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sabato 30 novembre 2013

da benjamin a wall-e (letture di novembre III)

Dopo Gioco d'azzardo e Regno senza grazia, mi son dato alla lettura di un altro saggio di Gianluca Cuozzo sulla Filosofia delle cose ultime. I temi sono ancora una volta quelli della società dei rifiuti e di un mondo senza più grazia da salvare, ma qui trattati forse con un maggior spessore filosofico, perché "in un mondo sopraffatto dai rifiuti, la filosofia ha il compito di assumere come proprio oggetto di indagine anche questa realtà imbarazzante e pervasiva, capace di colonizzare l'immaginario umano con incubi i cui protagonisti sono 'ratti e paranoia'". Così l'incipit del saggio, in cui l'autore da sapiente straccivendolo e collezionista cammina e avanza tra le rovine della storia e della società accumulando sacri e profani rottami di ogni cosa, filosofia, letteratura, cinema, arte, pubblicità.
Con questi pezzi tagliati, Cuozzo compone un puzzle in cui la spazzatura fa da controcanto osceno della produzione e del consumo, rappresentando l'inadempiuta utopia della società, le attese e le aspirazioni da essa disattese e tradite, la sua promessa inappagata di felicità. Le marginali cose ultime costituiscono un universo di aspettative ancora pulsante, mai quieto, pronto a tendere degli agguati alla nostra rappresentazione ideologica, delle schegge messianiche, brani divelti del tempo che aspettano che qualcuno li raccolga - usandoli nel modo giusto - per realizzare nel presente il loro potenziale salvifico.
Il filosofo, come il robottino della Pixar Wall-E - a sua volta versione post-moderna e tecnologica dell'angelo della storia di Walter Benjamin - ha il compito di (r)accogliere questa protesta caparbia e sovversiva contro ciò che è tipico, ordinario, classificabile secondo le convenzioni stabilite di ciò che è stato scartato e che potenzialmente insorge in una forma di contestazione - a un tempo anarchica e messianica - capace di liberare l'uomo dalla schiavitù nei confronti delle merci e dei beni di consumo, annunciando un possibile altro, un mondo diverso a venire.


domenica 24 novembre 2013

letture di novembre (II)

Ancora Euripide, con la tragedia Supplici: senso del dovere, legami verso ciò che è giusto, azioni eroiche al di là della legge e pene da far pagare ("La giustizia chiede giustizia e il sangue altro sangue"); ma anche riflessione politica sulla democrazia e la libertà, sul rapporto tra democrazia e libertà di parola ("Questa è la libertà: 'qualcuno vuole dare qualche consiglio utile alla città?'. Allora chi lo desidera si conquista la fama, e chi non vuole tace. Quale uguaglianza è migliore di questa per una città?").
Sempre in tema "mondo antico" e "cultura classica", i due saggi per una nuova lettura del poema del filosofo di Elea che costituiscono La porta di Parmenide di Antonio Capizzi. Grazie alle scoperte archeologiche degli scavi di Velia è possibile cogliere nel poema dottrinale parmenideo i contenuti realistici accanto a quelli poetici e mitologizzanti, riconoscere i luoghi del proemio in quelli dell'antica città della Magna Grecia, imparare a vedere nel filosofo dell'essere anche un prestante auriga di "famose cavalle" e un valente governante politico. Inoltre è possibile collocare storicamente la figura di Parmenide filosofo e politico nelle trame delle vicende storiche dell'epoca, tra aggressività ed espansionismo siracusano, necessità di unità e forza dei Velini, e la "terza via" ingannevole dei mendaci Fenici.

Delusioni dal saggio popfilosofico di Luca Bandirali ed Enrico Terrone sulla Filosofia delle serie TV. L'analisi dei due autori sulla nuova serialità televisiva - da CSI a Trono di Spade, come recita il sottotitolo del volume - è ovviamente condivisibile: gli spettatori somigliano più al pubblico dei lettori di romanzi e la serie tv stessa è epopea e drammaturgia del nostro tempo e che proprio con la temporalità intrattiene rapporti inediti rispetto ad altri prodotti televisivi o al cinema stesso, e non è solo questo che fa delle serie tv dei "degni" oggetti di indagine filosofica. Ma poi il volume sembra ridursi a una enciclopedica raccolta, ricca ma un po' superficiale, di queste stesse serie tv, un'antologia di riassunti e passi scelti con scarni commenti, analisi e critiche. 
Qualche spunto indubbiamente c'è: Jack Bauer, il protagonista di 24, definisce (o decostruisce?) una serie di dualismi fondamentali - pubblico e privato, legge e violenza, necessità e libertà - ed è l'eroe che si fa carico dell'inestricabilità di queste antinomie e della possibilità della loro risoluzione. Glee è una riflessione teorica sui principi essenziali del pop, sull'idea che la pop music sia qualcosa che si può anche suonare da soli, ma che trova il suo senso compiuto soltanto all'interno di un gruppo; che non serva soltanto a esprimere emozioni e sentimenti che già abbiamo in noi, ma anche a costruirne di nuovi; che le canzoni pop non sono cose appese al muro come i quadri in un museo, ma esistono perché le si possa re-interpretare a piacimento, senza nessun reato di lesa maestà. Heroes e Flashforward con i loro viaggi nel tempo dalla minima plausibilità metafisica - e nulla plausibilità scientifica - filosoficamente rappresentano una comunità che si interroga sulla propria natura storica e che esamina una varietà di scenari possibili per decidere verso quale di questi, nell'interesse collettivo, sia opportuno che la storia faccia rotta. 
Tante serie tv, infine, da Trono di Spade a Deadwood e Lost, mostrano come fissando e presidiando le proprie frontiere un'aggregazione si munisca di un'identità (i confini del territorio separino noi dagli altri) e di una proprietà (distinguono ciò che è nostro da ciò che appartiene agli altri), così che una frontiera non ha soltanto un valore spaziale e topologico ma anche etnografico ed economico; ma mostrano anche come questa frontiera non sia qualcosa di assolutamente definito, ma presenti zone di indeterminazione e di permeabilità che ne rendono possibile non solo l'evoluzione storica ma anche il ripensamento metafisico. Insomma, queste serie tv mettono in scena quell'atto definito dal filosofo francese Jacques Derrida di ex-appropriation, atto di fondazione che nel costituire una comunità (identità, proprietà, territorio) al tempo stesso ne intacca originariamente, fin da subito, la frontiera che la delimita, esponendo l'appropriazione già da sempre alla possibilità dell'espropriazione, facendo della frontiera fin dalla sua definizione originaria un limite instabile, che si presta ad essere varcato tanto dall'interno quanto dall'esterno.
Ecco, materiale sufficiente per un post, e poco più, però, questo è il limite del volume.

domenica 10 novembre 2013

letture di novembre (I)

Chi ha dato fuoco a La biblioteca scomparsa di Alessandria? Cesare, quando per rompere l'assedio in cui era stretto diede fuoco alle navi nel porto e l'incendio divampò anche nei magazzini limitrofi e in depositi di libri? Il vescovo Teofilo, in uno di quei roghi di libri pagani che erano parte della cristianizzazione? L'emiro inviato dal califfo Omar, obbedendo all'ordine per cui se i libri della biblioteca si accordano con il libro di Allah se ne può fare a meno, mentre se sono ad esso difformi non c'è bisogno di conservarli, così che essi furono distrutti bruciandoli - e vi occorsero sei mesi - per riscaldare i bagni pubblici della città? E poi, dove era collocata in realtà questa biblioteca? Luciano Canfora conduce il lettore attraverso la storia e le testimonianze della regia biblioteca di Alessandria, con uno stile chiaro e semplice ma forse un po' carente dal punto di vista narrativo e romanzesco.

Meno brillante delle precedenti produzioni, sia per trama narrativa che per inventiva grafica, ma comunque più che gradevole, Dodici di Zerocalcare.

L'immersione nella cultura classica antica continua con due tragedie di Euripide: l'Ippolito, antisocratica tragedia in cui il ragionamento non ha efficacia quale farmaco e rimedio per gli affanni degli uomini, che possono anche sapere e conoscere il bene, ma a volte non si sforzano di farlo; lo Ione, drammone a lieto fine tutto orchestrato dall'Ambiguo dio Apollo e dai suoi responsi oracolari veri ma affatto chiari, necessariamente enigmatici messaggi e tempestosi suoni fraintendibili dall'uomo perché il dio non può apparire ad egli in tutto il suo fulgore, sarebbe pericoloso guardarlo o ascoltarlo, non è concesso ai mortali farlo.
Legata alla cultura classica è in realtà anche la lettura di Prolegomeni per una popsophia, visto che in questo breve pamphlet Umberto Curi deduce la legittimità di diritto della fattuale commistione tra filosofia e cultura popolare dalle origini stesse della filosofia, che nasce pop perché si sviluppa nella relazione vitale con i problemi presenti nella comunità, dalla vita trae alimento e alla vita costantemente ritorna; perché è affine e non opposta al mythos, al raccontare dalla risonanza emotiva e sentimentale e dall'indubbio e gratuito piacere; perché nasce (secondo Platone e Aristotele) dalla meraviglia e dallo sgomento, come risposta a un'inquietudine sentita e patita dall'uomo; perché non c'è cosa più filosofica e seria della poesia, che permette di procurarsi le prime nozioni, di imparare e di ragionare mentre, allo stesso tempo, si prova piacere.

lunedì 4 novembre 2013

nel riflesso della mia lama

Nelle tavole del fumetto Uncanny X-Force, nelle storie pubblicate in questi ultimi mesi, ancora una conferma dell'eroismo sporco e oscuro dell'eroe moderno che ha imparato ad abbracciare e a giocare con la propria Cosa oscura e disumana, con il proprio lato oscuro, la propria natura più cupa
In questa occasione ce ne danno prova Psylocke e Spirale poste faccia a faccia con lo spettro del loro lato oscuro: Psylocke è in pieno possesso della propria oscurità, e il suo spettro è dunque debole. Spirale non può temere la vista del proprio lato oscuro, poiché ce l'ha costantemente davanti nel riflesso della propria lama.

- La tua lama è sottile perché sei debole. E sei debole perché sei forte solo quanto io ti ho lasciato esserlo. Ho pieno possesso del mio posto nel mondo. Ho pieno possesso della mia oscurità. Ho pieno possesso di te. E non sono spaventata da te.

(da Uncanny X-Force #11, del settembre 2013).




- Unisciti a noi. Lascia che convochi il tuo spettro. Non sei neanche un po' curiosa di vedere che aspetto ha il tuo lato oscuro?
- Fronteggio il mio lato oscuro ogni giorno. Nel riflesso della mia lama. Sentirai quanto è oscuro.

(da Uncanny X-Force #12, dell'ottobre 2013).



venerdì 1 novembre 2013

letture di ottobre (III)

Un po' di saggistica in questo mese di nuovo inizio universitario.
Un primo, brevissimo e in definitiva trascurabile, Sono uno spettro ma non lo so di Sergio Benvenuto, un testo senza particolari ed evidenti difetti ma anche un'esperienza di lettura né particolarmente interessante né esteticamente gradevole sulla figura filosofica, simbolica e cinematografica del fantasma e del non morto. Peccato, speravo in qualcosa di più. 
Il secondo è, invece, l'ultimo lavoro di Umberto Curi, L'apparire del bello. Il bello nell'antichità classica (da Omero e i lirici ai filosofi quali Platone, Aristotele e Plotino) è, più che un valore estetico e l'oggetto quindi di una specialistica disciplina, un complesso, non univoco, ossimorico e paradossale ideale di eccedenza più che di presenza, di esperienza straordinaria, di chiamata a valicare un limite, di convocazione oltre le mura di "casa" delle condizioni materiali di vita, di itinerario di mutamento in cui si fondono al bello anche il vero e il virtuoso, di improvviso lampeggiamento e irruzione di un orizzonte altro e meraviglioso/traumatizzante cioè tremendo.

Nell'antichità, del resto, mi ci sono iniziato a (re)immergere parecchio in questo mese, e non potrà che continuare così. 
Due "scurrili" commedie di Aristofane, Gli Acarnesi e Le vespe, contro la guerra e contro il potere fintamente democratico che facendo sgranocchiare briciole al popolo lo rende contento e non solo si conserva ma lo asserve. 
Il dialogo di Platone Gorgia, con il fantastico multiplo parallelismo tra legislazione e giustizia (che politicamente mantengono il benessere dell'anima e ne correggono i mali) e sofistica e retorica, che rispetto alle prime sono come le seduttive e adulatorie cosmesi e culinaria rispetto alla reale e positiva cura del corpo che compete a ginnastica e medicina; ma anche con la straordinaria figura di Callicle, la sua moderna teoria della naturale morale dei forti e migliori piegata dalla legge della moltitudine dei deboli, il suo spiattellare in faccia al solito Socrate i suoi volgari sofismi efficaci solo perché chi dialoga con lui si vergogna di dire ciò che pensa e perciò cade in contraddizione.
Su Socrate e Platone, e proprio sul Gorgia e il Protagora, il saggio di Georgia Zeami e Francesca Presti Daimonicità del lògos, che presenta la mostruosa e demoniaca figura di Socrate, insieme e a un tempo educatore, amante, aperto dialogante, ma anche sapiente e rigido maestro di virtù, nel quale quindi aleggia lo spettro dell'intellettualismo e del moralismo. 

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