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mercoledì 31 luglio 2013

letture di luglio

Iniziamo dalla 'perla' del mese: L'estasi dell'influenza, una specie di autobiografia dell'autore statunitense Jonathan Lethem composta da pezzi e riflessioni su letteratura, film, fumetti, musica, da abbozzi di racconti, impressioni, saggi di diversa natura e lunghezza. Lethem mi aveva conquistato con La fortezza della solitudine, mi aveva fatto un po' arrabbiare con Non mi ami ancora (non sopporto quando vincono gli stupidi), si è fatto abbondantemente perdonare con queste 600 pagine di estatica lettura, di immersione nel suo mondo dello spirito, di contagio influenzale trasmessomi, tanto da conquistarsi una prossima ulteriore lettura (probabilmente Brooklyn senza madre).

Quello di luglio è stato, tra le altre cose, il mese della scoperta (tardiva) del sudafricano J.M. Coetzee. O, meglio, dell'inizio della sua esplorazione. Citato da Jacques Derrida nel secondo volume de La Bestia e il Sovrano, quello dedicato alla lettura del Robinson Crusoe di Defoe (che un 'corso' in quarto il venturo anno scolastico non me lo toglie nessuno), per la riscrittura che fa del classico inglese in Foe, solo che questo romanzo in libreria non si trova (lo dovrò a breve ordinare in rete), così intanto ho letto il romanzo Vergogna, alcuni suoi saggi contenuti in Doppiare il capo (tra cui quello su quel grande fallo imbandierato di Capitan America) e il monografico Figure del male nella narrativa di J.M. Coetzee.
Appena intrapresa anche la lettura dei divertentissimi (ma non solo, anche riflessivi e pedagogici) fumetti di Zerocalcare. A Un polpo alla gola, letto a fine giugno, sono seguiti La profezia dell'armadillo e Ogni maledetto lunedì su due. Ora attendo il prossimo volume, previsto per settembre. 
Ultima scoperta del mese, due scrittori italiani contemporanei: Giuseppe Genna con Assalto a un tempo devastato e vile (versione 3.0: un assaggio lo avete avuto qui), di cui mi è piaciuto lo stile di scrittura ma non del tutto mi ha convinto o soddisfatto l'opera in sé; Fabio Geda con L'estate alla fine del secolo (un assaggio lo avete avuto anche di questo, qui), bel romanzo di formazione e mutazione. Risultato per entrambi: imminente lettura di qualcos'altro, Fine impero per Genna, Nel mare ci sono i coccodrilli per Geda.

Ovviamente è continuata, invece, l'impresa della saga Cronache del ghiaccio e del fuoco, di George R.R. Martin, con il 9° volume (L'ombra della profezia).

Sul piano della saggistica, il collettaneo Il grande inquisitore, raccolta sulla ricezione e l'attualità in ambito politico, filosofico, letterario e teologico di quella metafora assoluta e complessa che è la Leggenda inclusa nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij. Inoltre, il bell'Elogio dell'amore del filosofo francese Alain Badiou che, tra la crescente diffusione e il successo dei siti di incontro tipo Meetic e Platone, riesce a portare avanti una riflessione profonda e chiara. 
Infine, a Pesaro durante il festival di Popsophia ho letto La filosofia del calcio di Elio Matassi.  

Passiamo a delusioni e rimorsi di lettura. Incuriosito, ho letto anche l'esordio letterario dell'ex (?) star del porno Sasha Grey, Juliette Society, romanzetto erotico non scadente ma deludente. Da tempo mi aspettava tra la pila delle 'prossime letture' Hover. Viaggio nell'infanzia delle cose, di Luca Rossi, acquistato a un mercatino dell'usato perché tentato da copertina, trama, intenzione dell'autore. Ma la lettura si è dimostrata deludente: tra Toy Story e Wall-E, se fosse stato una sceneggiatura della Pixar avrei visto il film molto volentieri, ma come romanzo mi è sembrato mancante di qualcosa. Il Ritratto di famiglia con superpoteri di Steven Amsterdam si è rivelato un malriuscito collage di istantanee di come i membri di una famiglia scoprono i propri superpoteri, isolate fotografie che non riescono a costituire un album o ritratto di famiglia, frammenti di storie che riescono a raggrupparsi, sommarsi, organizzarsi in un solo romanzo. Del tutto inutile e sprecato, infine, il tempo (fortunatamente poco) dedicato alla lettura di Ragione e follia nell'opera di Stephen King, di Emiliano Sabadello (neuropsichiatra) e Giuseppe Magnarapa (laureato in filosofia).

martedì 30 luglio 2013

l'estate alla fine del secolo

Il romanzo di Fabio Geda L'estate alla fine del secolo racconta l'esplodere della vita, nella stagione calda del 1999, di un preadolescente lettore e amante di fumetti (comics Marvel, X-Men), l'inseminazione della sua formazione e mutazione, il suo iniziare a scoprirsi misurare con occhi nuovi i cambiamenti del proprio corpo, lo sciogliersi e il liquefarsi e l'arricciarsi "nelle forme mutevoli di una palla di carta di giornale cui viene dato fuoco (con la stessa intensità rovente)" in quella torrida estate di fine secolo.

Era la prima volta che si rivolgeva a me in quel modo, e non solo, era la prima volta che gli sentivo dire cazzo. Cioè, in dialetto sì, lo diceva, ma in italiano no. La barca stava dondolando e le vibrazioni risalivano le ossa; ero tra lo spaventato e il fiero. Spaventato perché non sapevo cos'altro ancora potesse fare o dire mio padre, quale altro limite a me sconosciuto avrebbe valicato; fiero perché non era il nostro solito rapporto. Eravamo a un punto di non ritorno, avevamo superato una boa; navigavamo in un mare sconosciuto ed eravamo lui e io.
Fu allora che catturai la spigola più grossa della mia vita.
Mentre ero distratto, compresso tra l'ascolto di una voce che conoscevo meglio della mia, ma che mai era risuonata così straniera, e lo stupore di un rito di passaggio imprevisto - il battesimo della parola, quando tra padre e figlio il vocabolario si modifica - ecco, mentre tenevo la canna a filo di dita, sentii tirare. Forte. Uno strattone improvviso. Per un istante ebbi paura che la canna volasse via, dritta in mare. Mi aggrappai all'impugnatura e al mulinello e gridai, non so cosa gridai, forse "Ehi, è enorme, aiutami" o forse "Cazzo", sì, mi piacerebbe avere avuto il coraggio di dire "Cazzo, questa dev'essere una dannata balena, papà, un capodoglio o il tonno re degli abissi". Sarei orgoglioso di averlo detto. Ma non credo. Quello che so - perché ne conservo una memoria fisica: l'odore della salsedine, quello del dopobarba di mio padre, l'umidità scivolosa sulle mani e gli spruzzi - è che lui, un istante dopo, era in piedi accano a me e tira e lascia e tendi e allenta, alla fine una spigola da farci Natale e Capodanno era sbucata dal mare come un missile, portandosi dietro mezzo Mediterraneo, ed era planata, sconfitta, lì sulla nostra barca, dibattendosi ancora come er sfondare lo scafo e farceli vedere, gli abissi.


martedì 23 luglio 2013

resistenza

Se l’apertura all'avvenire è da considerare l’assioma, l’imperativo, diciamo, categorico della democrazia, ciò che la mette in movimento e la collega a giustizia, dignità innegoziabile e irriducibile a qualsiasi calcolo economico o di diritto degli spettri dell’alterità, è però certo che talvolta possa essere preferibile che qualcosa non accada, possa addirittura essere necessario e giusto impegnarsi per impedire che questo o quello capitino, arrivino; queste occasioni di opposizione a ciò che avviene sono motivate dal ritenere che ciò di cui si preferisce il non arrivo sia qualcosa che possa sbarrare l’orizzonte ad ogni altro futuro a venire, porre un limite per la venuta di altro, per l’avvenire stesso. 
Sono dunque insieme necessarie l’esposta e incondizionata apertura all’avvenire, all’evento, e la vigilanza su tale apertura, affinché rimanga appunto aperta, affinché non arrivi qualcosa a volerla sanare, chiudere definitivamente impedendo ad altro di avvenire, arrivare.


domenica 21 luglio 2013

esercito di titani

Quando entro nei supermercati illuminati, dove tutto è esposto in scaffalature, dove gente che già sembra oscura per il contatto materiale che ha con la merce sistema carrellate di prodotti, io penso al cono d'ombra che si stende dietro le margarine, gli shampoo, le latte di conserva. Tutto quanto è inanimato, inerte, disponibile e alla mano, ha chiesto il saldo di un'inerzia più dolorosa e sofferta, fatta dei calli interiori di animali grossolani. Un esercito di titani, che l'umanità non vede, è al lavoro per azionare la macchina, per mettere mano ai tiranti e alle catene dei grassi polinsaturi che entrano nelle bocche del pianeta. A ogni bolo ruminato nelle cucine o nei campi profughi, corrisponde una forza pari e contrapposta, spesa dai muscoli e dalle volontà di questi atlanti. Nell'occhio bovino con cui tornano a casa si intravede la scintilla della grande esposizione.
Chi organizza la palude incomincia a ignorare che nel fango cresce una specie anfibia e crudele che rovescerà il suo regno. Gli animali di questa specie sono gli ultimi esemplari di asceti resistenti a tutto, anche a se stessi. 
Il secolo anonimo dei titani è appena all'inizio.

Sembra ritornare il goethiano (ma non solo) apprendista stregone, che si trova impotente a dominare le potenze sotterranee da lui stesso evocate e di cui Marx fa una delle metafore della materiale dialettica storica e della lotta di classe di un esercito di titani che, cresciuti nel fango e ignorati da chi la palude l'ha organizzata, rovescerà alla fine il regno.


giovedì 18 luglio 2013

un grande fallo imbandierato

In un breve saggio del 1976 lo scrittore sudafricano J.M. Coetzee definisce Capitan America come "un grande fallo imbandierato in marcia, come tutti gli eroi avventurosi da Achille in poi, in cerca di un nemico degno di tanta turgida dislocata potenza": inguainato in un costume rosso, bianco e blu, bicipiti e deltoidi sporgenti, muscoli pettorali e dorsali increspati e potenti, tesi come un cavo d'acciaio, la mascella quadrata e ben rasata, occhi azzurri come l'acqua di un torrente di montagna, Capitan America - continua Coetzee - è il discendente americano del cavalier cortese passato attraverso il Natty Bumppo (Occhio di Falco dal lungo fucile) di James Fenimore Cooper, il puritano Arthur Dimmesdale di Nathaniel Hawthorne (La lettera scarlatta) con la sua paradossale miscela di consapevolezza di inadeguatezza, colpa, punizione, redenzione, virtù, l'avventuroso Huck Finn di Mark Twain. Forte, casto e umile (fa solo il suo lavoro), è un eroe protestante che dà "ascolto solo all'autorità della voce interiore, Custode autonomo della Repubblica", è un "terzo Adamo in missione per salvare il mondo" anche se, come Gesù "il secondo Adamo, non può usare tutto il suo potere: per una legge mitologica i salvatori devono essere per metà divini e per metà mortali, ponti tra l'umano e il trascendente, divinità handicappate".
Ora, a me Capitan America non è mai piaciuto, come del resto non sopporto molto i supereroi in solitario, che non fanno parte di gruppi o team (ci sono eccezioni, ovvio), e riesco a digerirlo solo nei Vendicatori. Ma ora, con la (R)Evoluzione Marvel Now!, la testata del super-soldato americano è scritta da Rick Remender (quello del primo volume di Uncanny X-Force, l'incredibile fumetto del team segreto, "nero", di Wolverine, Psylocke, etc...) e disegnata da John Romita Jr: gli darò una possibilità di lettura, sperando in un "indebolimento" dell'ego forte, una modernizzazione (de-classicizzazione) dell'eroismo supereroico, una decostruzione di ogni fantasma fallico di potere, sovranità e identità.


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