Non è una decostruzione quella portata avanti da Simone Regazzoni nel suo ultimo Ti amo, non è nemmeno una nuova e diversa raccolta di frammenti di un altro discorso amoroso. Dell'amore non ci può essere né sapere né discorso: l'amore è il reale che non può essere preso nelle trame tessute con la parola o la scrittura, è una nudità fragile che la parola più bella, rivestendola, offenderebbe. L'amore resta sempre e solo da fare - con disciplina e senza ritegno alcuno.
La sfida allora cui risponde Regazzoni è quella di portare la filosofia al limite, perché l'unica possibilità che si ha con quell'impossibile che è l'amore non è quella di dirne la verità , ma di farla: fare la verità dell'amore facendo l'amore con le parole, nella forma di una lunga dichiarazione d'amore. Quindi non discorso ma solo struggimento, di sé e delle parole - scioglimento senza alibi alcuno, esaurimento oltre ogni misura, consunzione senza speranza.
E in questa filosofia fatta nella forma di una struggente dichiarazione d'amore, l'amore emerge come evento che ci trascende e ci chiede di essere alla sua altezza con la forza di un sì; che ci chiede di abbandonare il nostro io - la sicurezza della nostra esistenza, del nostro potere, del nostro essere - e di perdere tutto, anche il mondo, per esporci all'Altro, senza sapere e senza vedere. Ai margini della notte - che appartiene agli amanti - l'amore ci chiede di resistere - come il dono, come il perdono - alla logica del calcolo per esporci incondizionatamente a esso; ci chiede di non addomesticarne la forza notturna perdendolo e rendendolo calcolato piacere, studiato conforto, di non volerne fare una nostra iniziativa ma di lasciarlo e vederlo venire.
Lasciarlo e vederlo venire come quel miracolo che è e che irrompe e rompe l'orizzonte del possibile, delle nostre possibilità , del nostro potere, come quel miracolo che non dipende da noi e dal nostro volere ma che ci accade. Come quell'evento che segna l'inizio di una vita nova, di un'altra origine del mondo - un mondo, una dimensione di esistenza, al di là della semplice vita, l'apertura di un mondo e il ritrarsi di una terra che è un prodigio che sconvolge l'ordinario corso delle cose.
Questo evento, questo miracolo, questo prodigio che è l'amore ci chiede di essere degni di ciò che avviene, di essere all'altezza della sua forza smisurata, di rispondere con un sì al suo venire: sì all'avventura, sì all'origine del mondo e della nuova vita. L'amore - selvatico, furioso, indomito, impetuoso, deflagrante, altero, crudele - ci chiede cuore e coraggio, forza e ferocia; l'amore che ferisce, che non può lasciarci indenni, sani e salvi, ci chiede thymos: ci chiede di essere fieri, valorosi, animosi, impavidi.
Siamo all'altezza di tutto ciò? Di questo eroismo in amore? Di questo coraggio come capacità di dire sì a ciò che accade, di essere all'altezza degli incontri - cuasuali e vuoti di ragione - che ci arrivano, anche a rischio di soffrire e far soffrire? Abbiamo la forza di avventurarci, di accogliere l'evento amoroso?
Evento amoroso che ci chiede la forza dell'irrevocabile "per sempre", di un punto di eternità , di una macchia di eccezione, di un passato che non passa nello scorrere finito del tempo; che ci chiede di avere tutto, senza resto ma senza possesso, nel dire sì all'eternità di un "ora".
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