Pages

domenica 31 gennaio 2016

letture di gennaio

Visto il trasferimento toscano torno a Vasco Pratolini con il suo Cronache di poveri amanti: epica umile e pettegolezzi di quartiere, violenza fascista e lavoro manuale, amore e maturità, povertà e festa, gioia e lotta. 

Su suggerimento di Dreca ho letto il primo testo di una trilogia dell'autore marocchino Tahar Ben Jelloun, Creatura di sabbia. Il tema dell'identità e del genere incarnato in una creatura incostante e mutevole come la sabbia: Ahmed o Zahra, un uomo dal seno femminile o una donna con la barba mal rasata, l'illusione e la violenza che giustifica e privilegia qualsiasi cosa o una menomazione naturale della quale tutti si fanno una ragione, un destino forgiato da una volontà altrui o l'avventura del proprio corpo. Una vita come pelle screpolata a forza di subire mute e di farsi maschere su maschere. 

Con I lauri senza fronde Edouard Dujardin ci immerge nel flusso di coscienza di un giovane studente parigino invaghito di un'attricetta che ne spreme le ristrette finanze: il monologo interiore - prima di Joyce - di una serata di passeggiate, incontri, memorie, progetti, speranze, delusioni. 

Un po' di classici della filosofia e di saggistica: ritorno a Giorgio Colli, a lungo frequentato ai tempi dell'università, con il postumo Apollineo e dionisiacoIndizi sul corpo di Jean-Luc Nancy - che mi ha portato anche a Aristotele con L'anima -, Avances di Jacques Derrida, autore sul quale ho letto anche il non riuscito tentativo di Francesco Garritano di mettere in luce il progetto pedagogico del postmoderno a partire da La formazione come questione in Jacques Derrida.

Qualcosa sull'esistenzialismo, in vista di un corso di approfondimento per potenziare l'offerta formativa scolastica: Esistenzialismo e filosofia contemporanea di Pietro Prini, Esistenzialismo di Eugenio De Caro, L'esistenzialismo di Paul Foulquié, L'esistenzialismo di Guido De Reggiero.

Altra saggistica, molto deludente, il Lacan zen di Leonardo Vittorio Arena e I sei nomi della bellezza con cui Crispin Sartwell traduce in mera chiacchiera il suo tentativo di analizzare le diverse esperienze estetiche nel mondo.

Dall'evento destinato a stravolgere l'universo fumettistico della Marvel, Secret Wars, il volume che raccoglie le vicende fantasy scritte da Jason Aaron e soprattutto magnificamente illustrate da Mike Del Mundo: Weirdworld
E di questo tutto nuovo e differente universo supereroico che emerge, si concludono i primi archi narrativi delle nuove testate: il Reboot dell'invincibile Iron Man scritto da Brian Michael Bendis è divertente e ironico, ricco di azione ed eccessivo, sfacciato e anche gradasso, e soprattutto graficamente esaltante grazie ai disegni di David Marquez; gli straordinari X-Men scritti da Jeff Lemire - con Tempesta come leader e il gradito ritorno del vecchio Logan - si presentano come un gruppo in grado di prendere a calci quanti si oppongono al loro progetto di costruire un Paradiso-X per chi da sempre è temuto e odiato dall'umanità; infine, il Deadpool di Gerry Duggan deve imparare a vivere con il suo nuovo status di eroe più grande e popolare del mondo, di avengers e icona massmediatica, non più un mercenario ma un Milionario chiacchierone; non particolarmente brillanti lo Scontro temporale in cui Charles Soule getta gli incredibili Inumani guidati dai reali Freccia Nera e Medusa, né lo stupefacente Ant-Man di Nick Spencer che si ritrova tra le difficoltà di essere insieme un padre e un eroe e i supereroici Team-Up che tutti amano.

Di Cocktailsofia di Giovanni Giaccone ho già scritto, di Gianluca Cuozzo con Utopie e realtà e dei due saggi di Giovanni Macchia sulla letteratura francese - Baudelaire e la poetica della malinconia e Le rovine di Parigi -, invece, a breve.

mercoledì 27 gennaio 2016

la filosofia in africa

Tra le Filosofie nel mondo raccolte nel volume a cura di Virgilio Melchiorre, mi sono innanzitutto immerso in quella africana indagata e raccontata da Lidia Procesi. Le prime forme di una filosofia africana vedono i vinti, i colonizzati, ribellarsi contro la superba, impudente, spudorata razionalità della filosofia occidentale, che - in barba ai suoi stessi principi - si è imposta nel nome della legge del più forte, e con orgoglio nero rivendicare un primato a quella presunta irrazionalità cui i bianchi li hanno ridotti, traendone un nuovo principio esistenziale: la forza vitale. All'inerte cogito si sostituisce il salto, la danza, all'esangue sum l'intenso vivo ("danzo dunque vivo"), alla ragione ellenica l'emozione negra: questi i valori che definiscono la négritude. Per ottenere un riconoscimento di umanità il vinto ha accettato di dichiararsi irrazionale, rinunciando a quella ragione che contraddistingue gli uomini e lasciandola in appannaggio esclusivo al vincitore. Così, però, egli si consegna a lui nel momento stesso in cui ostenta la sua ribellione, porta a compimento la negazione di cui è vittima rileggendo come qualcosa che provenga da se stesso, come giudizio favorevole su se stesso, proprio ciò che l'altro ha scritto per marcare la distanza insuperabile che pone il Nero ai confini dell'umanità: nel confermare la rappresentazione ideologica dell'Europa coloniale l'africano si fa schiavo che collabora con il suo oppressore e aggrava la sua stessa servitù, legittima il saccheggio dell'Africa e mina l'autostima dei popoli già colonizzati, confermando implicitamente la missione civilizzatrice che l'Occidente si è auto-attribuita. 
Se qualcosa la negritudine deve essere, invece, deve essere la memoria vigilante e la presenza attiva di una comunità identificata a plasmata dalle deportazioni e che ha ripreso fermamente il suo destino, sulle macerie delle culture assassinate e nel ricordo delle antiche fedi; deve essere il nemico irriducibile delle definizioni universaliste care all'Europa, dei pregiudizi e presupposti che conducono a una rigida gerarchia; deve essere una rivolta contro il riduzionismo europeo, la tendenza istintiva di una sola civilizzazione a pensare l'universale a partire dai suoi postulati e tramite le sue proprie categorie.
Un'altra forma storicamente assunta dalla filosofia in Africa è stata quella della ricerca di una filosofia collettiva, immutabile, comune a tutti gli africani, sebbene in forma inconsapevole; ma tale ricerca è puramente immaginaria, elabora una visione del mondo implicita e inespressa che non esiste in realtà in nessun luogo e che è dettata dall'ansia di riconoscimento da parte della cultura europea. La dispersione storica delle genti africane ha generato un'africanità plurale e dinamica, in costante rielaborazione, per cui l'identità africana è nel suo fondo una vera diaspora. L'esaltazione della Black Personality è un'illusione come le négritude. Archiviata l'illusione di una qualche saggezza collettiva, bisogna confrontarsi con i singoli pensatori e con le specifiche culture e, soprattutto, cessare di soccombere all'imposizione delle lingue europee, dimostrandone l'inadeguatezza rispetto alle categorie del pensiero africano: l'epistemologia e la linguistica filosofica implicano questioni etiche, sociali e politiche.
Un esempio di ciò è dato dal termine ubuntu, forma astratta di umuntu, umanità: esso, però, non indica l'idea generica di umanità ma la liberalità e si presta perciò a rappresentare una quintessenza dell'assiologia africana come etica della fratellanza - versione contemporanea e del tutto originale delle rivendicazioni identitarie e dell'orgoglio nero della Black Personality e della négritude. Ubuntu incorpora le nozioni di una coscienza africana collettiva e della fratellanza universale degli africani; il suo valore include il condividere, il trattare gli altri da essere umani, l'empatia, il calore, la sensibilità, la comprensione, la cura, il rispetto, la pazienza, la reciprocità, la comunicazione - l'idea che una persona è persona grazie alle altre persone (principio sempre anticartesiano, ma nella forma "io sono perché noi siamo"), la dedizione e generosità di ciascuno verso l'intera comunità e della comunità verso i suoi membri (chi è dotato di liberalità è un uomo e la sua mancanza è un abominio che esclude dal consorzio umano). 
Un esercizio di tale principio si è avuto nella politica di riconciliazione attuata in Sudafrica per superare gli orrori dell'apartheid, con la Truth and Reconciliation Commission: per ripristinare le norme e l'equilibrio in una società deturpata da crimini contro l'umanità, occorre un duro processo di catarsi collettiva che comporta l'ammissione e la confessione da parte di responsabili e complici, e il perdono degli offessi che restituisca qualità di uomo ai colpevoli.
Non esiste una filosofia negro-africana, si può parlare solo di filosofie negro-africane, pluralità connessa alla storia africana che non ha unità né di luogo né di tempo. Filosofie africane e filosofie occidentali non sono identiche ma ineguali, sono distinte ma eguali.

venerdì 22 gennaio 2016

keep calm and drink on

Le storie dei cocktail che Giovanni Giaccone raccoglie nel suo libretto Cocktailsofia sono spesso avventurose (legate alle scorrerie dei pirati, alla guerra ispano-americana a Cuba, ai pericoli della seconda guerra mondiale), divertenti, avvolte nei fumi dell'alcool di chi le ha raccontate, così da produrre un effetto tra la leggenda e l'esagerazione. Che derivi il proprio nome da una bevanda azteca fermentata con il miele (octli), dalla coda di gallo (cocktail) dai variopinti colori cui davano origine le prime miscele di whisky, gin e succo di frutta, dai bicchieri dalla caratteristica forma a uomo (coquetelle) in cui alla metà dell'Ottocento a New Orleans si serviva una miscela di cognac e assenzio, il cocktail non è solo una semplice ricetta ma una storia, è letteratura allo stato (alcolico) puro, perciò è essenziale un'arte del bere con sapienza.

lunedì 4 gennaio 2016

medusa

Due saggi dello storico dell'arte francese Jean Clair, che nel tema del meduseo trovano un punto in comune.
Uno fin dal titolo, Medusa, figura che sembra perseguitare e infestare le manifestazioni artistiche più diverse tipologicamente e più distanti nel tempo, fantasma che ossessiona e ritorna. Secondo l'autore, la Medusa fa segno a quel fenomeno perturbante che è il bimorfismo o l'ambiguità sessuale: l'inquietudine ontologica principale, infatti, non consisterebbe tanto nel fatto che ci sia qualcosa anziché il nulla, ma nel fatto che ci siano due sessi invece di uno. Su ogni individuo, sulla sua integrità, incombe dunque un pericolo proprio a causa del corpo, in quanto sessuato, e dello sguardo dell'altro, sotto il quale moriamo - gioco mortale che si cela sotto il semplice fatto di guardare.
Guardare, infatti, significa non solo osservare il mondo ma anche proteggersi, fare attenzione, stare in guardia (ha la stessa radice di warten to ward). L'artista, dal momento che guarda, è l'ostinato guardiano di una regola del vedere, ma è anche colui il quale, rompendo la guardia, avanza e, a rischio di perdersi, affronta lo sguardo che ha creduto a lui destinato, periglioso excursus di un occhio solitario e vulnerabile. Vedere significa innanzi tutto vedere che si è un sesso, ossia un essere separato, percepire una distanza fra sé e il resto del mondo: aprendo gli occhi l'uomo vede uno sguardo che lo guarda, diviene un essere visibile soggetto allo sguardo degli altri e sa di essere destinato alla morte, sanzione del corpo sessuato. La paura del sesso è allora associata indissolubilmente alla paura dello sguardo. Ecco Medusa, fonte di attrazione e repulsione come tutto ciò che concerne lo sguardo e il sesso, tutto ciò che ci ricorda che siamo nati e dobbiamo morire, segno di quella linea di frattura e di faglia che separa in due gli esseri viventi così come separa i vivi dai morti.
Ecco Medusa, dalla tradizione greca al basilisco medievale, dalla prospettiva artificiale del Rinascimento alle decollazioni barocche, dalla statuaria marmorea e monocroma dalle connotazioni sobrie e funerarie del neoclassicismo con le sue sculture pulite e cieche agli arabeschi dell'Art Nouveau, dalle sfingi dei simbolisti ai colori artificiali di Van Gogh. La Gorgone gode della paradossale condizione di essere potenza delle tenebre e del disordine e, insieme, della rigenerazione, lei il cui sangue è farmaco - veleno e medicina, da cui nasce Pegaso. Chi riesce a trionfare su di lei e riordinare il caos in cosmo è il pittore che non esiterà a mozzare la testa di Medusa per raccoglierne il sangue fecondo, a costo di tagliarsi un orecchio e sacrificare la propria vita all'arte. Il corpo colto dalla rigidità cadaverica dell'estetica decadente con Van Gogh è rianimato dal colore, potere tearapeutico e forza vitale. Eppure sotto questa riattivazione dei poteri del cromatismo si nasconde uno strano paradosso: la povertà fece di Van Gogh il primo pittore moderno che abbia utilizzato quasi esclusivamente colori artificiali, meno costosi di quelli naturali. Questi colori chimici, instabili, erano nati dalle stesse ricerche che produssero gli esplosivi utilizzati durante la Grande guerra, alcuni gas dal colore verdastro come il cloro o bluastro come lo Zyklon B dall'uso mortale. Il potere rigenerante della pittura di Van Gogh era dunque non solo un potere instabile ma anche mortifero, i suoi colori testimoniano la natura ambigua della modernità: bellezza precaria e rischiosa che ci restituisce il fascino dello sguardo meduseo soltanto provvisoriamente e con il rischio mortale di vederlo rivolgersi inopinatamente contro di noi.
Ancora Medusa, dall'organizzazione formale rigorosamente simmetrica e biomorfica delle familiari ed estranee macchie di Rorschach al Duchamp della scatola ottica Dati 1. La cascata 2. Il gas illuminante e dell'autoritratto With my tongue in my cheek. Concepita come un profilo di medaglia, quest'opera è  in parte un semplice tratto di matita, in parte un bassorilievo, con la mascella destra modellata in gesso nella cui massa sono stati incorporati dei peli naturali: questo pelo, incongruo, è un'intrusione nell'artificio dell'opera, l'intrusione nella costruzione di un logos, nel frutto di un pensiero organizzato, di un elemento irriducibile della specificità del sensibile, un elemento che sopravvive alla morte dell'individuo; il pelo della bestia, bruttura assoluta, eternamente inafferrabile, che nasce imprevedibilmente dove non è atteso o lo si scopre bianco dove non lo si aspettava così presto (verme nel frutto, temporale che scoppia fragorosamente), cresce estraneo al pensiero, definitivamente abbandonato alla notte del senso, è proprio ciò che testimonia l'orrore di morire e insieme l'orrore di essere nati, atto che ci ha fatto entrare nel regno delle cose che nascono, crescono, deperiscono e muoiono, come l'erba e i vegetali o le forme più elementari della vita organizzata (vermi, serpenti, rettili). L'autoritratto di Duchamp è una vanitas sarcastica che ha trasformato il motivo dell'individuo eroicizzato in un profilo di medaglia in un orripilante memento mori e in cui il pelo è indice dei due destini assegnati all'uomo: il bimorfismo sessuale e la morte.

Nel secondo, Il nudo e la norma, Jean Clair si interroga sul significato della nascita nello stesso anno, il 1907, di due opere di pari importanza e ugualmente ammirate ma così diverse come il Ritratto di Adele Bloch-Bauer di Klimt e Les Demoiselles d'Avignon di Picasso. 
Le rivoluzioni artistiche che segnano l'inizio del XX secolo sono i prodromi della guerra: annunciano, prefigurano e inventano quel caos che sarà la condizione moderna resa "ufficiale" e "istituzionale" dopo la Grande guerra, quel cambiamento nel nostro rapporto con la visione del mondo, nel nostro modo di guardare. Se in alcuni momenti della sua storia l'arte ha saputo far coincidere così perfettamente il nudo, il desiderio, e la norma, la legge, l'atto di nascita della prima modernità è costituito dall'Olympia di Manet, che sconvolse così radicalmente i canoni delle accademie classiche da risultare inconcepibile per gli spettatori, abominevole. Quello della seconda modernità, invece, da due ben diversi nudi femminili, accomunati però dall'impossibilità dell'occhio di sostenere, ricomporre e assumere la forma globale del corpo umano - forma che riflette la nostra (in)capacitàà di organizzare il mondo in un'unità coerente. Questa impossibilità, questa incrinatura prodottasi nella capacità dell'uomo di rappresentare se stesso e il proprio corpo, deriva dal fatto che l'uomo scopre che il desiderio erotico è potenza di distruzione e non di coesione: l'arte, allora, non è più atta ad assumere la totalità del corpo umano, il nudo, secondo quegli specchi delle proporzioni che sono le norme, i canoni, le regole, i trattati di stile; la funzione integrativa dell'io non riesce più a essere esercitata, il corpo diviene oggetto di esperienze di dislocazione e di bricolage relative a un nuovo schema corporeo, inedito, inaudito.
Ecco quindi Picasso fare a brandelli le forme e disarticolare le membra. Ma altrettanto stupefacente della frantumazione dei corpi ottenuta come attraverso il riflesso di specchi rotti è - ne Les Demoiselles d'Avignon - la presenza, la persistenza dell'elemento che, in virtù della sua intensità e della sua reiterazione, sembra conferire unità all'opera al di là del carattere disomogeneo delle figure che la costituiscono: l'occhio, l'ocello a mandorlo ripetuto nove volte, che fa della tela un palladio costellato di occhi, un mantello di terrore dal potere terribile e terapeutico, protettivo e apotropaico. Picasso resuscita il volto della Medusa.
Per vie opposte all'empatia di Picasso, per le vie dell'astrazione, della decorazione geometrica e della lucentezza della materia, anche Klimt, però, realizza nel Ritratto di Adele Bloch-Bauer uno scudo apotropaico in cui il nudo femminile è coperto da un'egida splendente e costellata di occhi: incarnazione della donna mortifera dotata non solo del potere di pietrificare ma anche di quello di tagliare la testa (Giuditta e Salomè come incarnazioni femminili di Perseo), la donna di Klimt è un'eroina capace di affrontare nel faccia a faccia mortale il potere della Gorgone-pittore che immobilizza la modella sotto il suo sguardo - e particolarmente nel caso di Klimt, che sa rendere il modello di pietra, lo mineralizza, lo litifica, ne trasforma il corpo in gemme, gioielli, tessere, orpelli, metalli nobili e pietre preziose.
Ecco la differenza: Klimt impiega tutta la forza normativa di uno stile, tutta la coerenza aggregatrice dell'arte per scongiurare il maleficio del nudo, del corpo, del sesso, così che solo il volto della modella emerge e si stacca da un apparato aatratto e il quadro intero diventa uno scudo mimetico, un riflesso dello sguardo di Medusa. Picasso, invece, confrontandosi con il medesimo pericolo, in preda alla medesima angoscia, spezza l'unità del sistema rappresentativo, abbandona lo stile. Il primo passa a un'astrazione sempre più rigida, a un sistema puramente formale, a una bellezza cristallina, a una norma matematica che lo protegga da un mondo divenuto ostile. Il secondo, sgomento e impaurito dallo spettacolo del mondo, ricorre alle pratiche primitive che sono da un lato lo smembramento dei corpi e dall'altro l'uso rituale delle maschere, regredisce verso una forma di comportamento magica di distruzione e smontamento del reale in modo da privarlo della sua pura e minacciosa frontalità.

venerdì 1 gennaio 2016

le classifiche del 2015

Ecco le mie personalissime classifiche dei libri letti nell'appena terminato 2015.

I 10 migliori romanzi
  1. Carlo Fruttero, Franco Lucentini, Charles Dickens - La verità sul caso D.
  2. Murakami Haruki - Nel segno della pecora
  3. Jo Nesbø - Nemesi-La stella del diavolo-La ragazza senza volto
  4. Jonathan Lethem - Chronic City
  5. Vladimir Nabokov - Lolita
  6. John Steinbeck - L'inverno del nostro scontento
  7. Vasco Pratolini - Un eroe del nostro tempo
  8. Anthony Horowitz - La casa della seta
  9. Robert Galbraith/J.K. Rowling - Il richiamo del cuculo
  10. Arthur Koestler - Buio a mezzogiorno

I 3 migliori saggi
  1. Jacques Derrida - La carte postale
  2. Alain Badiou - Metafisica della felicità reale
  3. Donatella Di Cesare - Heidegger e gli ebrei

I 3 migliori fumetti 
  1. Brian K. Vaughan - Saga 
  2. Rick Remender - Deadly Class
  3. ZeroCalcare - L'elenco telefonico degli accolli

I 3 peggiori libri (al di là del genere)
  1. Marco Missiroli - Atti osceni in luogo privato
  2. Jeff VanderMeer - Trilogia dell'Area X
  3. Gustavo Zagrebelsky - Liberi servi

ShareThis