filosofia?), a "stabilire nuove verità, con coraggio e perseveranza" (Lorenzo Magnani).

giovedì 9 maggio 2013

credere

Avete mai creduto in qualcosa? Io ho sempre avuto qualche difficoltà. Quando i miei genitori mi dissero di Babbo Natale, pensai: "Cielo, il suo modello economico non può essere sostenibile". E Dio oh, io e gli dei. Voglio dire, ne ho pure incontrati alcuni. E ancora non ci credo. La definizione precisa e non ufficiale del credere: prove ripetitive, empirismo, pedanteria eccetera eccetera. Molto noioso...Ci sono solo due cose nelle quali sono riuscito a credere. La prima, me stesso. E anche in questo caso, solo il 50% delle volte. La seconda, il futuro. Che ce ne sarebbe stato uno, e che l'avremmo realizzato noi. Sono gli ottimisti a fare il mondo, i pessimisti non ci provano nemmeno. Ci credo da quando io sono io. A dispetto di tutto. Ho visto così tanto... che chiunque avrebbe ripensato alle cose fondamentali. E ciò che mi preoccupa? Io non l'ho mai fatto. 

(Iron Man 1, gennaio 2013)



lunedì 6 maggio 2013

salvare un mondo senza grazia

Dopo Gioco d'azzardo, continua in Regno senza grazia l'analisi di Gianluca Cuozzo del rapporto tra economia, politica e natura nell'era della tecnica, di quello che Ivan Illich ha chiamato "un mondo senza rapporti con la terra" (La perdita dei sensi). Continuano anche i richiami alla pittura fiamminga, ancora Pieter Bruegel ma stavolta quello di Pesce grande mangia pesce piccolo (1557): "siamo noi l'ultimo anello, sovrano e senza alcun senso del limite rispetto all'ingordigia onnivora che ci caratterizza, di una catena alimentare in cui ogni animale sopraffà quello più piccolo - fino a che non rimanga l'identico idem, l'unico e la sua fame, singolarità sola e soddisfatta del suo immane banchetto ontologico. L'uomo, in questa incisione, è il folle re al centro del tutto, la cui ingordigia onnivora regna sovrana in un mondo creato a sua immagine -mondo ridotto a mera ghiottoneria alla mercé delle sue instancabili fauci".
Lungi dall'essere una regola della vita, della natura, il motto che dà titolo all'opera descrive, secondo Cuozzo, il conflitto umano, è una "deformazione in senso antropomorfico del regno ittico". L'illustrazione di un diverso e nuovo atteggiamento nei confronti della realtà, capace di "salvare la terra, accogliere il cielo, attendere i divini, condurre i mortali" - per dirla con il Martin Heidegger di Costruire, abitare, pensare -, è ancora una volta affidata a un dipinto di Bruegel, il Paesaggio con la caduta di Icaro (1555-68): "una nuova etica e una nuova responsabilità rispetto a un mondo prossimo alla sua riduzione a meri frantumi disarticolati e spazzatura. Nell'immagine può vedersi rappresentata la vanità di ogni tentativo umano di progresso e di emancipazione dalla necessità delle cicliche revolutiones del cosmo naturale. Ogni azione storica dell'uomo svanisce nella totalità dell'esistente proprio come Icaro", che  - continua Cuozzo citando il Karl Löwith segnato dallo Zen degli Scritti sul Giappone - "dopo la sua caduta dal cielo, affonda in mare e solo una gamba è ancora di lui visibile. All'orizzonte del mare il sole, e sulla riva un pescatore accoccolato e nella campagna un pastore che accudisce il gregge e un contadino che ara la terra, come se tra cielo e terra nulla fosse accaduto".

giovedì 2 maggio 2013

la filosofia di topolino

Ne La filosofia di Topolino Giulio Giorello accosta il Topo della Disney - "per spregiudicatezza nel mettere in discussione la costellazione degli stereotipi", per il suo essere "un maestro di libertà creativa" contro ogni gabbia metafisica, per il suo "sguardo 'arduo e fecondo'" con cui "riesce a cogliere in qualsiasi situazione quegli aspetti del mondo che i pregiudizi rischiano sempre di occultare" - ai più importanti filosofi, scienziati, antropologi e intellettuali del Novecento. Se agli esordi Topolino è "una sorta di ragazzaccio anarcoide" e col tempo, invece, si "è tramutato gradualmente in un buon borghese, che affronta mostri e criminali in difesa della 'società aperta'", il Topo pensante "tutto legge-e-ordine" conserva comunque i tratti della propria nascita ribelle, presentandosi come "giustiziere anche al di sopra della legge, Topo d'ordine e insieme ribelle in nome di quegli ideali di giustizia che le autorità sono state le prime a violentare", come "un ostinato dissenziente capace di battersi contro ogni forma di prevaricazione, anche se l'esito non è affatto scontato e la vittoria non è sempre dietro la porta. La sua parabola risulta, allora, filosofica nel senso pieno del termine: quello che Gottfredson e i suoi sceneggiatori hanno modellato è un Topo sempre più dubbioso sul significato dell'Universo e il complicato mondo che uomini e topi hanno costruito".
Un Topo che pensa, che dubita, per cui ricerca e avventura - "il piacere della scorribanda intellettuale e il desiderio di esperienze sempre nuove" - non hanno mai fine, che unisce alla "spregiudicatezza nell'affrontare fisicamente il pericolo" anche una certa "audacia intellettuale", che è sempre pronto a imparare un po' da tutte le diversità che le varie forme di vita presentano, sfruttando la ricchezza che tale pluralismo comporta, che è capace - citando James Joyce - di "liberare la mente dalla schiavitù della propria mente".

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