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lunedì 29 febbraio 2016

letture di febbraio

La nuova avventura del duo Hap e Leonard scritta da Joe R. LansdaleHonky Tonk Samurai, vede i due improbabili detective metter su una sgangherata squadra - dei "samurai" pronti a andare fino in fondo, a rischiare la vita, ma desiderosi di salvare la pelle - per risolvere un caso la cui verità, alla fine, forse si sarebbe preferito non conoscerla. 

Lettura seriale anche per Fabio Geda che, insieme a Marco Magnone, dà inizio alla saga adolescenziale Berlin con il primo volume, I fuochi di Tegel.

Il ritratto di Descartes realizzato da Steven Nadler con il suo Il filosofo, il sacerdote e il pittore è piuttosto inconsistente e superficiale dal punto di vista filosofico e, insieme, molto poco attraente dal punto di vista letterario e narrativo: una piatta e ridotta biografia concentrata sull'incontro tra il filosofo francese residente nell'Olanda del secolo d'oro e il sacerdote cattolico Bloemaert, e sul probabile ritratto del suo amico che quest'ultimo avrebbe fatto realizzare al famoso Frans Hals, in un'epoca e in un luogo agitato da una febbre ritrattistica, prima della partenza del filosofo per la Svezia, in modo da averne sempre un caro ricordo. Così Nadler ricostruisce la genesi della più nota opera pittorica che ritrae Descartes. E il libro è tutto qui. Deludente.
Lettura derivata dal seminario sulle cartesiane Meditazioni metafisiche che sto tenendo a scuola, e da cui derivano anche le letture dirette dei testi del filosofo francese: Discorso sul metodo e i due trattati Il Mondo. L'uomo. Per questo e per gli altri seminari, la Guida alla lettura delle Meditazioni metafisiche di Descartes di Emanuela Scribano, la Guida alla lettura della Metafisica di Aristotele di Giovanni Reale e la Guida alla lettura della Nascita della tragedia di Nietzsche di Gherardo Ugolini.

Sempre in ambito filosofico, le piacevoli Lettere persiane di Montesquieu, il breve intervento di Jacques Derrida sui temi di Incondizionalità e sovranità e quello su sovranità e crudeltà in Stati d'animo della psicanalisi di cui ho già scritto, come ho già scritto anche del libricino popfilosofico di Monia Andreani su Peppa Pig e la filosofia.

Molto gradevoli, soprattutto per gli splendidi disegni di Philippe-Henri Turin, i due volumetti per bambini scritti da Alex Cousseau e con protagonista Carlo, piccolo drago poeta dalle ali e zampe troppo grandi che lo fanno essere impacciato a terra e perciò deriso dai suoi simili ma in grado di oscurare il sole mentre vola, alle prese prima con la scuola di draghi e poi con il ciclope Polifemo

Dal mondo dei fumetti, oltre all'omaggio di Hugo Pratt all'ultimo volo di Saint-Exupéry, continuano i primi cicli narrativi delle nuove testate della Marvel: buoni i debutti del Dottor Strange, scritto da Jason Aaron e disegnato da Chris Bachalo, sulla Via della stranezza e del primo volume del nuovo Capitan America, Sam Wilson, di Nick Spencer, mentre pessimi i New Avengers di Al Ewing dove Tutto è nuovo ma il team non ha la minima attrattiva e le storie non appassionano.
Inoltre, bella l'avventura di Batman e Joker in Europa scritta da Brian Azzarello e disegnata da Matteo Casali e che vede i due percorrere le strade di alcune capitali del vecchio continente - Berlino, Praga, Parigi, Roma - per scoprire di essere intimamente legati ed essenzialmente necessari l'uno all'altro, reciprocamente e insieme veleno e medicina l'un per l'altro.

martedì 16 febbraio 2016

l'impossibile aldilà di una sovrana crudeltà

Secondo Jacques Derrida se la possibilità della crudeltà è irriducibile nella vita dell'essere animato, allora ogni discorso altro – teologico, metafisico, genetico, etc. – da quello della psicanalisi non potrebbe aprirsi a questa ipotesi, la ridurrebbe, escluderebbe, priverebbe di senso: il solo discorso che possa rivendicare la questione della crudeltà è la psicanalisi, il “senza alibi” senza di cui non si può prendere in considerazione la crudeltà. Ecco perché in Statid'animo della psicanalisi, unendo il tema della crudeltà a quello della sovranità, è agli psicanalisti che si rivolge per nuove Considerazioni attuali sulla guerra, per un nuovo Perché la guerra?
Nella sua corrispondenza con Freud, Einstein aveva osservato che la forza e il diritto (Macht und Recht) vanno di pari passo – nessun diritto senza possibilità di costrizione aveva detto lo stesso Kant –; che una pulsione di potere caratterizza ogni nazione, spontaneamente protesa alla sovranità e avversa a una restrizione dei diritti sovrani dello Stato; che l'uomo alberga in sé il bisogno di odiare e di distruggere, una pulsione di crudeltà. Così, solo l'abbandono incondizionato da parte di ogni nazione di almeno una parte della propria sovranità potrebbe non paralizzare gli sforzi di una giustizia internazionale.
Freud, d'altra parte, denuncia come illusorio uno sradicamento delle pulsioni di crudeltà, di potere, di sovranità: ciò che è necessario coltivare è una transazione differenziale, un'economia della diversione, un avanzare indiretto. Legata all'essenza della vita, la crudeltà non ha un contrario ma solo differenze di modalità, qualità, intensità. L'ideale, afferma Freud, sarebbe una comunità la cui libertà consistesse nel sottomettere la vita pulsionale a una “dittatura della ragione”: un progresso per spostamento indiretto e restrizione delle forze pulsionali.
Derrida, però, sottolinea gli aspetti problematici del discorso freudiano. Benché Freud riconosca che non c'è alcuna valutazione etica nella descrizione delle polarità pulsionali e che non ha senso volersi sbarazzare delle pulsioni distruttrici perché senza di loro cesserebbe la vita stessa, egli poi, però, radica nella vita, nella vita organica, nell'economia autoprotettrice della vita organica, in uno dei poli della polarità quindi, tutta la razionalità in nome della quale egli propone di sottomettere o di restringere le forze pulsionali. Giustificare un pacifismo, un'opposizione alla pena di morte, una difesa del diritto alla vita, non si può fare in modo radicale a partire da un'economia della vita, della vita organica. Derrida afferma che c'è, che occorre che ci sia qualche riferimento a una vita, certo, ma a una vita altra da quella dell'economia del possibile, una vita im-possibile probabilmente, una sopra-vita (sur-vie), la sola che valga di essere vissuta, senza alibi, una volta per tutte, una sola volta per tutte, la sola a partire dalla quale un pensiero della vita è possibile. Ciò si può dare solo a partire da figure dell'incondizionato impossibile come l'ospitalità, il dono, il perdono, l'imprevedibilità, il forse, l'evento, la venuta dell'altro.
E se vi fosse, in alcuni casi, crudeltà nel non donare la morte? E se vi fosse dell'amore nel voler donarsi la morte in due, l'uno all'altro, l'uno per l'altro, simultaneamente e no? E se vi fosse un “si soffre crudelmente in me, in un io” senza che si possa supporre che vi sia qualcuno che esercita una crudeltà?

giovedì 11 febbraio 2016

peppa pig e la filosofia

Il libricino di Monia Andreani si inserisce in quel filone che intreccia filosofia e cultura popolare, che indaga il pop attraverso le categoria filosofiche e racconta la filosofia tramite i personaggi dell'immaginario collettivo e i fenomeni popolari. Così Peppa Pig e la filosofia riconosce nel cartone animato inglese un prodotto epocale di sintesi di un obiettivo educativo, adattato ai piccolissimi e predisposto per la costruzione sociale delle generazioni adulte del futuro prossimo, che concentra conformismo alle regole e orientamento al fare, al produrre, all'essere inseriti in una società ben ordinata e dai chiari principi valoriali: Peppa Pig sarebbe il prototipo a misura di bambino di una società globalizzata e multiculturale, ordinata e funzionante.
Peppa Pig è erede del cortometraggio Disney de I Tre Porcellini (1933), la fiaba forse più utilitaristica di sempre il cui successo la dice lunga su quella che era la necessità educativa di un mondo già globalizzato che stava attraversando una grande crisi economica. Il cartone è potenziale erede, forse, anche della serie televisiva Heidi, ma la maialina è un'eroina conservatrice e convenzionale, distante da una Heidi o da una Pippi Calzelunghe, entrambe dotate di una forte personalità e di una mancanza di adeguamento alle regole imposte.

lunedì 8 febbraio 2016

malinconia, utopia, realismo

Gianluca Cuozzo in Utopie e realtà lega insieme melancolia, utopia e realismo e traccia i risultati del loro contatto fecondo, del loro incontro proficuo. La malincolia è un “radioso rimpianto” (Baudelaire), un anelito all'inversione del tempo, da cui emerge il ricordo dell'inadempiuto, di un residuo di realtà da concretizzarsi che è precisamente ciò di cui si nutre l'utopia concreta: far dell'inadempiuto la chance, l'opportunità del momento, senza allentare i legami imprescindibili dell'alternativa utopica con il mondo reale. Armarsi di melancolia, per Benjamin, significa acquisire una competenza storico-mondana davvero intransigente rispetto a ogni “ingenuo ottimismo” e “volgare naturalismo storico”; essa spinge a intravedere le crepe della decadenza ma anche a immaginare azioni che aprano la storia a quel potenziale di alterità che essa stessa cova. La melancolia si mostra quindi come il risvolto interno del nastro dell'utopia, come il principio gravitazionale di realtà che le è necessario. Anche se sotto il segno dell'angoscia, essa restituisce la domanda circa l'altro luogo dell'ancora aperto nella storia.
È nell'ambiguità irriducibile della complessione melancolica – avvinghiata alla terra ma insieme disperatamente protesa verso le altezze celesti, condannata all'infelicità passata eppure aperta sul margine possibile – che va ricercata una declinazione del pensiero utopico che, sebbene non rassegnato al presente, sappia però resistere alle filosofie del progresso sempre passibili di rovesciarlo in distopia. È in una archeologia o anamnesi del residuale in cui “nulla di ciò che è avvenuto dev'essere mai dato per perso” (Benjamin), in cui muoversi come “straccivendoli” – robivecchi che per Baudelaire è l'alter ego del poeta, uomo incaricato di raccattare i rifiuti di giornata di una grande città e perciò in possesso delle chiavi per decifrare le sparse rovine della realtà moderna – a caccia degli scarti e del pattume dimenticato dell'esistente che sono però possibilità emancipative tuttora futuribili e latenti in questi stessi lacerti e cascami del passato, che si reimmette l'utopia nel circuito della realtà.
La natura è il punto di massima prossimità tra utopia e realismo: il sogno di ripristino, per nulla regressivo, di una condizione perduta da cui dipende la stessa sopravvivenza dell'uomo. Ecco che desiderio dell'altrove e critica del presente conducono a una ecosofia senza la mediazione della quale non vi è salvezza storica, utopica in senso vero.

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