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sabato 18 febbraio 2017

filosofia come dichiarazione d'amore

Non è una decostruzione quella portata avanti da Simone Regazzoni nel suo ultimo Ti amo, non è nemmeno una nuova e diversa raccolta di frammenti di un altro discorso amoroso. Dell'amore non ci può essere né sapere né discorso: l'amore è il reale che non può essere preso nelle trame tessute con la parola o la scrittura, è una nudità fragile che la parola più bella, rivestendola, offenderebbe. L'amore resta sempre e solo da fare - con disciplina e senza ritegno alcuno.
La sfida allora cui risponde Regazzoni è quella di portare la filosofia al limite, perchĂ© l'unica possibilitĂ  che si ha con quell'impossibile che è l'amore non è quella di dirne la veritĂ , ma di farla: fare la veritĂ  dell'amore facendo l'amore con le parole, nella forma di una lunga dichiarazione d'amore. Quindi non discorso ma solo struggimento, di sĂ© e delle parole - scioglimento senza alibi alcuno, esaurimento oltre ogni misura, consunzione senza speranza. 
E in questa filosofia fatta nella forma di una struggente dichiarazione d'amore, l'amore emerge come evento che ci trascende e ci chiede di essere alla sua altezza con la forza di un sì; che ci chiede di abbandonare il nostro io - la sicurezza della nostra esistenza, del nostro potere, del nostro essere - e di perdere tutto, anche il mondo, per esporci all'Altro, senza sapere e senza vedere. Ai margini della notte - che appartiene agli amanti - l'amore ci chiede di resistere - come il dono, come il perdono - alla logica del calcolo per esporci incondizionatamente a esso; ci chiede di non addomesticarne la forza notturna perdendolo e rendendolo calcolato piacere, studiato conforto, di non volerne fare una nostra iniziativa ma di lasciarlo e vederlo venire.
Lasciarlo e vederlo venire come quel miracolo che è e che irrompe e rompe l'orizzonte del possibile, delle nostre possibilità, del nostro potere, come quel miracolo che non dipende da noi e dal nostro volere ma che ci accade. Come quell'evento che segna l'inizio di una vita nova, di un'altra origine del mondo - un mondo, una dimensione di esistenza, al di là della semplice vita, l'apertura di un mondo e il ritrarsi di una terra che è un prodigio che sconvolge l'ordinario corso delle cose.
Questo evento, questo miracolo, questo prodigio che è l'amore ci chiede di essere degni di ciò che avviene, di essere all'altezza della sua forza smisurata, di rispondere con un sì al suo venire: sì all'avventura, sì all'origine del mondo e della nuova vita. L'amore - selvatico, furioso, indomito, impetuoso, deflagrante, altero, crudele - ci chiede cuore e coraggio, forza e ferocia; l'amore che ferisce, che non può lasciarci indenni, sani e salvi, ci chiede thymos: ci chiede di essere fieri, valorosi, animosi, impavidi. 
Siamo all'altezza di tutto ciò? Di questo eroismo in amore? Di questo coraggio come capacità di dire sì a ciò che accade, di essere all'altezza degli incontri - cuasuali e vuoti di ragione - che ci arrivano, anche a rischio di soffrire e far soffrire? Abbiamo la forza di avventurarci, di accogliere l'evento amoroso?
Evento amoroso che ci chiede la forza dell'irrevocabile "per sempre", di un punto di eternità, di una macchia di eccezione, di un passato che non passa nello scorrere finito del tempo; che ci chiede di avere tutto, senza resto ma senza possesso, nel dire sì all'eternità di un "ora".

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