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martedì 10 maggio 2016

la filosofia in giappone

Dopo l'Africa e le realtà asiatiche di Cina e India, per Filosofie nel mondo è il turno del Giappone. Per comprendere il pensiero giapponese è necessario prendere in considerazione tre fattori: la visione religiosa buddhista, l'etica sociale confuciana, la sensibilità naturale shintoista.
La forma religiosa autoctona è costituita da una concezione della natura in cui l'essere umano è compreso come elemento naturale situato fra infiniti altri elementi naturali che interagiscono fra di loro: ogni aspetto della vita quotidiana è caratterizzato dalla presenza e dal rapporto con un numero incommensurabile di divinità dette kami. L'ideogramma kami si legge anche shin che univo a to, cioè via, compone la parola shinto, la via dei kami, degli dei, nome che questa religiosità autoctona, conosciuta in Occidente come shintoismo, assume nell'VIII secolo. I kami non sono spiriti che abitano le cose né divinità preposte a una funzione generica, ma sono proprio determinate cose in quanto realtà spirituali animate, dotate di vita individuale propria: un particolare animale, un singolo essere del mondo vegetale, una forma o fenomeno naturale, un particolare oggetto; è perciò improprio parlare di animismo perché non c'è dualismo fra lo spirito di una cosa e la cosa stessa, il sacro è totalmente immanente al mondo materiale quotidiano in continuità ontologica con quello divino. I kami proteggono una determinata famiglia o un'intera collettività e l'unità di base dell'organizzazione socio-politica (clan) è proprio definita dalla fedeltà di tutti i suoi membri al medesimo kami.
Nel VI secolo avviene in Giappone l'introduzione di apporti ed elementi cinesi, ma questa influenza estera  viene rielaborata con una certa originalità: l'ideale sociale confuciano e la pratica individuale di ispirazione buddhista sono fusi con la compenetrazione armonica con le leggi naturali propria dello shintoismo. Del confucianesimo viene colto soprattutto l'aspetto pragmatico mentre se ne ignorò quasi del tutto la visione cosmologica e l'elaborazione filosofica: vengono acquisiti l'importanza del mantenimento dell'armonia nella vita individuale e collettiva, il modello gerarchico che specchiandosi nella relazione originaria cielo-terra è il fondamento relazionale interpersonale di ogni rapporto umano e sociale in cui il superiore ha cura e responsabilità verso l'inferiore e l'inferiore ha rispetto e attenzione verso il superiore.
Del buddhismo, rielaborato in chiave autonoma tra il IX e il XII secolo, vengono assunte le considerazioni sull'impermanenza e la fragilità della vita umana e sulla necessità di evitare ogni forma di egocentrismo. Inizialmente vengono soprattutto messe in opera le pratiche buddhiste quali i mantra (canto delle sillabe sacre) che rappresentano  risonanze microcosmiche e stati vibranti della materia-energia che costituisce gli elementi basilari di tutta la realtà, i mandala (visualizzazione delle forme geometriche simboliche) che sono le strutture essenziali e forme archetipiche della realtà, i mudra (pratica delle posture del corpo e dei gesti delle mani) che sono i modelli e le configurazioni dei cambiamenti e mutamenti della realtà. Il risveglio, l'illuminazione, non può essere di natura solo mentale o intellettuale ma può essere compreso solo dalla globalità di una prassi unificata che riguardi l'interezza della realtà che si manifesta non solo nel pensiero (struttura) ma anche nella parola (vibrazione) e nell'azione (mutamento). Questa forma di buddhismo è pero elitaria e aristocratica, la più popolare e a tutt'oggi la più diffusa in Giappone è l'amidismo, pratica buddhista alla portata di chiunque secondo cui chiunque proclami il nome di Amida (luce infinita o vita infinita) con mente sincera, fede serena e desiderio di rinascere senz'altro rinascerà: si evidenzia, infatti, una contraddizione nel modo in cui la maggior parte delle scuole buddhiste concepisce la pratica religiosa, perché credere di poter sciogliere l'illusione fondamentale dell'esistenza ontologica di un io dotato di sostanza autonoma grazie ai propri sforzi e ai meriti acquisiti con la propria pratica individuale è esso stesso causa del radicamento della concezione illusoria dell'io; l'amidismo sposta così l'enfasi dalla pratica all'affidare completamente se stesso alla fede. Più tarda, nata tra il XII e il XIII secolo ma diffusasi soprattutto dal XVIII, è la scuola buddhista zen, che riafferma come preponderante l'aspetto della non continuità ontologica dell'io, la sua non-entità ipostatizzabile, separabile dalla realtà relazionale che lo fa essere quello che è: l'impermanenza dell'io non è una condizione instabile da cui liberarsi ma la modalità definitiva della realttà, il funzionamento totale di cui ogni cosa è intessuta, non è assenza o privazione di qualcosa.
Un elemento ricorrente dello sviluppo culturale giapponese è il suo sincretismo, la sua capacità di accogliere novità di pensiero e di comprensione della realtà provenienti da altre culture in modo quasi integrale, senza però permettere che queste entrino in conflitto con la sensibilità e la visione indigene che le ricevono, servendosi anzi delle nuove concezioni per confermare e consolidare la visione tradizionale: il pensiero cinese costituisce lo sfondo filosofico metafisico, una raffinata base teorica, per le credenze arcaiche.

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