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giovedì 31 luglio 2014

letture di luglio (II)

Seconda metà del mese ampiamente dedicata alla lettura di saggistica: ho già scritto sia su Il corpo preso con filosofia di Tommaso Ariemma,  sia su Immagini e figure della metropoli di Valeria Giordano, sia infine su Noi che abbiamo l'animo libero di Giulio Giorello ed Edoardo Boncinelli
Sempre di quest'ultimo ho letto anche Il cervello, la mente e l'anima, interessante, semplice ma non superficiale introduzione di un biologo e genetista alle scoperte scientifiche sull'intelligenza umana. 
Sullo stesso genere di argomento mi sono dedicato anche alla lettura di L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, gli interessanti, divertenti e commoventi racconti di Oliver Sacks sui suoi pazienti con deficit, eccessi, trasporti o semplicità neurologici; e anche a quella di di Anelli nell'io, per scoprire cosa c'è al cuore della coscienza secondo Douglas Hofstadter, autore di cui otto anni fa avevo estremamente apprezzato il bel volume in cui intrecciava in una eterna ghirlanda brillante i fili della logica contemporanea e dell'intelligenza artificiale (Gödel), della musica (Bach), dell'arte bizzarra (Escher). Il risultato è stato deludente, forse anche per le alte aspettative, non so. Ma il saggio mi è sembrato ridondante, eccessivamente prolisso (per quanto la scrittura possa non essere di fredda saggistica, ma avere uno stile più letterario, comunque Hofstadter non scrive da romanziere e dopo un po' i suoi lunghi elenchi e i suoi racconti mi risultano pesanti) a livello formale, e, forse peggio, a livello contenutistico forzoso, con un argomentazione che procede per analogie capziose e non sempre stringenti. Davvero un peccato.
Di tutt'altra valutazione la lettura dei brevi saggi e frammenti di G.W.F. Hegel raccolti in Il bisogno di filosofia (1801-1804) e, soprattutto, la rilettura del Crepuscolo degli idoli di Friedrich Nietzsche, ancora e sempre un capolavoro.

Ma spazio anche alla narrativa, con Le correzioni di Jonathan Franzen, gran bel romanzo
sull'educazione dei figli e l'emancipazione dai genitori, i cambiamenti e le abitudini, le imposizioni e le rivolte, la ristrutturazione neurale e la riscrittura di sceneggiature, le rivoluzioni politiche e i riassesti del mercato globale, le riparazioni casalinghe e le riconversioni industriali.
E con Nove gradi di libertà, di David Mitchell, romanzo d'esordio dell'autore di quell'Atlante delle nuvole trasposto in un meraviglioso film dai fratelli Wachowski. Storie - ambientate in Giappone, Asia centrale, Russia, Europa, New York - in cui a dominare è l'effetto farfalla, l'estrema sensibilità e dipendenza dalle condizioni iniziali dello svolgersi degli eventi, il caos che è il vero ritmo del mondo, l'intreccio e l'incrocio di tutte le vite umane che non sono poi così separate come il loro grande numero potrebbe far supporre, la serendipità e l'imprevisto che può determinare svolte inattese, improbabili.

domenica 27 luglio 2014

immagini e figure della metropoli

Quali figure abitano e attraversano le città moderne? Con le sue Immagini e figure della metropoli Valeria Giordano ci racconta il flâneur, che vaga per le strade vivendo contro i ritmi che l'organizzazione tayloristica del lavoro impone, perdendosi nel loro labirinto; l'avventuriero, che esalta il presente liberandosi dalla storia, dalla memoria, dal progetto, dalle aspettative, spiegandosi nel suo stesso accadere; il giocatore, che vive nell'istante del colpo di dadi e muta se stesso grazie alla possibilità di assumere ruoli e vesti differenti, di forzare i limiti e andare oltre i propri confini; lo straniero, che oggi viene e domani resta rompendo la ripetitività dell'abitudine, distraendo dalla norma e dal consueto, disturbando e inquietando, non cercando di accordarsi; il consumatore, che desidera al di là della soddisfazione dei bisogni e del principio di realtà; il folle, che non può rimanere chiuso nell'ovvietà, nel percorso della vita quotidiana, ma ha bisogno di debordare, di decifrare segni e portare la parola fuori dal luogo che le è comune, mettendo in questione e scardinando l'ordine del mondo; il cyborg, che non è semplicemente l'uomo rafforzato dalla macchina, artificiale, pulito, perfetto e disumanizzato, ma forse l'opportunità di comunicare un'oltranza che rompe definitivamente i confini dell'abitudine, del consueto, soprattutto dell'identità, riscattando dalle gerarchie dei ruoli, dalle dicotomie separative e i confini di genere, aprendo verso lo stupore di un corpo potenziato, e non deprivato, dalla facoltà di giocare con identità plurime, soggettività denaturalizzate e multiple.

giovedì 17 luglio 2014

noi che abbiamo l'animo libero

Nel saggio a quattro mani Noi che abbiamo l'animo libero Edoardo Boncinelli e Giulio Giorello fanno incontrare due grandi personaggi del teatro di Shakespeare: il primo, biologo e genetista, racconta un Amleto capace di prendere decisioni "non nel mezzogiorno della certezza, ma nel crepuscolo della probabilità" (John Locke), di giocare d'azzardo di fronte all'invisibile ma senza scommettere in modo del tutto arbitrario o irrazionale, di agire coraggiosamente nelle nebbie del domani, lui che sostiene che "chi ci fece con tanto discernimento, capaci di guardare in avanti e indietro, non ci diede tali abilità e una ragione quasi divina perché ammuffissero in noi per il disuso"; il secondo, filosofo, descrive invece una Cleopatra smisurata nel piacere, posseduta da un eroico/erotico furore che corrisponde all'immenso dell'universo nuovo di Copernico e Bruno. Dopo i due singoli saggi, gli autori completano l'opera incontrandosi e facendo incontrare i personaggi shakespeariani in un dialogo in cui la pazzia di Amleto e la dismisura d'amore di Cleopatra sono entrambe espressioni del nuovo cielo - di una diversa immagine dell'universo - e della nuova terra - di una differente concezione dell'esistenza umana -, del cosmo infinito in tutte le direzioni in cui Shakespeare ci mostra come si vive, nelle diverse sfumature della fosca malinconia amletica e dell'entusiasmo di Cleopatra. In entrambi i casi, comunque, "noi che abbiamo l'animo libero" troviamo ragioni per non arrendersi di fronte a questo infinito.

lunedì 14 luglio 2014

letture di luglio (I)

Dopo oltre due mesi di lenta lettura ho finalmente finito Le Benevole di Jonathan Littell, ed è forse stata anche questa modalità frammentata e centellinata a farmi vivere questa esperienza di lettura come uno stillicidio, il che non mi ha probabilmente fatto apprezzare al meglio il romanzo. Certo non mi è sembrato né brutto né deludente, ma pesante sì, e non per la crudezza delle descrizioni degli orrori di guerra o delle perversioni sessuali (reali, oniriche e allucinatorie) del protagonista, non per la fredda e lucida spietatezza con cui è presentato il rigore logico nazista - anzi, interessanti proprio le continue riflessioni sullo modalità necessaria, contingente o possibile delle scelte politiche della Germania del Terzo Reich -, forse, invece, per la scarsezza di una vera e propria trama, di una storia dentro la Storia, per l'assenza della descrizione della "seconda vita" dell'ufficiale delle SS divenuto direttore di una fabbrica di merletti nel nord della Francia, che invece mi sarebbe piaciuto leggere.

Ancora un bel romanzo di Fabio Geda, l'ultimo pubblicato Se la vita che salvi è la tua. Non fossi tu, chi saresti? Le contingenze della vita portano il protagonista, precario della scuola, a porsi questa domanda sulla propria identità, sull'autenticità delle scelte fatto, sugli scacchi e le possibilità della propria esistenza. E durante la visita a una mostra sul secolo d'oro della pittura olandese, davanti a un dipinto di Rembrandt, ha un'improvvisa epifania: lui non è il figliol prodigo della parabola evangelica, ma è il fratello maggiore rimasto a casa. 
"Da anni, vago incapace di realizzare il mio destino con la pienezza che desidero e che mi è dovuta, si è ripetuto davanti al dipinto di Rembrandt, spiando l'abbraccio di quel padre misericordioso e sentendosi autorizzato a identificarsi con il figlio minore. Ma non è così. Perché non è vero che vaga da anni, lui. Anzi, lui è rimasto a casa. Ha fatto tutto quello che doveva fare. Tutto quello che i suoi genitori avrebbero voluto facesse. Ho fatto tutto quello che dovevo fare e in cambio non ho ricevuto nulla, pensa - non il lavoro che volevo, non un figlio, e tantomeno un capretto per far festa. Io non sono il figlio prodigo. No, lui non è il figliol prodigo. Lui è quello incazzato perché c'è chi ha fatto meno e ricevuto di più. Quello invidioso. Quello che forse avrebbe fatto bene a perdersi una volta nella vita, almeno una, a scartare di lato e a giocarsela con l'imprevisto, al posto di macerare nell'ideale della santità".
Quindi basta con l'attesa di un domani migliore, la fiducia nell'espansione dell'universo, la strada della moderazione e del compromesso: occorre, invece, trovare la forza di salvare la propria vita.

venerdì 11 luglio 2014

body building, chirurgia estetica e filosofia

Nel suo Il corpo preso con filosofia Tommaso Ariemma affronta le contraddizioni che un serio discorso filosofico sul corpo nella nostra epoca necessariamente comporta. Se nella modernità anche il corpo è diventato liquido - celebre espressione del sociologo Bauman - esso è sì, da una parte, più docile alle forme, malleabile, trasformabile, ma può anche, paradossalmente, svelare resistenze e risorse temibili, paradosso dell'esperienza contemporanea che l'autore struttura secondo la logica della contraddizione per cui noi "cerchiamo di afferrare ciò che necessariamente ci sfugge e, al tempo stesso, cerchiamo di evitare ciò a cui non possiamo sottrarci". Paradosso del corpo di cui una efficace immagine è il body building. 
Ma cosa ha a che fare il body building con la filosofia? Non solo la filosofia - da Platone "dalle spalle larghe" in poi - "sarebbe una sorta di body building del pensiero, qualcosa di eccessivo, di non richiesto, portato avanti con il più estremo rigore", una filosofia come atletismo e sollevamento dei pensieri che, secondo Peter Sloterdijk, rimanda all'amore "per la fama gloriosa attribuita ai vincitori nelle gare" e a quello "per la fatica, l'onore, lo sforzo" (Devi cambiare la tua vita); non solo lo stile di vita del body building è pericolo e minaccioso, non violento bensì provocatorio, come può esserlo un pensiero che mette in dubbio il modo di vivere e la scala di valori comuni; ma il body building fa dono alla filosofia di due fondamentali paradossi, quello del limite e quello della fragilità.
Il body building mostrerebbe che "non c'è alcun superamento di limiti che non provenga da maggiori limitazioni. Il continuo superamento operato dal culturista del proprio tono muscolare sarebbe frutto di sempre maggiori restrizioni: diete, intensità dell'allenamento, determinazione. Più ci si vuole liberare dal proprio corpo, e più il corpo ci inchioda, ci vincola". Inoltre, poiché nel body building la costruzione del corpo si ottiene attraverso una sua continua traumatizzazione, "più ricerca un corpo statuario e più il culturista si trova a fronteggiare differenti fragilità, più si ricerca la durezza, e più la fragilità si insinua". Se per costruire un corpo muscoloso "bisogna lavorare lavorare su ogni parte, decostruire per costruire", la filosofia decostruzionista di Jacques Derrida è estenuante come gli allenamenti del culturista. 
Nel nostro tempo questo controllo del proprio corpo che il body building mette in scena riguarda sempre più anche il controllo della sua immagine sociale, del suo "archivio fotografico", del suo facebook. Ma "nel momento in cui il nostro corpo diviene qualcosa da vedere e da far vedere, il suo controllo totale si rivela impossibile. Anche perché 'prendere corpo' è un'impresa che dura una vita, persa ogni volta che sperimentiamo la sua verità: prendiamo davvero corpo, quando il corpo è preso da un altro". Come scrive Michel Foucault "sotto le dita dell'altro che ti percorrono, tutte le parti invisibili del tuo corpo si mettono a esistere. Contro le labbra dell'altro le tue diventano sensibili" (Il corpo, luogo di utopia); e anche Daniel Pennac afferma che "il nostro corpo è anche il corpo degli altri" (Storia di un corpo). Così, "il mio corpo è il 'mio' che non possiedo, il 'qui' che non raggiungo, il familiare più estraneo". E dopo il body building è la chirurgia estetica che esplicita la realtà costruttiva e paradossale del corpo, come il corpo sia un fare corpo, come "l'uomo non ha semplicemente un corpo, ma prende corpo, fa corpo". 

mercoledì 9 luglio 2014

piccola filosofia del glamour

Partendo dall'insegnamento nietzschiano di tenere in considerazione il proprio corpo - "possente sovrano" e "saggio ignoto" (Così parlò Zarathustra) che proprio il corpo abita -, Debora Dolci e Francesca Gallerani costruiscono in Glamoursofia una piccola filosofia della moda femminile, mostrando un amore per il glamour che supera l'obsoleta visione apocalittica di Adorno per cui la moda sarebbe un effetto alienante, narcotizzante e ingabbiante del consumismo sfrenato, dell'egemonia ideologica del capitalismo, per riconoscere, invece, che si comprano vestiti "perché è divertente, perché è un gioco che procura piacere" e che "non consiste solo nel possedere ma anche nel comunicare 'universi di senso', costruire 'pezzi' della nostra identità", rispondendo "non solo a un'esigenza di imitazione (e di uniformazione), ma anche di differenziazione e individuazione".
Così, le scarpe "non sono meri accessori ma veri e propri modi di essere", importanti non perché feticci ma perché "base su cui poggiamo e grazie a cui ci muoviamo, base dunque della nostra libertà", e il tacco, in particolare, ha sicuramente un significato polivalente e "da simbolo di subordinazione potrà diventare a pieno diritto strumento di empowerment (oltre che di piacere) scelto e non imposto". "Quello che per le femministe era oppressione diventa espressione di successo, la femminilità da coercizione si trasforma in armatura, il tacco 'scopami' subisce una mutazione e si ridefinisce come tacco 'killer'. Nasce la donna guerriera" che le figure femminili dei film di Quentin Tarantino rappresentano. Così, ancora, "il push-up è complice di una femminilità intrinsecamente mutevole, che fa del cambiamento e della temporaneità la sua jouissance", mentre il vintage incarna un processo di creatività, personalità, gioco. Si cambia identità cambiando vestito, "attraverso una ricerca di sé che è necessariamente una ricerca dello stile da indossare", attraverso una continua creazione e ri-creazione di se stessi in cui si è liberi di gioire della propria molteplicità.


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