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lunedì 17 novembre 2014

critica della ragion cinica

Nella sua Critica della ragion cinica, Peter Sloterdijk si propone di chiarire la contrapposizione tra l'antico kinismo filosofico e il nuovo cinismo di un diffuso tipo umano assai spregiudicato. "Gli antichi conobbero il kynikos nella sua veste di eccentrico barbagianni, moralista, provocatore testardo, beffeggiatore distanziato e distanziante, mordace, velenoso individualista che dĂ  a intendere di non aver bisogno di nessuno e di essere inviso a tutti perchĂ© nulla e nessuno passa indenne sotto il suo sguardo crasso e disvelante, che ogni cosa brutalizza". In etĂ  piĂą recente, invece, da profilo negativo ed emarginato della cittĂ , il cinico si è fatto figura di massa e carattere sociale mediocre, asociale integrato dotato di un realismo malvagio e dell'obliquo ghigno dell'amoralitĂ  aperta, ironizzatore radicale dell'etica e delle convenzioni sociali ma capace di conservare una certa capacitĂ  produttiva: il cinico moderno sa quello che fa ma lo fa comunque, persuaso del fatto che così deve essere, riuscendo a sentirsi vittima, sacrificato, infelice. Così, il cinismo moderno è falsa coscienza illuminata, è un paradossale agire - e in santa coscienza - a dispetto di quello che si sa, è assenza completa di illusioni e attrazione irresistibile della "forza delle cose", è una serenza irrispettositĂ  nella prosecuzione dei propri compiti.
L'illuminismo, "un idillio di pace epistemologica con bella vista sulla Scuola di Atene", è rimasto inappagato per la scarsa propensione al dialogo e alla libera discussione di potere, tradizione e pregiudizi. Così, dovendo parlare di chi non desidera parlare con lui, l'illuminismo continua con altri mezzi, con le armi della polemica, quel dialogo fallito e si fa critica dell'ideologia, assumendo tratti crudeli e satirici. Ma "la moderna critica dell'ideologia" - questa una delle tesi di Sloterdijk - "ha ormai abbandonato quella potente, ilare tradizione del sapere satirico che aveva le sue radici, filosoficamente parlando, nel kynismos degli antichi", e si è fatta seriosa e parruccona, agghindata in giacca e cravatta, borghese e rispettabile e "per conquistare in qualitĂ  di 'teoria' un posticino tra i libri ha cancellato la satira dalla propria vita andando infine a trincerarsi in una fredda guerre delle coscienze". Questo e  l'orrore tecnologico del XX secolo - da Verdun ai gulag, da Auschwitz a Hiroshima -, che rende passibile di sarcasmo ogni ottimismo e rende inesorabile la sfiducia, l disillusione, il dubbio, la frigiditĂ  psichica, avversando ogni principio di speranza con il principio che bisogna vivere qui e adesso - di giorno in giorno, di ferie in ferie -, segnerebbero la genesi del moderno cinismo.
Sloterdijk presenta poi una sua galleria di figure ciniche. La prima è quella di Diogene di Sinope, il kinico antico che resiste e si oppone all'imbroglio del "Discorso" e dell'astrazione idealistica, alla sciapa e totalmente cerebrale magistratura filosofica, dichiarando con sfrontatezza aggressiva, libera, svergognata e rustica quel che la vita è al di lĂ  di ogni "verbalizzazione" e universalismo, avendo il coraggio della domanda puerile e spudorata, rivendicando il diritto alla felicitĂ  e il bisogno profondo di integritĂ  esistenziale in una replica che oltrepassa la confutazione teorica per farsi vita stessa, attraverso un uso kinico del corpo che si fa argomento e arma esso stesso. Ci sono brevi ricette grazie a cui il kinismo sfrontato ottiene infallibilmente la meglio sulla maggioritaria e dominante "legge" filosofica e moralistica: "ecco due formule telegrafiche: 1) ‘Embè?’ e 2) ‘E perchĂ© no?’. Il che null’altro rappresenterebbe se non la facoltĂ  di dire sempre ‘no’ al momento giusto. La capacitĂ  di dire ‘no’, sviluppata in modo completo, è l’unica base valida del ‘sì’, e solo insieme, queste due facoltĂ , conferiscono spessore all’essere liberi" e consentono di essere felici, non paralizzati dalle "mille e una idee fisse su come noi o il mondo dovremmo essere e non siamo. Nella felicitĂ  sta il cardine di ogni principio di sfrontatezza". 
La seconda, tratta dal romanzo di Dostoevskij I fratelli Karamazov, è quella del Grande Inquisitore, espressione del nuovo cinismo moderno nella sua forma di conservatorismo politico, con la sua filantropia infiltrata di realismo e disprezzo. Nell'ottica cinica che si è portata al di lĂ  del bene e del male, non si trova affatto il radioso amoralismo favoleggiato da Nietzsche, ma la ragione strumentale e manipolatrice scissa e paradossale di un individuo in cui "s’intrecciano il rigido cinismo dei mezzi e il non meno duro moralismo dei fini", rendendolo quindi "per metĂ  amoralista e per l’altra metĂ  ipermoralista; cinico per un verso, sognatore per l’altro; scevro di qualsiasi scrupolo, ma fedele nei secoli all’idea di un Bene Ultimo. Nella prassi non indietreggerĂ  dinanzi a ferocia o infamia o inganno di sorta; ma nella teoria è invasato da ideali supremi". Persegue fini "buoni" con mezzi "malvagi".
Terza e ultima figura, quella dell'uomo indagato da Heidegger, la cui filosofia dell'esistenza rappresenta, per Sloterdijk, una forma di neokinismo. L'io neutro e inautentico dell'uomo distratto dal si impersonale della chiacchiera, della curiositĂ  e dell'equivoco, occupato dalla cura per il mondo in cui da sempre è gettato, è "il piĂą potente e originario modo di essere" dell'uomo. Con ciò si "prende lapidariamente atto della indiscutibile libertĂ  che la vita possiede riguardo ai suoi fini", dell'assenza di senso del vivere, e nel coraggio dell'angoscia si arriva alla risolutezza e consapevolezza dell'essere-per-la-morte. "Da questo, nessun Fine Superiore deve a tal punto scostarsi da trasformare la nostra morte in un mezzo per un fine", da questo si "fonda anzitutto l'assoluta preziositĂ  del vivere medesimo", connessa a un gaudio vitale e festoso del qui e ora. Così "il cinismo dei mezzi può essere compensato solo con un ritorno al kinismo dei fini".
La critica della ragion cinica fa nascere una "gaia scienza" quale "resistenza satirica condotta da una vita concettualmente avveduta contro una concettualitĂ  arrogante e una scolastica elevata a forma di vita". Contro "un'intelligenza astuta, opaca, indurita e scissa da ogni coraggio aprioristicamente ritenuto ingannevole" che "sa occuparsi ormai soltanto di tirare a campare", Sloterdijk si appella al coraggio, la chiarezza, l'euforia, l'esultanza, la serenitĂ , la risolutezza, la consapevolezza che caratterizzano "l’eccellenza della vita riuscita", istante improvviso che "estingue il disperante ‘giĂ  stato’ e diventa il primo di un’altra storia".

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