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domenica 13 gennaio 2013

libertà, nobiltà, verticalità

Nonostante l'estatica inutilità, l'uomo, secondo Sloterdijk, mette in atto, pur dopo questa liberazione, una forma di auto-oppressione, una sorta di sartriano engagement, come   un attore disoccupato che vada in cerca di un ingaggio. Perché? Né per necessità, né per impulso, né per nevrosi, né per mancanza, secondo l'autore di Stress e libertà, ma come conseguenza della libertà stessa, che si rivela quale sfondo di orgogliosa e generosa disponibilità ad elevarsi sopra l'ordinario, di nobile slancio verso l'alto. 
Anche in questa svolta verso l'attività, la praticità, la libertà mantiene comunque la propria sostanziale negatività, in quanto si esprime quale «rifiuto della tirannia del probabile», ribellione contro un'intollerabile meschinità: «in realtà, “libertà” è solo un altro nome per “nobiltà”, ovvero quella disposizione d’animo che, in qualsiasi condizione, si orienta al meglio, a ciò che è più difficile, proprio perché è abbastanza libera per quello che è meno probabile, meno volgare, meno comune. In tal senso, libertà è disponibilità all’improbabile». 
In quanto elevazione spontanea sull’ordinarietà e sulla mediocrità, disponibilità all’inaspettato e al più impegnativo, "libertà" è allora un altro nome anche per "verticalità", quella con cui sono alle prese tutti gli uomini (non solo quelli che i paladini americani della correttezza, ricorda Sloterdijk in Devi cambiare la tua vita, hanno chiamato vertically challenged people): «"persone alle prese con la verticalità". Bisognava parlare dei disabili, di chi ha una complessione diversa, per arrivare a una formulazione che esprimesse la costituzione universale degli esseri soggetti alla tensione verticale». L'acrobatica è una delle categorie da utilizzare quando si riflette sulla condizione umana, su quell'animale instabile, privo di protezione, condannato al funambolismo che è l'uomo.


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