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sabato 19 aprile 2014

estetica e immaginario dei manga

Nell'analisi dell'estetica e dell'immaginario nel Giappone contemporaneo affrontata in Filosofia nei manga, Marcello Ghilardi rintraccia nel fenomeno dell'amalgama tra l'est e l'ovest, il vecchio e il nuovo, la lunga eredità culturale nipponica e la modernizzazione occidentale, l'origine del manga moderno: "la fascinazione, l'interesse e la volontà di apprendere le tecnologie dell'Europa e dell'America, di incorporare l'esteriorità di questi mondi, si scontra con una tendenza contrapposta, che si può definire 'essenzialista'" e che intende garantire la specificità della cultura nazionale, il che porta a un'ibridazione espressa dalle formule 'spirito giapponese, cultura occidentale' (wakon yōsai), o 'moralità giapponese, tecnica occidentale' (tōyō dōtoku, seiyō gijutsu). Il risultato estetico di tale commistione è uno stile definibile superflat (come il movimento artistico fondato da Takashi Murakami), "una nuova modalità di integrazione di culture e subculture, forme di crasi tra universi di significato distinti e dimensioni iconiche che pescano ovunque riferimenti, citazioni, prestiti visuali. Se dunque la situazione culturale del Giappone contemporaneo è questa (con)fusione e tensione insieme di elementi tradizionali e futuristici, orientali e occidentali, conservatori e progressisti, i manga moderni con le loro narrazioni e immagini integrano queste forme e le ricombinano, prestazione sociale e culturale con cui si saggia la possibilità di tenuta dell'identità dell'odierno Giappone.
Ancora oggi i manga - immagini (ga) frammentate, rapsodiche, sciolte, libere (man) - "continuano a privilegiare la figurazione tradizionale in bianco e nero, seguendo l'estetica della pittura tradizionale cinese e giapponese" che si preferisce libera dalla bassa intenzione mimetica del colore e che si costituisce, invece, come esercizio quasi ascetico, percettivo e mentale, di riduzione e intensificazione insieme, di massima espressività con il minimo dei mezzi, in un'immagine dalle infinite tonalità di grigi, integrando pittura e calligrafia, disegno e scrittura. Ma già l'opera di Hokusai, apprezzata in Europa come esempio di un'arte tipicamente nipponica, è informata da elementi occidentali e gli artisti giapponesi di inizio Novecento si fanno ispirare dalle opere dell'impressionismo europeo, a loro volta influenzate dalle stampe giapponesi di metà Ottocento, producendo un "circolo iconografico" di ibridazione e contaminazione che origina forme e contenuti a un tempo nuovi e antichi. 
"Il rapporto tra il mantenimento del legame con la tradizione e la capacità di rinnovarla, facendola così continuare a vivere, è stato descritto da una sequenza di tre termini, tre gesti o momenti che nelle arti tradizionali descrivono il passaggio dal noviziato alla maturità di un artista. Questi tre termini sono shu, che significa 'difendere, proteggere, custodire'; ha, ovvero 'rompere, spezzare, distruggere'; ri, cioè 'lasciare, abbandonare, liberare'. A testimoniare la pervasività nella cultura giapponese di questi temi si può citare un esempio tratto da un famoso manga, Rurōni Kenshin (Kenshin, samurai vagabondo), in cui la dinamica di shu-ha-ri è riproposta nella versione di un duello tra maestro e allievo. La presenza minacciosa del Maestro, che deve essere affrontato, è al centro della scena, è il motore intorno a cui ruotano le possibilità di sviluppo e di crescita del protagonista. È una Alterità interiorizzata, che guida nella tensione verso l'ideale di perfezione; [ma] l'allievo deve sganciarsi da quella presenza schiacciante, imparando a costruire una sua propria 'forma', che non sia più imitazione di quello ereditato ma sia il suo proprio; deve 'rinascere' a sé e creare qualcosa di nuovo. Adesione a modelli trasmessi, rottura con quei modelli (attraverso l'incorporazione di elementi estranei), liberazione sia dai modelli che dalla rottura nei loro confronti per aprirsi a un nuovo orizzonte e creare una nuova forma". Questa la filosofia giapponese che emerge nei manga.

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