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mercoledì 31 dicembre 2014

letture di dicembre

Doppia lettura per Don Winslow, con I re del mondo e Le belve. Lo stesso mondo cinico, apatico, egoista, avido de Il potere del cane. Due buoni romanzi, ottimamente narrati, con grandi e potenti personaggi.
Dopo la piacevole scoperta con Callisto, torno anche a Torsten Krol con Gli uomini delfino, intreccio di avventura e antropologia tra gli indigeni sudamericani del Venezuela che ha per protagonista una famiglia tedesca in fuga da uno sconfitto nazismo. Piacevole lettura ricca di colpi di scena, ironia e implausibili trovate che l'autore riesce con il suo stile a rendere credibili al lettore.
Prima lettura, invece, per Patricia Highsmith, con il suo thriller di ambientazione italiana, quasi totalmente veneziana anzi, Inseguimento. Un romanzo di genere particolare, ai limiti del suo genere, appunto, quasi più una storia filosofico-psicologica che gialla. Comunque abbastanza convincente da farmi propendere per altre letture dell'autrice.
Un piacevolissimo libretto di Fabio Geda sul suo viaggio in Giappone: la non delusione delle sue aspettative, alimentate da anime, manga, letteratura e cinema, di cui come chiunque appartenente a una certa generazione si è nutrito e con cui, grazie a cui, è cresciuto; l'esperienza culturale ed estetica del cibo; tanti piccoli frammenti e istantanee. Itadakimasu. Umilmente ricevo in dono, merita il mio domo arigato gozaimasu, il mio grazie, grazie mille, ancora una volta, anche per questa leggera ma saporita esperienza di lettura.
L'avventuroso e filosofico romanzo di Umberto Eco Il pendolo di Foucault, tra citazioni e analogie, vertigini della lista e ricuciture storiche, epifanie e invenzioni, ispirazioni e traspirazioni.
Finalmente, con estremo ritardo ma con grande piacere (anche perché letto in compagnia ad alta voce), il finale della saga di J.K. Rowling, Harry Potter e i Doni della Morte.

Tra i fumetti, il secondo e il terzo capitolo dell'appassionante saga fantascientifica bonelliana Orfani, scritta da Roberto Recchioni: tra Bugie e Verità la trama prosegue rivelando inaspettati retroscena e colpi di scena. Inoltre, l'ottimo primo volume di Saga, fumetto fantasy-fantascientifico splendidamente scritto da Brian K. Vaughan, con sapiente miscela di azione e riflessione, emozione e ironia, e splendidamente disegnato da Fiona Staples: una guerra tra due razze diverse, un amore contrastato, nascita e morti, potere e schiavitù, esplorazioni spaziali e magia.

In campo saggistico, l'ottima Filosofia della crudeltà di Lucrezia Ercoli e La Crisi dell'utopia di Luciano Canfora. Inoltre, di passaggio: le poche pagine del discorso di Carl Schmitt su Machiavelli; alcuni libri editi da Isbn Edizioni di filosofia non accademica e per bambini, ma non solo, e illustrati, come Il libro dei grandi contrari filosofici, scritto da Oscar Brenifier e illustrato da Jacques Després, e le non banali piccole vite filosofiche realizzate da Jean Paul Mongin su Cartesio (Il genio maligno del signor Cartesio) e Kant (La folle giornata del professor Kant).

sabato 27 dicembre 2014

filosofia della crudeltà

Nella sua Filosofia della crudeltà Lucrezia Ercoli indaga le implicazioni etiche ed estetiche di questo enigma che è la crudeltà, cruda bestialità pre-civile, mostruoso e grave vizio, ma insieme anche sacra violenza purificatrice, desiderio e piacere che già da sempre appartiene all'umanità. L'opera di Escher Illusione con angeli e diavoli - o Limite del cerchio IV - rende visivamente questo concetto, rileva l'autrice nell'introduzione, per cui "la barriera tra la crudeltà e il suo contrario si fa permeabile e sfuma", il mondo è pieno di bene e di male e gli angeli possono diventare diavoli, e viceversa.
Il punto di partenza del saggio non può che essere il teatro della crudeltà di Antonin Artaud, secondo il quale "tutto ciò che agisce è crudeltà" (Il teatro e la crudeltà) perché la crudeltà non è altro che la vita che supera ogni limite e si mette alla prova, è la legge che regola ogni creazione, inscritta nello statuto stesso della vita: "è l’esercizio della coscienza che conferisce a ogni atto della vita il colore del sangue perché 'è chiaro che la vita è sempre morte di qualcuno'. La crudeltà mette in luce, quindi, il necessario determinismo a cui è sottoposto ogni nostro atto di vita, che, per la sua decisione di esistere, genera morte". La crudeltà è il prezzo da pagare per svelare come la cultura possa divenire nient'altro che passività, consuetudine, pigrizia, stereotipo.
Figura di questa crudeltà è l'Eliogabalo dello stesso Artaud - 'leggenda nera' evocata anche da molta altra letteratura, poesia e arte figurativa: Verlaine, Wilde, D'Annunzio, Huysmann, Alma-Tadema -, i cui "comportamenti crudeli condannati dalla ratio diventano domande martellanti che mettono in discussione la consistenza granitica delle certezze". Egli non è né Dio né padrone ma soltanto se stesso, è sfida, tensione, energia crudele e luminosa, liberatrice ed emancipatrice. "Attraverso l'uso spregiudicato della crudeltà 'gratuita e immotivata' riesce a sfuggire, almeno temporaneamente, alla tirannia che cancella la sua personalità. Libera il proprio corpo e il proprio desiderio con un processo di differenziazione, carico di decisioni sanguinose e crudeli". In Eliogabalo la crudeltà è il riverbero di una ribellione faticosa e coraggiosa contro la legge naturale e la morale istituita. La crudeltà di Eliogabalo, che scioglie le pietrificazioni della vita, è la distruzione e ricomposizione del processo alchemico, è la ricerca di un corpo senza organi (Deleuze) che eluda la presunta fissità ed esclusività del reale, è vita acrobatica estrema e paradossale che fa di ogni attimo una questione di vita o di morte, è sfrontata lotta contro le convenzioni che apre alla possibilità ma non può lasciare illesi, è transvalutazione di tutti i valori.
E così si arriva a Nietzsche, a quel trattato sulla crudeltà che è la Geneaologia della morale, ma non solo. La crudeltà spietata e violenta è l'opera di salvifica demistificazione della ragione, è eroismo del pensiero che scava a fondo, decostruisce le false prospettive, è veglia lucida. E si arriva a Bataille, per il quale l'arte è esercizio di crudeltà che viola e tortura la falsa solidità e unità aprendo alla meraviglia e all'orrore, che "mette a morte le forme chiuse, mette tutto irrecuperabilmente 'in questione'. Consente di oltrepassare il confine tra la polis e la silva, tra la civiltà e la ferinità". 
La crudeltà sarebbe, quindi, un compito ineludibile di contrapposizione all'inerzia della vita pacifica, che è in realtà vita seduta, comune vigliaccheria quotidiana: "apre una tensione etica che rifugge dal dogmatismo degli stereotipi, che non pretende un redde rationem, ma lascia bruciare la carne". E l'arte da un'estetica crudele - dalla carne esposta nelle macellerie di Francis Bacon ai corpi disfatti di Ciprì e Maresco, dalle violenze insensate di Arancia meccanica alle mutilazioni crudeli delle vittime della fiction Dexter -, non respingendo il caos ma componendolo e trasformandolo, 'forsennando' (Derrida) il linguaggio formale della mera rappresentazione, "crea un inquietante quanto seducente caosmos che lascia aperto il senso duplice della crudeltà", realizzando uno 'shock' (Benjamin), un 'urto' (Heidegger), che come un proiettile rompe una corazza protettiva.

venerdì 12 dicembre 2014

ancora sul cucirsi un costume

Kamala Khan, adolescente ragazza musulmana degli Stati Uniti, genitori severi e interessi da nerd, si ritrova ora ad avere poteri da mutaforma e decide di farne grandi cose. 
"Ma se davvero voglio farlo... dovrò andarmene in giro per Jersey City sfoggiando i poteri... e mi servirà una cosa. Un costume. Ovviamente. Potete chiamarmi Ms. Marvel". 
Così nel primo arco narrativo della nuova serie Marvel, storia di G Willow Wilson e disegni di Adrian Alphona (Ms. Marvel #4 del luglio 2014, in Italia su Incredibili Avengers #20 del novembre 2014).

Ancora una volta, sul cucirsi un costume.


domenica 30 novembre 2014

letture di novembre (II)

Per Dave Eggers una nuova lettura, dopo L'opera struggente di un formidabile genio e la riscrittura di Le creature selvaggeIl Cerchio è una società, un'azienda, che non solo cavalca ma spinge avanti in modi radicali ed estremi la rivoluzione digitale e informatica. Come luogo di lavoro, anzi come comunità integrale, "lì ogni cosa era perfetta. Le persone migliori avevano creato i sistemi migliori e i sistemi migliori avevano permesso di raccogliere i fondi, fondi illimitati, che rendevano possibile tutto questo. Ed era naturale che fosse così. Chi poteva creare l'utopia se non degli utopisti?". Il Cerchio, infatti, è guidato come da uno "zio prediletto" tra i cui generosi progetti c'è quello di documentare e testimoniare, attraverso miliardi di telecamere, tutto quello che succede nel mondo, affinché tutti possano conoscerlo: tutto deve essere visto e conosciuto da tutti, la privacy è un furto, e tutti gli esseri umani devono essere onniveggenti e onniscienti, avere "gli occhi di Dio", sotto il cui sguardo "tutte le cose sono nude e aperte". "99 punti su 100 è quasi perfetto, certo, ma al Cerchio questo punto in meno disturba", il cerchio deve essere chiuso, completato, in maniera tale che, eliminata quella "cappa di invisibilità" - la certezza di non essere visti in ogni attimo della propria vita - che induce gli uomini all'ingiustizia, saremo "costretti a essere la versione migliore di noi stessi. In un mondo dove le brutte strade non sono più un'opzione, non abbiamo altra scelta che essere buoni. Se non abbiamo altra scelta che la strada giusta, la strada migliore, questo sarà per tutti una specie di estremo sollievo che tutto comprende". E allora "chi può voler ostacolare l'incontestabile miglioramento del mondo", questo "secondo Illuminismo"? Chi può voler ancora vivere in un mondo dove ci sono persone senza casa, odori aggressivi, macchine che non funzionano sedili e pavimenti non puliti, caos e disordine dappertutto, inutile conflittualità, inutili errori e inefficienze? Eppure qualcuno crede che servano attimi di "tregua dalla innaturale perfezione", che il Cerchio stia "creando un mondo di luce sempre accesa che ci brucerà vivi, tutti quanti. Non ci sarà tempo per riflettere, dormire, raffreddarsi", che il Cerchio sia uno "squalo che divora il mondo". Quale il finale di questo progetto di una totalitaria e pan-ottica utopia? 

George R.R. Martin non è solo Cronache del ghiaccio e del fuoco, e così gradendo molto quella saga mi sono dato alla lettura di Armageddon Rag. Insomma. Il romanzo parte bene, come un thriller ambientato nel mondo della musica rock e della controcultura degli anni '60, ma quando ha una svolta mistico/esoterica perde parecchio in interesse, almeno per quanto mi riguarda. Aspetterò altro materiale dalla saga fantasy.

Finito infine Le due città di Charles Dickens. Un romanzo con un incipit fenomenale che immerge profondamente nel periodo migliore e peggiore di tutti i tempi, quella stagione di luce e tenebre che è stata la rivoluzione francese; una trama tesa, appassionante e intrecciata tramite avvincenti colpi di scena, capovolgimenti e riconoscimenti; dei personaggi umani e altri estremamente potenti, come nel bene così nel male; un finale glorioso.

Seconda lettura anche per le indagini di Harry Hole, il poliziotto norvegese creato da Jo Nesbø. Il pettirosso intreccia le indagini su gruppi neonazisti scandinavi, traffico di armi, attentati terroristici, con le vicende dei soldati norvegesi all'epoca dell'occupazione tedesca, inviati a combattere sul fronte russo: come sono legate storie che si svolgono con oltre cinquant'anni di distanza? I tradimenti, personali e politici, privati e storici, possono essere perdonati? Buona la capacità dell'autore di raccontare sia il suo thriller, sia la storia pubblica del suo paese.

Davvero ottimo il saggio di Peter Sloterdijk sulla Critica della ragion cinica.

lunedì 24 novembre 2014

il fine...

"A volte il fine giustifica i mezzi. Non importa quale sia il prezzo per la tua anima. Difficile non trovare soddisfazione nel lavoro. Nonostante la posta in gioco, nonostante la missione ti occupi la mente, nonostante tutto questo, è sempre bello fare un'entrata spettacolare. State certi che Fener sogghigna in segreto, ogni volta che parte quella marcetta. Difficile non godersi il brivido. Fortunato colui che ama il proprio lavoro. Proprio fortunato" (da X-Force #2 del maggio 2014, in Italia su Gli Incredibili X-Men #15 del novembre 2014).
Così il nuovo leader dell'almeno quinta incarnazione del gruppo mutante X-Force, Cable. A conferma di come temi centrali nei comics siano le questioni morali. Questo ciclo narrativo mette alla prova la disponibilità a commettere il male in funzione del bene dei membri di questo team mutante - composto tra gli altri, oltre che dal viaggiatore temporale Cable, da Psylocke,  con i due che sono probabili prossimi protagonisti di narrazioni/trasposizioni cinematografiche dell'universo mutante Marvel -, mette in scena la possibilità che il rifiuto radicale del mondo come è possa rovesciarsi repentinamente nella ricerca di una sua definitiva e finale trasformazione, che un’etica dell’assenza dei fini possa sfociare in un’etica del fine ultimo, in cui al rigido cinismo dei mezzi si intrecci il non meno duro moralismo dei fini (come sostiene Peter Sloterdijk in Critica della ragion cinica). Ancora, questa serie affronta le questioni dell'osceno godimento - quel "brivido" - nel compiere il proprio lavoro/missione e la scusa del dovere che si dà alle proprie azioni. Lettura da continuare.

domenica 23 novembre 2014

il palmo della mano

Dopo quasi vent'anni di irregolare pubblicazione periodica, arriva il finale del manga Neon Genesis Evangelion, di Yoshiyuki Sadamoto.
Il protagonista, il timido adolescente Shinji Ikari, è posto davanti alla possibilità di realizzare un'utopia, il perfezionamento dell'uomo: lo "scioglimento" di ogni individuo fino a rendere l'umanità tutta una cosa sola, nella confortevole e gradevole condizione immersiva di non sentire più nulla. Eppure egli preferisce e sceglie di rifiutare e tornare al mondo di prima, in cui le mani e le voci degli altri lo feriranno, di nuovo.
"Le mani degli altri finiranno forse per farmi male. Le mie mani faranno forse del male agli altri. Le mani congiunte forse un giorno si allontaneranno tra loro. Io però, nonostante questo, vorrei ancora una volta tenerti per mano".

 


lunedì 17 novembre 2014

critica della ragion cinica

Nella sua Critica della ragion cinica, Peter Sloterdijk si propone di chiarire la contrapposizione tra l'antico kinismo filosofico e il nuovo cinismo di un diffuso tipo umano assai spregiudicato. "Gli antichi conobbero il kynikos nella sua veste di eccentrico barbagianni, moralista, provocatore testardo, beffeggiatore distanziato e distanziante, mordace, velenoso individualista che dà a intendere di non aver bisogno di nessuno e di essere inviso a tutti perché nulla e nessuno passa indenne sotto il suo sguardo crasso e disvelante, che ogni cosa brutalizza". In età più recente, invece, da profilo negativo ed emarginato della città, il cinico si è fatto figura di massa e carattere sociale mediocre, asociale integrato dotato di un realismo malvagio e dell'obliquo ghigno dell'amoralità aperta, ironizzatore radicale dell'etica e delle convenzioni sociali ma capace di conservare una certa capacità produttiva: il cinico moderno sa quello che fa ma lo fa comunque, persuaso del fatto che così deve essere, riuscendo a sentirsi vittima, sacrificato, infelice. Così, il cinismo moderno è falsa coscienza illuminata, è un paradossale agire - e in santa coscienza - a dispetto di quello che si sa, è assenza completa di illusioni e attrazione irresistibile della "forza delle cose", è una serenza irrispettosità nella prosecuzione dei propri compiti.
L'illuminismo, "un idillio di pace epistemologica con bella vista sulla Scuola di Atene", è rimasto inappagato per la scarsa propensione al dialogo e alla libera discussione di potere, tradizione e pregiudizi. Così, dovendo parlare di chi non desidera parlare con lui, l'illuminismo continua con altri mezzi, con le armi della polemica, quel dialogo fallito e si fa critica dell'ideologia, assumendo tratti crudeli e satirici. Ma "la moderna critica dell'ideologia" - questa una delle tesi di Sloterdijk - "ha ormai abbandonato quella potente, ilare tradizione del sapere satirico che aveva le sue radici, filosoficamente parlando, nel kynismos degli antichi", e si è fatta seriosa e parruccona, agghindata in giacca e cravatta, borghese e rispettabile e "per conquistare in qualità di 'teoria' un posticino tra i libri ha cancellato la satira dalla propria vita andando infine a trincerarsi in una fredda guerre delle coscienze". Questo e  l'orrore tecnologico del XX secolo - da Verdun ai gulag, da Auschwitz a Hiroshima -, che rende passibile di sarcasmo ogni ottimismo e rende inesorabile la sfiducia, l disillusione, il dubbio, la frigidità psichica, avversando ogni principio di speranza con il principio che bisogna vivere qui e adesso - di giorno in giorno, di ferie in ferie -, segnerebbero la genesi del moderno cinismo.
Sloterdijk presenta poi una sua galleria di figure ciniche. La prima è quella di Diogene di Sinope, il kinico antico che resiste e si oppone all'imbroglio del "Discorso" e dell'astrazione idealistica, alla sciapa e totalmente cerebrale magistratura filosofica, dichiarando con sfrontatezza aggressiva, libera, svergognata e rustica quel che la vita è al di là di ogni "verbalizzazione" e universalismo, avendo il coraggio della domanda puerile e spudorata, rivendicando il diritto alla felicità e il bisogno profondo di integrità esistenziale in una replica che oltrepassa la confutazione teorica per farsi vita stessa, attraverso un uso kinico del corpo che si fa argomento e arma esso stesso. Ci sono brevi ricette grazie a cui il kinismo sfrontato ottiene infallibilmente la meglio sulla maggioritaria e dominante "legge" filosofica e moralistica: "ecco due formule telegrafiche: 1) ‘Embè?’ e 2) ‘E perché no?’. Il che null’altro rappresenterebbe se non la facoltà di dire sempre ‘no’ al momento giusto. La capacità di dire ‘no’, sviluppata in modo completo, è l’unica base valida del ‘sì’, e solo insieme, queste due facoltà, conferiscono spessore all’essere liberi" e consentono di essere felici, non paralizzati dalle "mille e una idee fisse su come noi o il mondo dovremmo essere e non siamo. Nella felicità sta il cardine di ogni principio di sfrontatezza". 
La seconda, tratta dal romanzo di Dostoevskij I fratelli Karamazov, è quella del Grande Inquisitore, espressione del nuovo cinismo moderno nella sua forma di conservatorismo politico, con la sua filantropia infiltrata di realismo e disprezzo. Nell'ottica cinica che si è portata al di là del bene e del male, non si trova affatto il radioso amoralismo favoleggiato da Nietzsche, ma la ragione strumentale e manipolatrice scissa e paradossale di un individuo in cui "s’intrecciano il rigido cinismo dei mezzi e il non meno duro moralismo dei fini", rendendolo quindi "per metà amoralista e per l’altra metà ipermoralista; cinico per un verso, sognatore per l’altro; scevro di qualsiasi scrupolo, ma fedele nei secoli all’idea di un Bene Ultimo. Nella prassi non indietreggerà dinanzi a ferocia o infamia o inganno di sorta; ma nella teoria è invasato da ideali supremi". Persegue fini "buoni" con mezzi "malvagi".
Terza e ultima figura, quella dell'uomo indagato da Heidegger, la cui filosofia dell'esistenza rappresenta, per Sloterdijk, una forma di neokinismo. L'io neutro e inautentico dell'uomo distratto dal si impersonale della chiacchiera, della curiosità e dell'equivoco, occupato dalla cura per il mondo in cui da sempre è gettato, è "il più potente e originario modo di essere" dell'uomo. Con ciò si "prende lapidariamente atto della indiscutibile libertà che la vita possiede riguardo ai suoi fini", dell'assenza di senso del vivere, e nel coraggio dell'angoscia si arriva alla risolutezza e consapevolezza dell'essere-per-la-morte. "Da questo, nessun Fine Superiore deve a tal punto scostarsi da trasformare la nostra morte in un mezzo per un fine", da questo si "fonda anzitutto l'assoluta preziosità del vivere medesimo", connessa a un gaudio vitale e festoso del qui e ora. Così "il cinismo dei mezzi può essere compensato solo con un ritorno al kinismo dei fini".
La critica della ragion cinica fa nascere una "gaia scienza" quale "resistenza satirica condotta da una vita concettualmente avveduta contro una concettualità arrogante e una scolastica elevata a forma di vita". Contro "un'intelligenza astuta, opaca, indurita e scissa da ogni coraggio aprioristicamente ritenuto ingannevole" che "sa occuparsi ormai soltanto di tirare a campare", Sloterdijk si appella al coraggio, la chiarezza, l'euforia, l'esultanza, la serenità, la risolutezza, la consapevolezza che caratterizzano "l’eccellenza della vita riuscita", istante improvviso che "estingue il disperante ‘già stato’ e diventa il primo di un’altra storia".

domenica 16 novembre 2014

lettori di nietzsche

Quale personaggio dei fumetti è un gran lettore del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche?
Sicuramente Victor von Doom, ovvero il Dottor Destino, che nello scontro con il vendicatore Iron Man - Fatal Frontier del 2014 (in Italia sul secondo volume di Frontiera Fatale) - lo cita per ben due volte. Una prima volta, esplicitando la fonte, il sovrano di Latveria accusa Testa di Ferro di essere uno di quelli di cui scrisse Nietzsche chiamandoli "storpi a rovescio, quegli uomini che non sono altro che un grande occhio, o una gran bocca, o un grande ventre"... Tony Stark è così, è solo una grande armatura, è solo scienza e tecnologia, è il migliore in quello che fa, ma è tutto quello che fa ed è, un individuo unidimensionale, specialistico, non integro.
Una seconda volta, lasciando invece implicito il riferimento, Destino ironizza sulla posizione morale che Iron Man riserva per se stesso con arroganza, sostenendo che il vendicatore dorato si atteggia a drago immane "Tu Devi", dicendo agli altri cosa è giusto e cosa è sbagliato.
L'incredibile filosofia dei comics.


venerdì 14 novembre 2014

letture di novembre (I)

Prima parte del mese dedicata a brevi letture di saggistica filosofica.
Il saggio di Umberto Curi su La forza dello sguardo indaga l'intreccio tra visione e potere, e la sua costitutiva e ineliminabile ambivalenza, che sembra caratterizzare lo sviluppo della storia culturale dell'Occidente, in cui la volontà di conoscenza e il desiderio di appropriazione sembrano saldarsi nella riproposizione di immagini della "rapacità dell'occhio che tutto vuole vedere-conoscere, che tutto vorrebbe rinserrare nel proprio orizzonte" e della figura dell'onniveggente-invisibile.
Il percorso di Curi si apre con Freud e la sua analisi psicoanalitica della vista quale fondamento del perturbante e si chiude con Foucault e l'organizzazione degli spazi, la sorveglianza nella società disciplinare, la dittatura orwelliana dello sguardo panotiico dei dispositivi del Grande Fratello, ma è tutto lo sviluppo centrale a costituire la parte più interessante del saggio, sviluppo il cui tragitto si svolge tutto all'interno del mito e della filosofia antichi: dallo sguardo potente della terribile Medusa al potere dell'invisibilità dell'anello di Gige, dalla tragedia di Edipo e il mito di Narciso al racconto di Platone della caverna in cui l'educazione filosofica emerge quale lotta e combattimento, afflizione e costrizione verso la luce (e con ritorno finale nelle ombre), allenamento dell'occhio e dello sguardo.

Giuliano Torrengo offre una piacevolissima e competente (dal funto di vista scientifico e fantascientifico, filosofico e letterario) guida a I viaggi nel tempo. Dopo aver presentato le diverse teorie sul tempo che si contrappongono nel dibattito odierno (visione dinamica o statica del tempo, nelle loro varie formulazioni moderate e più radicali), valutando quali di esse rappresentano uno sfondo metafisico più favorevole alla posizione dei viaggi nel tempo e quali, invece, sembrano inconciliabili con essi, l'autore chiarisce l'idea della quadridimensionalità dello spaziotempo, le implicazioni della relatività speciale sul concetto di simultaneità e quindi di presente e quelle della relatività generale sulla curvatura gravitazionale dello spazio quadridimensionale. Poi vengono illustrati macchine e tunnel spaziotemporali, costruiti o ottenuti sfruttando le caratteristiche di particolari oggetti cosmici. Infine si affrontano i paradossi del viaggio nel tempo (catene causali circolari, autorapimenti, oggetti provenienti dal nulla, tentativi di cambiamento del passato), mostrando come sia scorretta l'idea che viaggiare nel tempo è impossibile perché ne nascerebbero delle vere e proprie contraddizioni. Il tutto in maniera piana ma non superficiale, da buona guida, efficacie anche nell'uso di esempi e di riferimenti a prodotti dell'immaginario fantascientifico popolare.

Inoltre, di quel femonemo di Slavoj Žižekle cronache del mondo rimosso Distanza di sicurezza e la filosofia dell'Evento; la Piccola filosofia dello Zombie di Maxime Coulombe.

domenica 9 novembre 2014

evento

Salendo a bordo del saggio di Slavoj Žižek sull'Evento, si transita per diverse stazioni attraverso le quali il filosofo sloveno riflette sulla definizione dell'oggetto in esame, partendo da prime approssimazioni quali quella di effetto che sembra eccedere le proprie cause, di mutamento nel modo in cui la realtà ci appare, di trasformazione sconvolgente della realtà stessa.
L'evento è un mutamento o disgregazione della cornice (frame) stessa attraverso la quale la realtà ci appare, percepiamo il mondo e ci impegniamo in esso; esso è un re-incorniciamento (reframing), dato che solo una cornice fantastica, fantasmatica, ci rende capaci di esperire il reale delle nostre vite come una totalità significante: l'incorniciamento (enframing) è l'atteggiamento propriamente umano verso la realtà, il nostro relazionarci con essa. L'evento rappresenta quindi una nuova apertura epocale in senso heideggeriano, l'emergere di un nuovo mondo, di un nuovo orizzonte di significato.
Ancora, l'evento è la rottura del normale corso delle cose, è caduta quale peccato felice (felix culpa) che è condizione stessa del bene; è, in senso hegeliano, ferita autoinflitta che tenta di curarsi, che mina, nega e trasforma l'intera realtà inerte e stabile, che crea - quale assoluto contraccolpo - ciò da cui si ritira, ciò che si lascia indietro, come lama nella carne. L'evento è, allora, anche rottura della simmetria, in cui le cose emergono quando l'equilibrio è distrutto, quando qualcosa va storto.
In campo filosofico, secondo Žižek esistono tre eventi nella storia del pensiero occidentale, tre intrusioni traumatiche di qualcosa di nuovo che risulta inaccettabile per la visione predominante, tre momenti di follia e tre tentativi di contenere e controllare questo eccesso, di ri-normalizzarlo e re-inscriverlo nel normale corso delle cose: Platone e l'istantaneo e improvviso incontro con la verità dell'Idea, una verità che fa male e che sconvolge la vita quotidiana, evento fragile e fuggevole, da trattare con la delicatezza di una farfalla, che ci appare attraverso esperienze fugaci, in momenti miracolosi in cui un'altra dimensione trapela nella nostra realtà. Cartesio e l'emergere della pura soggettività da una rottura nella grande catena dell'essere, da un radicale auto-ritrarsi - quasi psicotico o mistico - nella "notte del mondo" in cui l'immediato contesto naturale della realtà si eclissa, esperienza di un abisso traumatico. Hegel e l'Assoluto come auto-sviluppo, come risultato della propria stessa attività, come crimine universale che pone se stesso come ordine e legge, come rivolta tenebrosa e audace che congiura per essere moralità e civiltà, in definitiva come evento che include nella propria verità anche la finzione o fantasia, che modifica il passato creando retroattivamente la propria stessa possibilità, le proprie cause e condizioni.
Per la psicanalisi di Lacan, invece, l'evento è l'irrompere del Reale, il ritrovarsi a tu per tu con la Cosa, un trauma in grado di destabilizzare l'ordine simbolico; e, ancora, l'insorgenza improvvisa di un nuovo ordine simbolico, di un nuovo "Significante-Padrone", cioè di un significante che struttura un intero orizzonte di significato, creando il proprio stesso passato.
Come per Alain Badiou, un evento è una contingenza che i trasforma in necessità, dando origine a un principio universale che richiede fedeltà e duro lavoro per un nuovo ordine, che si tratti di un innamoramento personale o di una rottura politica radicale.

venerdì 7 novembre 2014

piccola filosofia dello zombie

Nella sua Piccola filosofia dello zombie, Maxime Coulombe propone una riflessione attraverso l'orrore, una messa alla prova filosofica di una figura come quella dello zombie che sembra rappresentare inquietudini e paure umane, essere sintomo di ciò che tormenta la coscienza della nostra epoca e, forse, si preferisce sia taciuto, come una certa stanchezza, una volontà di farla finita.
Quella dello zombie è un'immagine che sopravvive nel tempo, capace di trasformarsi plasticamente e attraversare le epoche mostrando sempre ciò che anima una cultura in un dato momento della sua storia. Nato nella cultura africana e haitiana come figura che evoca la schiavitù forzata, un soggetto depersonalizzato e incapace di ribellarsi, dal diciannovesimo - e poi pienamente negli anni Venti e Trenta del ventesimo - secolo lo zombie entra nel folklore occidentale, come immagine di un individuo drogato o stregato da una persona malvagia ma la cui condizione di incoscienza è temporanea. Una svolta interpretativa si ha negli anni '60-'80, ad opera soprattutto del cinema di George A. Romero che fa dello zombie non più il frutto momentaneo di un sortilegio, ma una nuova specie che si nutre degli uomini ed è in grado di trasmettere in modo epidemico la propria condizione, condizione irreversibile dovuta a forze soprannaturali che riportano i morti alla vita, privi di coscienza, causando orrore senza altro scopo apparente che la distruzione stessa. 
Figura del doppio, a rendere particolarmente perturbante lo zombie è la sua vicinanza all'umano, il fatto che esso è un quasi-uomo. Lo zombie richiama l'immagine di un individuo traumatizzato più che di un mostro, facendosi metafora di un soggetto contemporaneo vittima dello shock della modernità, la cui coscienza, ferita dal ritmo del mondo, dalla riduzione delle affezioni, dalla meccanizzazione dei gesti, è resa fragile. Lo zombie, così, non sarebbe la figura dell'eccezione ma l'incarnazione di un frammento della reale condizione umana, come se nel cuore della modernità risiedesse qualcosa di simile al divenire-zombie.
Figura del represso, l'orrore e la mostruosità dello zombie segnano il ritorno della corporeità umana, ci ricordano la nostra natura mortale e contingente: mettendo in scena l'abiezione, lo squarcio, l'impurità, la degradazione, lo zombie mostra ciò che la cultura cerca di nascondere fuori dal campo del visibile, attraverso l'imposizione del controllo del corpo, l'ossessione dell'annullamento delle manifestazioni del corpo e della ritualizzazione e standardizzazione progressive delle maniere corporali. L'abietto, secondo Julia Kristeva, punta verso la natura dell'uomo e verso tutto quello che la coscienza umana ha dovuto respingere, allontanare, per formarsi, distanziamento che ha come corollario il rifiuto, la rimozione, della nostra animalità e fatalità. Lo zombie, quindi, è il reale che resiste alla simbolizzazione e mostra il limite e la fragilità dell'identità umana, del nostro sistema e ordine sociali e culturali, la loro natura convenzionale. Se il grottesco, secondo Michail Bachtin, è una reazione di libertà e permette lo sfogo, il divertimento, la rivincita, lo splatter dello zombie sembra essere però un orrore che non riesce a trasformarsi in progetto, utopia, contro-mondo: esso ci libera ma è incapace di sognare, sopra le rovine dell'ordine stabilito, un futuro alternativo.
Questa incapacità manifesta una certa pulsione di morte, un certo desiderio di assistere, in mancanza della possibilità di sognare qualcosa di migliore, alla distruzione del mondo. Così, infine, lo zombie si fa anche figura dell'apocalisse, rappresentando uno sfogo sublime alle paure di fronte alla minaccia costante della distruzione dell'umanità, mettendo in scena il fantasma, o perfino il sogno, di assistere alla scomparsa dell'umanità. Gli attacchi degli zombie destabilizzano irrimediabilmente l'equilibrio precario del nostro mondo, e questo annientamento ci libera da una condizione deprimente, è il sollievo ultimo di ogni nostra tensione. Il sogno dell'apocalisse funziona perché permette di liberarsi da una passività imposta, di ritrovare, anche solo in uno spazio minimo, una sensazione di dominio: la fine dell'umanità sarebbe il nostro riscatto, non ne saremmo più vittime poiché l'avremmo, almeno immaginariamente, sognata e sperata, in una rivalsa simbolica sull'ordine del mondo.


giovedì 6 novembre 2014

cronache del mondo rimosso

Gli articoli di Slavoj Žižek raccolti in Distanza di sicurezza sono una cronaca del mondo contemporaneo e dei tempi interessanti in cui viviamo oggi. Sono cronache di guerra, una guerra in cui sembrano essersi affermate la violenta logica paranoica del controllo totale su ogni minaccia futura e dell'attacco preventivo contro tali minacce (una logica alla Minority Report di Philip K. Dick), l'esportazione della libertà, la democrazia armata e la giustizia infinita (non però nel senso reale di Jacques Derrida per il quale nessuno è mai politicamente incolpevole e bisogna sempre riferirsi a se stessi, includere se stessi nel discorso della responsabilità). Sono cronache di un mondo in cui il fondamentale diritto umano è diventato quello di non essere molestati, in cui l'apertura verso l'Altro e l'alterità del tollerante atteggiamento liberale nasconde la paura ossessiva di essere infastiditi dal veramente Altro, un Altro intrusivo da cui si desidera essere tenuti a distanza di sicurezza.Sono cronache di un mondo in cui, fallite tutte le soluzioni pragmatiche standard, l'invenzione utopica di un nuovo spazio sembra essere l'unica scelta realistica, nell'urgenza di tempi che richiedono un evento fuori dai parametri del possibile.
In tali cronache, trovano spazio anche riflessioni apparentemente meno legate all'oggi, come l'accostamento operato da Jacques Lacan tra Kant e Sade, sulla base dell'interpretazione per cui il nocciolo della rivoluzione etica kantiana sarebbe l'idea che l'eccesso assoluto è quello della legge stessa, la cui ingiunzione è la trasgressione ultima di una vita stupida fatta di piaceri modesti, rispetto alla quale il pervertito sadiano insegnerebbe che persino la più eccessiva sregolatezza criminale non può avvicinarsi all'eccesso infinitamente violento, alla rottura traumatica, della legge morale. Sade costringerebbe così Kant a confrontarsi con l'inaudita radicalità della sua stessa posizione: il soggetto di Sade è puro, al di là del principio del piacere, di sogni, passioni, emozioni, nella sfida alla libertà umana a compiere un atto contro natura, come il soggetto di Kant deve mostrare di essere capace di un atto autonomo, non condizionato dalla catena causale naturale e psicologica.
O, ancora, una riflessione sui thriller di Patricia Highsmith, sul suo Mr. Ripley psicotico ma non folle, anzi razionale e piuttosto civile, angelico perché non integrato nell'ordine simbolico umano e quindi esistente in un universo che precede la legge e il peccato, ma, proprio per questo, quale prezzo da pagare, anche incapace di intensa passione: un mostro freddo etico e immorale.

venerdì 31 ottobre 2014

letture di ottobre

Un'opera-mondo, un romanzo enciclopedico è la caccia alla balena Moby Dick, di cui Herman Melville fa raccontare le memorie all'unico superstite della baleniera guidata dal monomaniaco capitano Achab. Biologia marina ed evoluzionismo, storia dell'arte ed estetica dei colori (la purezza e la terribilità, la santità e la spettralità del bianco), teologia e meteorologia, filosofia ed economia, antropologia e culinaria, cantieristica e macelleria. Questi i mondi in cui naviga il libro di Melville, che però è e resta soprattutto un classico e appassionante racconto di una grande avventura. 

Come da programma, dopo Il potere del cane ho letto altro di Don Winslow e, ancora una volta fedele ai miei propositi, proprio quel Satori che è prequel dello splendido Shibumi di Trevanian. E per fortuna lo ho letto dopo quest'ultimo, perché senza il ricordo di quello straordinario personaggio che è Nikolaj Hel per come emerge dalle pagine di Trevanian, questo romanzo di Winslow sarebbe stato forse deludente, invece riesce a risultare comunque gradevole, piacevole, seppur non bellissimo, perché brilla di luce riflessa, ha il merito di far lievemente riassaporare tutto il fascino della storia originale.  

Gradevole e piacevole la favola de La piccola mercante di sogni scritta da Maxence Fermine a partire dal sogno di uno dei suoi figli, senza grosse pretese.


Un eroe inadeguato, detective a riposo e sovrappeso, due improbabili alleati, un avversario folle e geniale (o fortunato?), una storia semplice magistralmente intrecciata. Ancora una volta, con l'ultimo romanzo Mr Mercedes, Stephen King dà prova della propria arte narrativa componendo un appassionante thriller.

Warren Ellis è uno dei miei autori preferiti di fumetti. Mi piace molto lo stile visivo di Adi Granov. Iron Man è un personaggio dei comics Marvel di cui mi sto sempre più interessando e che sto scoprendo. Quindi perché non avevo ancora letto la saga Extremis? Scritto dal primo, disegnato dal secondo, con protagonista il vendicativo "uomo di ferro", è davvero un gran bel fumetto.
Bello nella storia (di Fabio Geda e Marco Magnone) e delicato e affascinante nei disegni (di Ilaria Urbinati) il diario fantastico di Alessandro Antonelli, Architetto, A.A.A.: la storia della sfida alla verticalità, campo di battaglia scelto da questa pietra lanciata nell'acqua stagnante, che porta alla progettazione e costruzione della Mole di Torino.

Ritorno alla piacevolezza e fantasia grafica e narrativa dei primi due libri per ZeroCalcare con l'ultimo Dimentica il mio nome.

Saggi filosofici di questo periodo sono l'interessante La vita sensibile di Emanuele Coccia e l'indagine su The Walking Dead di Salvatore Patriarca.
Per la critica letteraria, il non pienamente soddisfacente testo di Catherine Millot su Gide. Genet. Mishima.

venerdì 24 ottobre 2014

intelligenza della perversione

Saggio non completamente soddisfacente quello di Catherine Millot su Gide. Genet. Mishima, tre dei miei scrittori preferiti, motivo perciò dell'acquisto. La parziale delusione deriva dall'impianto eccessivamente biografico e dalla prospettiva troppo psicologica (o riduttivamente psicologica) e poco critico-letteraria dei tre brevi testi dedicati agli autori accomunati, secondo l'autrice, dall'uso di un'intelligenza perversa, o di una perversione intelligente: "essi hanno rinunciato, in quanto soggetti, a ogni identità con se stessi, a ogni pretesa di unicità. Distruggendo la nozione di un Io coerente, la loro diversità nei rapporti intersoggettivi è a immagine del passo oscillante simile a quello dello zoppo che connota nell'intimo la loro differenza. La divisione della personalità serve loro come arma al fine di destituire ironicamente quel sovrano che l'Io padrone di sé immagina di essere, mentre la loro eccentricità configura un'altra sovranità, quella del desiderio e della sua ribelle singolarità. Non ci troviamo qui sotto il segno del conflitto interiore, ma dell'affermazione polimorfa. Essi sono non perfidi, ma bifidi, bicefali, mitologici come centauri, alle volte patetici quanto il Minotauro".
Così, Gide è un ibrido di baccante e Spirito Santo, è cielo e inferno al tempo stesso, la cui devianza assume il volto della saggezza e il cui erotismo dallo stile femminile lo lascia aperto a tutti i venti del desiderio, lo offre alle forze paniche della natura (celebrate ne I nutrimenti terrestri), lo dissolve da ogni identità, trasforma la sua anima in una 'locanda aperta al crocevia' fedele al godimento senza mai disdegnare lo scandalo.
Genet fa della disgrazia una vittoria spingendo il destino all'estremo finché questo non si ribalta, domina la situazione volendola, fa miracoli di una posizione di scarto trasformando l'abiezione in una nuova forma di amore, viziosa e poetica insieme, magnificandola, sublimandola; egli stesso è un diamante, giustamente chiamato solitario, che la sofferenza e la vergogna hanno prodotto, desidera essere santo sacrificando il proprio orgoglio su strade imprevedibili e inventate, e funambolo che sul filo del rasoio unisce i due poli della solitudine umana - essere solo ed essere il solo, esclusione ed eccezione - dimostrandone l'identità.
Infine, anche Mishima mostra un radicato sentimento di tragica esclusione, un'identità di paria, la convinzione di essere diverso e sottratto alla sorte comune, e quale rivincita sceglie di trovarsi un posto a parte imparando a gioire di tutto, negando la castrazione con il piacere, sfidandosi a non avere simili, anche se tale trionfo non può essere esente dal senso di colpa per la diserzione agli obblighi normali; se carne e spirito, amore e desiderio, bellezza e bruttezza, grazia e disgrazia, purezza e lordura, sono poli opposti e assoluti di purezza e perfezione che risultano separati e la cui mescolanza è esclusa, si dà però forse una possibilità di riconciliare l'universale e l'esistente, l'arte e la vita: il sole e l'acciaio degli strumenti di ginnastica e delle arti marziali possono spogliare il corpo della sua particolarità innalzandolo all'universale, all'idea, al concetto, alla forma pura, mentre la letteratura può impiegare le parole in modo non conforme alla loro natura, tradire sottilmente la loro funzione, assemblarle in maniera perversa, universalizzando l'individualità dello scrittore in uno stile; stile e muscoli, corpo e parole, polarità ammessa in un io che è scontro e contraddizione, ma che può godere veramente insieme di istante ed eternità, che rispondono a desideri opposti, solo nella morte bella dell'eroe: "che cosa c'è di così terribile nelle viscere esposte all'aria? Che cosa d'inumano a considerare l'uomo col suo midollo e la sua corteccia, senza fare distinzione tra il fuori e il dentro - come si fa per le rose? Ah! Se soltanto si potesse mostrare il rovescio dello spirito e della carne, rigirarli delicatamente come i petali della rosa, esporli in pieno sole e alla brezza di primavera!" (Il padiglione d'oro).

martedì 14 ottobre 2014

the walking dead

Con il sottotitolo de Il male dentro Salvatore Patriarca conduce la sua analisi filosofica della serie televisiva The Walking Dead. La tesi del saggio è che l'ambientazione in un mondo catastrofico consenta alla narrazione televisiva della serie di affrontare tre grandi temi quali il rapporto dell'uomo con la natura e l'ambiente circostante, il problema della presenza (o assenza) della tecnologia, la costruzione della relazione all'altro e dello spazio comunitario. L'invasione degli zombie fa tabula rasa di quanto vissuto e conosciuto dagli uomini, obbligando così a pensare all'ambiente in cui attualmente si vive in maniera differente, scoprendolo fragile: l'angosciosa realtà di uno spazio privato delle rassicuranti certezze quotidiane permette di cogliere la quantità di elementi di senso che costellano l'esistenza umana ma che, per la maggior parte e normalmente, non sono presi in considerazione perché dati per scontati. Revocata la sicurezza dell'ambiente esterno, non un passo è sicuro nel nuovo mondo degli zombie e la natura sembra aver perso quella gentilezza che secoli di attività umana le avevano garantito, divenendo/tornando oscura, pericolosa, incontrollabile, minacciosa, ostile. Ma anche lo spazio interno, la casa, come residenza permanente e privata cessa di esistere come prima, nella scomparsa di ogni capacità di proteggerlo.
Allo stesso modo, il sapere tecnologico è distrutto e le comunicazioni estremamente limitate: l'uomo ha perso l'arma del sapere nell'azzeramento della sedimentazione conoscitiva che la successione delle generazioni ha prodotto e tramandato, ereditato e arricchito. Così, conoscenza e tecnica si rivelano quali complementi umani dell'ambiente vitale, essenziali a garantire una vita che non si riduca alla sopravvivenza.
Ancora, nella figura dello zombie l'altro viene vissuto come un dubbio continuo, dubbio che però si insinua nello stesso sé perché, si scopre, il male (il contagio degli zombie) è dentro l'uomo stesso: così, "l'antropologia di The Walking Dead è un'antropologia negativa, sul filone di quella kantiana, secondo la quale la natura recondita dell'uomo è quella di un 'legno nodoso', che non potrà mai essere del tutto dritto". Gli zombie, quindi, rappresenterebbero la proiezione di un'oscurità umana che dovrebbe restare soggiogata all'interno, ma che, invece, non è più trattenuta ed è giunta alla visibilità. La serie, quindi, narrerebbe di un uomo che va ricostruito, riportando il male sotto controllo, del rinnovato tentativo di porre le fondamenta di un vivere comune che possa tenere a bada il male che l'uomo ha dentro.

venerdì 3 ottobre 2014

metafisica della veste

Dopo aver apprezzato l'ultimo saggio di Emanuele Coccia sulla pubblicità come discorso morale, Il bene nelle cose, risalgo alla sua produzione precedente con La vita sensibile. Il mondo è realtà sensibile e l'umano essere nel mondo e averne cura si realizzano in questa dimensione media, che non coincide con il reale ma con il divenire fenomeno dell'oggetto in un luogo intermedio, trascendentalmente esteriore sia all'anima sia alle cose. Il sensibile come medio è una sorta di supplemento d'essere, di spazio ulteriore, di fuori-luogo, di immagine che non è mai riducibile né alla percezione del soggetto né all'esistenza naturale dell'oggetto, e che garantisce la possibilità di vita sensibile nell'universo. Questo primato del sensibile e dell'immagine è espresso da Coccia nella tesi per cui è "grazie al visibile che la visione è possibile, ed è la musica a rendere possibile l'ascolto.  Quanto oggi chiamiamo mente, spirito, o realtà cognitiva non è che un modo particolare della realtà mediale, una sorta di 'medio animato'. È il medio, dunque, a permettere di comprendere cosa è la mente e non il contrario. Se v'è del sensibile nell'universo è perché non v'è alcun occhio che sta osservando tutte le cose. La vita sensibile non è la faticosa fisiologia degli organi di sensi e non è custodita nella struttura dei corpi organizzati: i suoi confini arrivano sino a dove arriva il sensibile, e la sua fisiologia è anche extracorporea, extramentale, extrasoggettiva". Il sensibile è quindi una potenza immateriale e senza nome dei corpi, la vita soprannaturale delle cose - infraculturale e infrapsichica perché lo psichico è una forma incarnata del mediale sensibile -, né esclusivamente antropologico né meramente naturale.
Premessa questa fisica del sensibile, Coccia passa nella seconda parte del suo saggio ad elaborarne l'antropologia. L'uomo non si limita a ricevere il sensibile, ma non cessa di produrlo, lo emana perpetuamente sensificando il razionale, alienando, reificando, oggettivando lo psichico in immagine esterna. L'uomo chiede e affida la testimonianza radicale sul proprio essere al sensibile. Dando corpo allo spirituale l'uomo mostra che la propria esistenza è corpo e non si forma su un corpo che lo precede: il sensibile fa vivere l'uomo in un corpo ultraanatomico, ulteriore rispetto a quello organico, che non è il sostrato ma l'atto e la materia stessi dei vissuti. Vivere significa, quindi, cesellare la propria apparenza e solo nell'apparenza si decide ciò che si è: il vivente è quell'ente la cui la natura è interamente in gioco nella sua apparenza, la cui pelle non costituisce semplicemente un limite di protezione ma un organo speciale dell'ornamento che serve a costruire l'apparenza e su cui ciò che è più esterno parla di ciò che è più interno. "L'identità, il genere e la specie di un individuo si decidono nella cura con cui ogni vivente prova a dar forma alla propria apparenza". Ogni natura deve farsi ornamento per poter consistere, deve trasformarsi in moda, costume, veste, maschera, e l'uomo è l'animale che ha imparato a vestirsi, a trasformare tutte le cose nel suo mantello, il cui corpo non è mai interamente dato e completo, riducibile al suo mero fatto anatomico: "nel trucco e nell'ornamento una porzione di mondo ci esprime più di quanto non lo faccia il nostro stesso corpo anatomico; può dire io solo chi sa truccarsi". Nella veste bios e ethos, vita e costume, natura e abitudine, coincidono, in essa si definisce e decide la natura di un vivente.

martedì 30 settembre 2014

letture di settembre (III)

Una piacevolissima sorpresa da una lettura derivata: dopo aver apprezzato, in questo stesso mese, Il potere del cane di don Winslow, girando per decidere cos'altro di suo leggere mi imbatto in Satori, riscrittura di un altro romanzo, Shibumi, di Trevanian, e così, in preparazione del primo, mi dedico al secondo. Costruito secondo la sequenza delle fasi del gioco giapponese del go, che si conclude con il ritorno delle gru nel nido (primo sottotitolo dell'edizione italiana), il libro traccia l'etica dell'assassino perfetto (secondo sottotitolo italiano) Nikolaj Hel, straordinario personaggio che è un intreccio di razze (russa e tedesca), lingue (ne parla sette) e culture (orientale e occidentale), un magistrale giocatore di go, un esperto nell'arte marziale del nudo uccidere (come il Bullseye dei fumetti Marvel è in grado di fare di qualunque oggetto di uso quotidiano un'arma letale), un killer che è anche grandioso amante (come il protagonista del manga Crying Freeman), uno speleologo internazionale, un giardiniere e filosofo e guerriero, un asceta e mistico in odore di santità e un vandalo e vendicatore rapace, un uomo virile che reduce dal campo di battaglia indossa morbide vesti e passeggia con ammirata compassione per i petali cadenti dei ciliegi, un uomo coraggioso e gentile, un antieroe medievale (di un Medioevo nipponico e non europeo) il cui merito è di attaccare e distruggere i sistemi (dal danneggiare volontariamente la propria Volvo al ricattare i governi plutocratici), un uomo che aspira alla dignità e allo shibumi, una bellezza poco appariscente, raffinata e dimessa, modesta e perfetta, elegante e semplice. Il ritratto di questo personaggio, della sua etica, rende il romanzo un vero capolavoro.

John Katzenbach lascia narrare a Francis Petrel la sua storia, La storia di un pazzo, il racconto di quanto avvenuto vent'anni prima nell'ospedale psichiatrico in cui da ragazzo era stato rinchiuso a causa delle voci che sentiva nella sua testa: la storia di un'indagine per omicidio, della ricerca all'interno dell'ospedale di un assassino che è un folle psicotico o che, forse, tra tali pazienti si nasconde. A condurre le indagini sono lo stesso Francis, un altro paziente, Peter, pompiere accusato di incendio doloso, e Lucy, procuratrice sfregiata in gioventù durante uno stupro. A raccontare la vicenda, un Francis uscito dall'ospedale, ma forse ancora tormentato da voci, ricordi, fantasmi, tra flashback che va scrivendo sulla parete del suo appartamento e lotte con allucinazioni e spettri presenti. Splendido romanzo, davvero un thriller.

domenica 21 settembre 2014

letture di settembre (II)

Primo ma non ultimo romanzo di Don Winslow da me letto, Il potere del cane non è solo la storia della guerra al narcotraffico ma anche lo straordinario intrecciarsi delle vite e delle vicende di personaggi indimenticabili, dai protagonisti ai comprimari: Art Keller, polizioto che ha votato la sua vita alla crociata contro il traffico di droga; la famiglia Barrera che gestisce il cartello dei narcos messicani, il vecchio boss, Tio, lo "zio", e i suoi nipoti Adan e Raul, l'argento e il piombo, la mente finanziaria e il braccio armato; la prostituta d'alto bordo Nora Hayden; Padre Parada, sacerdote cresciuto tra il popolo e teologo della liberazione; il killer per caso e nonostante tutto Sean Callan e il freddo e crudele esecutore Fabian "El Tiburon" Martinez, Lo Squalo.
"Com'è che si dice: 'Mi ammazzeranno, ma mica mi mangiano'? Non è vero: possono fare tutte e due le cose, ma ciò non significa che tu debba calarti le braghe. Non devi lasciarti mettere al tappeto, devi costringerli a farlo. Si romperanno tutte le ossa delle mani per cercare di buttarti giù, ma tu devi fargli sapere che hai lottato, devi fare in modo che si ricordino di te ogni volta che si guardano allo specchio". E non ci si può che ricordare di tutti questi individui che hanno lottato, a volte vincendo o più spesso perdendo, con la violenza, la crudeltà, il male, il dolore, la morte, la necessità, il potere del cane.
Per le abituali letture filosofiche, abbiamo il piacevole (soprattutto da leggersi in due ad alta voce, magari anche in spiaggia) Un'estate con Montaigne, che raccoglie gli interessanti "tagli" scelti e commentati da Antoine Compagnon per una trasmissione radiofonica sui Saggi del filosofo francese; e la raccolta di scritti e interventi di politica e impegno civili di Michel Foucault che coprono il periodo 1975-84, riuniti nel volume La strategia dell'accerchiamento.

giovedì 11 settembre 2014

letture di settembre (I)

Continuo la mia immersione nel genere giallo-thriller - genere assolutamente inusuale per me sino ad ora, immersione che quindi forse è un segno del tempo che passa e dell'età che avanza, un po' come il mal di schiena - con due nuove e piacevoli scoperte ed esperienze di lettura: Il pipistrello di Jo Nesbø, primo caso, anche se tradotto e pubblicato solo ora, di Harry Hole, giovane ispettore norvegese che si ritrova in trasferta in Australia. La trama si complica e si arricchisce, anche di false piste di veri altri crimini, tra droga, sesso, politica e mitologia aborigena, e si ha la conferma che "la natura umana è una foresta grande e imperscrutabile che a nessuno è dato conoscere completamente" e che quando le foreste di "alcune persone hanno delle belle strade dritte con tanto di lampioni e di targa devi fare più attenzione a non dare le cose per scontate, perché non è sulle strade illuminate che trovi la vita animale della foresta, quella la devi cercare nella macchia e nel sottobosco".   
Ancora più avvincente la lettura di Il poeta di Michael Connelly, che ora mi costringerà a dedicarmi ad almeno buona parte della saga di Harry Bosch per poter arrivare al suo decimo volume, ovvero Il poeta è tornato.
Due letture fumettistiche: Cannibale raccoglie storie e tavole realizzate da Andrea Pazienza tra il 1976 e il 1981 per lo più per l'omonima rivista, storie come Perché Pippo sembra uno sballato?, quelle con protagonisti Francesco Stella nonno (imperatore del pomodoro) e pronipote (rock star), la "fantascientifica" Overture (allegro con fuoco), il duello di La scuola. Il primo volume di Orfani, invece, raccoglie in una lussuosa edizione ricca di commenti, riflessioni e schizzi degli autori l'inizio, ovvero i primi tre numeri, della serie fantascientifica pubblicata dalla Bonelli - ma completamente a colori - e scritta da Roberto Recchioni.

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